Il peggior insulto per uno scrittore


Non sono esperto dell’argomento, nel senso che non sono uno scrittore. Ma sto riflettendo su questo: il peggiore insulto che uno scrittore possa ricevere da un lettore è sentirsi dire: “Bello il tuo libro”.
Credo di aver offeso un po’ di gente in questa maniera: sia vivi che defunti.

Scrivere qualcosa di bello è alla portata di tutti

In parte questa affermazione nasce da un genuino sentimento di gratitudine per chi ha scritto. E in quella parola: “Bello”, c’è un mondo di impressioni, sentimenti in subbuglio; e quel subbuglio è risultato della scrittura.
Eppure più frequento questo mondo, più certe espressioni non mi piacciono. Dopo anni di latitanza, torno a dare del tu alla parola, ritrovo ruvidezze e spigoli; perché per me quello deve essere la scrittura. Non sono contrario alla letteratura di evasione, ai Ken Follett per intenderci: di certo non mi piace più che un libro sia “bello”. Può esserlo il titolo, la copertina, l’impaginazione; la storia deve essere molto più che “bella”. Non è un’esperienza visiva, come lo può essere la vista della Cappella Sistina.
Ormai, scrivere una storia “bella” è alla portata di tutti; lo è meno secondo me, produrre qualcosa che per esempio, dica alle persone quello che non vogliono sentire.
Questo infatti, può essere piuttosto sgradevole. Può spezzare l’incantesimo, e perciò “non è bello”.
Certe storie, o meglio, una determinata realtà, fatta di persone, di uomini e donne che semplicemente, non ce la fanno più, è stata silenziata. Non c’è.

La banalità del bello

Esiste l’umanità che frequenta via del Corso, via Monte Napoleone, che se ne va ai Caraibi, a Cortina D’Ampezzo. E per costoro, deve esserci per forza sempre qualcosa di “bello”. Di rassicurante. Che confermi loro la bontà del tragitto che stanno compiendo. Se qualcosa va storto, per fortuna ci sono le maratone televisive che sistemano tutto. Un sms al numero messo gentilmente a disposizione dalla compagnia telefonica per un’offerta di soli 2 Euro. Anche i sassi possono capire che per questo genere di uomini, di donne, la scrittura DEVE essere bella.
Dirò di più. L’incantesimo può essere talmente forte, che davanti a una scrittura fatta di carne e sangue, essi replicano sempre: “Bello”. La parola, per quanto potente possa essere, riesce a produrre qualcosa se chi la riceve è disposto a mettersi in discussione. A lasciarle spazio. Se al contrario, un libro è una questione estetica, nulla scalfirà la loro sicurezza: nemmeno la lettura di “Se questo è un uomo”, oppure “I racconti della Kolyma”. Li termineranno con un banale “Bello”. Perché essi quello sono diventati: banali.

4 commenti

    • Forse. Eppure la mia idea è che “bello” sia ormai lo schermo che nasconde il nulla. Che simula la presenza di un pensiero, di una mente capace di ragionare, riflettere, accettare la sfida e migliorarsi; ma che in realtà NON vuole cambiare. Sia chiaro: pure io a volte mi sono tratto d’impaccio con un “bello”. Poco dopo mi sono reso conto dell’ingiustizia commessa; troppo semplice liquidare un libro con un “bello”. Dentro c’è sempre molto di più…

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    • Oppure scegliere il silenzio. Rimandare l’esposizione della propria opinione a una circostanza diversa. Mi rendo conto che sto diventando allergico a certe parole e “bello” è una di queste.

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