(questo post è stato aggiornato il 5 giugno 2018)
A pagina 28 di “Maigret in Corte d’Assise” (l’editore è Adelphi), c’è una bella lezione di narrativa. Come tutte le lezioni importanti, capaci cioè di insegnare sul serio, è semplice. Talmente semplice che rischia di passare inosservata, soprattutto se si è solo un lettore. Se viceversa si cerca di comprendere cosa sia la scrittura, e cosa significhi scrivere in modo efficace, non dovrebbe passare inosservata.
E in questo post ti svelerò anche il peccato mortale di Georges Simenon…
La lezione di Simenon
Per farla breve (ma sarebbe meglio procurarsi il libro e leggerlo): siamo in un’aula di tribunale. Il presidente fa un cenno all’usciere e questi si avvicina. C’è Maigret che espone i fatti che hanno portato l’imputato in quell’aula, con l’accusa di aver sgozzato la zia e soffocato una bambina. Però a questo punto la storia sembra prendersi una pausa. Pubblico, avvocati e pubblico ministero, tutti gli uomini e le donne presenti nell’aula vivono in uno stato di vita sospesa. Ammaliati dal rito della giustizia che prova a rifare ordine nel mondo, sedotti da quel male così borghese, hanno quasi perso contatto con la realtà.
L’usciere si dirige verso le corde che azionano l’apertura di una finestra, tira… e non accade niente. Tira ancora e ancora: nulla. Si sposta alla finestra successiva, alla corda seguente.
E il pubblico ride nervosamente. È in questo momento che accade, riemerge la consapevolezza del mondo, al di là delle finestre. Piove. C’è traffico sulle strade di Parigi. Si ode la sirena forse della polizia o forse di un’ambulanza.
Sono poche frasi, che però svolgono diverse funzioni. Spezzano la “gravità” della narrazione portata avanti da Maigret che ricorda le indagini, la raccolta degli indizi. Incrinano la solennità del luogo e del momento. Rendono infine reale quell’aula, e il mondo che ruota attorno: fatto di persone, rumori, fenomeni atmosferici. Tutto questo grazie a un piccolo incidente: la finestra non si apriva, e l’usciere ha dovuto provare con un’altra.
Più il tempo passa, e più mi rendo conto che la buona narrativa si trova nei gialli di Simenon. Se si vuol imparare a scrivere, si deve partire da lì, non c’è scampo. Lo so bene: Dickens, Tolstoj, Dostoevskji sono importanti, anzi rappresentano le vette della Letteratura (si dice così?).
Però il consiglio è: prendi in mano un Maigret. Sono abbastanza economici e comunque le biblioteche pubbliche probabilmente li hanno, quindi non devi nemmeno spendere. E poi impara a osservare gli ambienti, nota come i dettagli non sono mai buttati lì per riempire un vuoto, ma svolgono la loro funzione con scrupolo e dedizione. Perché anche un dettaglio “ama” il proprio lavoro, e lo porta a termine con estrema cura e competenza. Che si tratti di uno sconosciuto che getta in aria una moneta, e poi la fa atterrare sul dorso della mano; o di un usciere che non riesce ad aprire una finestra, costoro esistono. Portano il loro contributo alla storia: piccolo, spesso chi legge nemmeno se ne rendo conto.
Il peccato mortale di Georges Simenon
Simenon è stato una vittima. Sì, ha venduto tantissimo. Il suo commissario Maigret ha avuto l’onore di riduzioni televisive in un po’ tutto il mondo. Ma non gli è stato perdonato il più grave peccato, il peccato mortale: essere stato un autore di grande successo. Ha venduto a carrettate. E i critici (buona parte della critica francese), lo ha snobbato perché “vendeva”. Per questi signori se un autore permette alla casa editrice di pagare stipendi, bollette, investire: è una brutta persona. Non è un vero scrittore.
È lo stesso destino di Charles Dickes; di Alexandre Dumas; di Stephen King. Se fai bene il tuo lavoro, certi critici ti crocifiggono. Non è ridicolo?
Bellissimo post.
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Grazie! E con Simenon non si sbaglia mai.
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Hai perfettamente ragione, gli inserti descrittivi hanno – nei testi simenoniani dedicati a Maigret – quasi una vita loro, una forma “distrattiva” che rende più umana la vicenda narrativa, spesso altrimenti tanto amara. L’idea del “ritorno al reale” è del resto più volte evocata esplicitamente (penso per esempio a quanto essa sia manifestata a voce alta dallo stesso Maigret ne “Il caso Nahour”, ma anche in altri romanzi della serie).
Grazie per l’ottima riflessione.
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Ecco, i romanzi di Simenon mi mancano; ho sempre e solo letto le indagini del suo commissario. Provvederò al più presto.
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