Per capire come scrivere dialoghi efficaci, si tratta di capire quali mosse NON fare. I consigli migliori a parere mio sono quelli che ti indicano gli errori, le mosse da evitare. Che si tratti di libro, corso di scrittura organizzato da scuola, o post di blog, credo sia necessario evitare il “Fai così, fai cosà”. E allora, che cosa occorre mettere da parte?
La lettura dei classici (Tolstoj, Dostoevskji) potrebbe essere poco efficace. Non affermo che bisogna evitarli, anzi: io li adoro. Senza per forza dedicarsi ai grandi (e grossi) romanzi, la lettura de “Il giocatore”, o “La morte di Ivan Ilic” dovrebbe essere caldeggiata. Dopo queste, affrontare il resto (“L’idiota”; “Anna Karenina”) sarà quasi un gioco da ragazzi.
Però non consiglio questi autori per chi desidera costruire dei buoni dialoghi. La ragione: sono opere destinate a una fetta di società ben precisa, e scritte da persone che godevano di uno status magari non agiato (Dostoevskji era quasi sempre in bolletta), di certo non erano miserabili. La Russia dei due autori più celebri dell’Ottocento era popolata da bifolchi.
Nei romanzi del passato un po’ tutti parlano alla stessa maniera. E parlano con proprietà. Anche se provengono da ambienti sociali differenti. Le cose migliorano se ci si avvicina a un autore scandaloso come Zola. Con questo scrittore francese si inizia a prendere in considerazione che certe persone parlano in maniera un poco approssimativa. E che lo scrittore non può far finta di niente.
So bene che non è sufficiente abbassare il livello, adattarlo per rendere un dialogo efficace. In realtà la sua efficacia si gioca soprattutto su altri fronti.
Da quel poco che ho imparato, ci sono alcuni errori che si commettono nella scrittura dei dialoghi, e che è necessario stroncare senza pietà.
Secondo me:
- Il dialogo non serve ad allungare il brodo. Non puoi ricorrere a esso perché così volano via un paio di pagine. Se i personaggi aprono bocca lo fanno perché… hanno qualcosa da dire. A volte possono non avere nulla da dire, ma qui ti infili in un caruggio come si dice dalle mie parti, tutt’altro che facile. Per quale motivo scrivo questo? Quello che pare un dialogo messo lì per dilettare, o un banale riempitivo, spesso è un elemento chiave nel racconto. Allenta o accresce la tensione; prepara eventi o l’introduzione di personaggi qualche pagina dopo. E poi ci sono dei dialoghi che non sono riusciti, certo.
- Nei dialoghi si dialoga. Un’ovvietà? Può darsi. Eppure la tentazione di infilarci un mucchio di roba superflua esiste. Il dialogo non si usa per spiegare antefatti, dettagli, caratteristiche fisiche o ambientali, il nome dell’altro interlocutore.
- Non esagerare. Uno dei miei difetti? Costruire dialoghi lunghi, troppo. Sto cercando di rimediare, per fortuna. Il bello è che non sarebbero nemmeno malaccio, filano come si dice (a dirlo un editore). Però quando la conversazione si prolunga per tre, quattro pagine il rischio di annoiare diventa una scomoda realtà. L’ascia è l’unica soluzione che io conosca.
Cosa aggiungere e soprattutto come concludere questo post?
La differenza tra un dialogo efficace e uno ridicolo è sottile. Basta un nulla e s’inchioda se non tutto, molto. Ci sono autori che scrivono pessimi dialoghi, eppure sono acclamati. Altri che paiono buoni solo per quello.
Nella scrittura non ci sono cose semplici, e cose difficili. Sarò strano ma quando qualcosa mi riesce bene, mi preoccupo. Perciò cerco di affrontare ogni cosa come se fosse ardua.
Di certo il dialogo non è un elemento da affrontare a cuor leggero.
La scrittura è una brutta bestia. Soffia, ringhia e graffia. Spesso morde.
Secondo me si scrivono dialoghi efficaci tenendo conto della realtà. Hai ragione sui classici, anche io li adoro, ma tutti i personaggi parlano in maniera corretta.
Bisogna affrontare il problema in funzione dell’ambientazione della storia e della tipologia dei personaggi, ma senza esagerare.
Per esagerare intendo che, se un personaggio è un bullo di strada, del giorno d’oggi per esempio, non si può imbottire la nostra storia di parolacce e bestemmie. Io, almeno, non leggerei mai una storia del genere.
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Nemmeno io leggerei qualcosa del genere. Il “trucco” nei dialoghi è arrivare a offrire una realtà alterata che appaia plausibile, vicina, concreta. Carver in questo era un maestro ma avvertiva: quello che sembra naturale è frutto di limature e correzioni che prendevano mesi e mesi.
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Nell’ultima stesura ho eliminato metà delle frasi nei dialoghi. Ormai ci sono quasi vicina.
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La mitica ascia 😉 Fa male però aiuta il testo, porta alla luce quello che c’è di buono. L’essenziale è non avere fretta.
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Ciao, sono capitato per caso da queste parti e ho letto con interesse il post.
Personalmente, non credo che ci siano letture che possano risultare “dannose” ai fini dello sviluppo di uno stile di scrittura.
Le regole fondamentali – a mio avviso – sono due:
1) utilizzare il dialogo diretto solo quando serve a fornire nuove informazioni
2) scrivere dialoghi allusivi, mai incentrati in modo diretto (leggasi “banale”) sull’ informazione da comunicare al lettore.
Esempio: se il personaggio “A” vuol comunicare a “B” e, di conseguenza, al lettore, che è andato a letto con “C”, potrebbe farlo parlando del neo che “C” ha in una zona molto intima (perdonatemi la banalità dell’esempio).
Per quanto riguarda il modo di parlare dei personaggi, conoscerli a fondo è l’imperativo. Tizio – contadino semianalfabeta – non si esprimerà con virtuosismi lessicali alla Nichi Vendola, ma non andremo neppure a prenderci gioco di lui disseminando errori grammaticali da codice penale ogni volta che apre bocca. Il lettore non ce lo perdonerebbe.
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La conoscenza di un personaggio è la base di tutto. Richiede silenzio, tempo, mentre tutto attorno grida: “Fate presto!”. Proprio perché tutti hanno fretta, occorre fermarsi e tornare a riflettere sui fondamentali. Su ciò che conta davvero. Non è semplice né facile, eppure qualcosa mi dice che è l’unica strada per arrivare a scrivere qualcosa di interessante.
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