Non hai mai capito niente – Spalle larghe


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Brano estratto da uno dei miei 12 + 1 racconti: “Non hai mai capito niente”. Il titolo: “Spalle larghe”. 

Buona lettura.


 

Aprì gli occhi e non vide nulla. Sbatté le palpebre, si stiracchiò, sfregò la schiena contro il lenzuolo per scaldarsela, e i piedi sbucarono dal letto. Sbuffò. Promise a se stessa che quando sarebbe diventata ricca avrebbe acquistato un letto enorme, e lo avrebbe sistemato in una stanza grandissima in una villa gigantesca, dove vivere da sola. Ma non aveva la più pallida idea su come diventare milionaria. La seccatura di avere dodici anni era dover andare a scuola, e lì nessuno insegnava le cose fondamentali.
La luce del giorno si insinuò tra le liste della tapparella, lambì i bracci del lampadario, si fissò sulla parete e l’armadio.
Volse il capo a sinistra e intravide la sagoma del fratello che dormiva. Accese la luce della lampada sul comodino per vedere l’ora e lui si mosse, borbottò qualcosa, si voltò. La spense; era indecisa se alzarsi o restare ancora sotto quelle coperte e lenzuola ormai fredde. Le scalciò, e balzò in piedi. Infilò le pantofole, si affacciò dalla porta sul corridoio e tese le orecchie.
Sentiva i rumori di sua madre in cucina che armeggiava ai fornelli; il padre doveva esserci, dietro il giornale.
Entrò in bagno e chiuse a chiave la porta. Si lavò il viso, le orecchie, si asciugò e si pettinò i capelli castano che scendevano a metà della schiena; rabbrividì. Tastò il termosifone: era freddo. Aprì la finestra e si sporse fuori, alzò il capo per ritrovare oltre i tetti degli edifici, il cielo. Era sereno, e Rachele decise che quella giornata sarebbe stata magnifica. Per questo si obbligò a sorridere ai palazzi ingrigiti, ai balconi dove annerivano i gerani, ai fili sui quali era stesa ad asciugare al vento di marzo la biancheria.
In cucina disse “Buongiorno” e sedette al tavolo. Il padre leggeva il giornale, lo scostò per darle un’occhiata, la squadrò e disse: – È il modo di presentarsi? In pigiama?
Lei fece spallucce. Lui posò il giornale, la fissò da un volto gonfio, lo sguardo duro; allungò la mano, grande, col nero del grasso dell’officina sotto le unghie, e le colpì la testa con uno scappellotto.
– Be’? – disse.
Lei arrossì, abbassò la testa, si mordicchiò il labbro inferiore.
Riprese il giornale, e parlò rivolto alla moglie: – Questa figlia mi pare cresca storta. Ci devo pensare io a raddrizzarla?
Tornò a leggere.


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