Come si costruisce un racconto? O un romanzo? Domande interessanti, che ogni scrittore emergente si pone (almeno me lo auguro). In realtà l’unica questione davvero importante a mio modo di vedere dovrebbe essere: Come si racconta una storia?
Ci sono storie lunghe, lunghissime, e più brevi. Certo, sto semplificando, ma non puoi pretendere dal sottoscritto una spiegazione per filo e per segno di che cosa sia un romanzo, un romanzo breve, un racconto…
Che cos’è una storia?
Non è semplice rispondere. Spesso butto l’occhio sulle anteprime di scrittori o scrittrici molto celebrati, osannati… Bravi conferenzieri, per esempio. Poi leggo l’inizio di una loro opera e sbadiglio.
Una storia è una narrazione che contiene personaggi ed eventi capaci di celebrare (mostrare) il mistero dell’esistenza. Gli eventi che si verificano hanno una precisa caratteristica: sono drammatici.
Ferma i motori!
Prima di procedere, è bene chiarire una volta per tutte il senso del termine “dramma” (e quindi drammatico, si capisce). Perché mi pare che ci sia un poco di confusione. “Dramma” deriva dal latino, che lo ha preso in prestito dal greco: e significa “agire” o “azione”. Non è detto che sia sempre qualcosa di doloroso. Ma diciamo che sotto questa etichetta ci finisce tutto quello che merita di essere scritto oppure rappresentato.
Insomma: in una storia deve accadere qualcosa. Fin qui ci siamo? Non è detto che debba accadere a pagina 1, o 2; ma ci deve essere. Lo scopo del dramma è stanare il personaggio dalla tana, e vedere come si comporta se (come scrive spesso il buon Stephen King).
Carne! Ciccia! Frattaglie!
Qui veniamo a un altro punto fondamentale. Per anni io ho commesso un errore enorme: partivo dalle idee, e scrivevo delle storie. L’aspetto divertente è che mi veniva pure detto, mi venivano illustrati i difetti: scarsa empatia. Troppi ragionamenti. Non c’è un vero racconto.
Una storia è un mezzo per toccare la realtà. Per affrontarla. Scrivere è una faticaccia perché purtroppo la parola non è così potente e flessibile come si crede. La scrittura è meno persuasiva dell’oralità: quando si racconta a voce, il tono, lo sguardo, la mimica, i gesti, ci sono di grande aiuto. Ma anche se adesso c’è la possibilità di realizzare ebook “potenziati”, la scrittura non riesce a rendere tutto. O meglio: devi essere così bravo da far sì che la realtà sia tangibile. Devi raggiungere il lettore, i suoi sensi, e ci riesci solo quando parti non dalle idee, ma dalla carne. Questo è scagliare un grandioso attacco al proprio ego; chi scrive è presuntuoso, e se gli togli pure la soddisfazione di mettere in mostra le proprie idee (luminose, illuminanti), che gli resta? Di solito nulla, ma se ha i giusti agganci e amicizie arriverà comunque molto lontano. E la prospettiva di insudiciarsi con la ciccia, con la carne: con le persone, la realtà insomma, lo inorridisce.
La visione del mondo
È ovvio che chi scrive ha delle idee. Non può essere neutrale. Ha una precisa visione del mondo e non può spegnerla quando scrive. Il problema nasce quando la propria visione del mondo, e la realtà, si uniscono, e questo temo sia un guaio. Perché di certo la prima (vale a dire: la propria visione del mondo), soffocherà la realtà. L’unica scappatoia che io intravedo per scampare a questo pericolo, è ricordare a se stessi che l’individuo è imprevedibile. E che lo scopo “definitivo” di una storia è celebrare (non spiegare) il mistero dell’uomo.
Per la tecnica vado bene di qui?
E poi c’è lei. La tecnica. Perché ci vuole per riuscire a scrivere una storia come si deve. La tecnica, non si scappa. Dove la trovo? Sul lungomare Kennedy? In piazza Adenauer? Ma pare anche che sia stata vista in vico Crema a rimpinzarsi di panini con le fette.
Per come la vedo io, la tecnica è dentro la storia che racconti. Non può essere una formula magica che imponi alla materia. Se scrivi, non puoi pretendere che qualcosa di esterno (e da dove arriverebbe?) si presenti e sistemi le cose. È affar tuo. Hai voluto la bicicletta? Pedali, mica puoi affittare le gambe di un altro per scalare il Passo Pordoi. Quindi a mio parere, siccome ogni storia è differente, pure la tecnica ogni volta cambia, si modifica. Ma scaturisce dalla storia, non fuori da essa.
Tutto questo, secondo me.
E tu che dici? Stai lì a leggere senza commentare?
Prima la storia, poi il lettore
Già, raccontare una storia. Sembra facile. Spesso (anche io lo facevo, tempo fa) si mettono su carta solo le nostre idee, i nostri pensieri, senza pensare che a nessuno importa un fico secco delle nostre idee. Ho imparato che bisogna far parlare gli altri, farli muovere, agire, amare o odiare. E questi altri sono i nostri personaggi, di volta in volta diversi, meglio ancora se diversi anni luce da come siamo noi che scriviamo. Perchè alla fine un pezzetto di noi c’è anche nei nostri personaggi, luce oppure ombra, non importa. Siamo tutti diversi eppure così uguali. La tecnica? E’ importante, certo, però mi sono accorta che molti lettori non se ne accorgono nemmeno. Se quello che scrivi arriva al loro cuore, alla loro mente, anche una tecnica non perfetta può andar bene. Mio modesto parere. 🙂
"Mi piace""Mi piace"
La tecnica. Credo che funzioni così, alla fine: devi scrivere, mostrare le cose (senza descriverle), e la tecnica salterà fuori da sé. Se ti siedi alla scrivania e pensi che la tecnica sia il prodotto di trucchi o strategie, alla fine produrrai un mucchio di parole senza senso, né cuore. So che ci sono corsi che insegna questo genere di cose, ma immagino che un corso serio debba limitarsi a illustrare quello che NON funziona. Cosa funziona, e come farlo funzionare, è faccenda di chi scrive.
"Mi piace""Mi piace"
Un giorno un amico mi disse: “scrivere è facile, raccontare storie è facile, raccontare storie scritte è difficilissimo”… sante parole!
Una storia, secondo me, deve costituirsi di due elementi: azione ed emozione, combinati con una tecnica sapiente, che si acquisisce con il tempo. Per costruire buone trame occorre scrivere e leggere tantissimo: non esistono altre scappatoie.
Anche a me piace la realtà. Non scriverei un fantasy (a meno che non sia un urban) nemmeno sotto tortura. Cerco di rappresentare il mondo che conosco nelle mie storie, con tutte le sue brutture. E mi viene spesso detto che ho uno stile molto cinematografico. 😀
"Mi piace""Mi piace"
Quel tuo amico è saggio, ha proprio ragione. Fossi in te lo nominerei “lettore beta”, e gli farei leggere tutto quello che produci (se è d’accordo, ovviamente!). E avere uno stile cinematografico è un gran pregio!
"Mi piace""Mi piace"
Panini con le fette: quelli che a Palermo chiamano “pane e panelle”. Sapori che sono viaggi. Mica tecnica e fichi! 😉
"Mi piace""Mi piace"
🙂
"Mi piace""Mi piace"
Molta carne al fuoco in questo articolo (è un complimento sincero) e non so bene come commentarlo. “La scrittura è meno persuasiva dell’oralità” – verissimo. Con la gestualità e il tono della voce riesco a colmare le lacune della mia comunicazione verbale che, di per sè, è piuttosto fredda. Ma non posso fare lo stesso quando scrivo. “Devi raggiungere il lettore, i suoi sensi, e ci riesci solo quando parti non dalle idee, ma dalla carne. Questo è scagliare un grandioso attacco al proprio ego; chi scrive è presuntuoso” Quanto è vero! Quando ho smesso di scrivere per gioco, e ho cominciato a scrivere per necessità, la scrittura è diventato per me un momento inquietante, perchè sono costretta alla vulnerabilità. (E poi…i panini con le fette. La più grande mancanza di Venezia.)
"Mi piace""Mi piace"
Se hai “ceduto” alla vulnerabilità sei ben più avanti di quanto tu creda. Non è un cammino in discesa, e lo avrai già compreso da te, ma è consapevolezza di quanto costi scrivere. Ci sono un’infinità di mestieri pesanti, fisicamente, ma questo è comunque un mestieraccio.
Certo, non avere sotto mano i panini con le fette, rende tutto più fosco 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Il racconto ha poco spazio per prendere il lettore per il bavero e tirarlo dentro, quindi lo vedo come un distillato di storia. Se è annacquato non vale la lettura (ma può essere delicato, che è diverso). La tecnica in un racconto pesa meno che in un romanzo, secondo me, ma serve. Si può sapere tutto per istinto? Non è vietato, ma ci credo poco. La tecnica non ti dice come scrivere, ma ti spiega come reagiscono in generale i lettori ai vari elementi della narrazione. A me sembra utile, anche se poi decidi di fare di testa tua. Sono una fan delle basi tecniche, in effetti! 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Ho riletto da qualche parte quello che diceva Giuseppe Pontiggia a proposito del talento: criticava quanti, sventolandolo, non volevano sentir parlare di tecnica. In realtà ci vuole eccome, perché il talento senza disciplina, senza tecnica appunto, non ti conduce da nessuna parte. È solo un alibi per produrre robetta. Che cosa debba fare poi la tecnica è un affare un po’ complicato, diciamo che deve insegnare cosa “non” fare, a mio parere. Quello che occorre fare, è faccenda di chi scrive.
"Mi piace""Mi piace"
Concordo!
"Mi piace""Mi piace"
Eccomi qui Marco!
Sono d’accordo con te. Quando scrivo finisco con il perdermi tra le parole, fuggire nelle digressioni e nelle descrizioni da incanto. Quando scrivo parto da qualsiasi spunto utile: un’idea, un’ideologia, la bozza di un mondo nuovo, da un “e se fosse così?”, dal volto di un personaggio. E poi costruisco tutto quello che ci sta attorno. Le idee ci sono, le ideologie pure: ma più che di ego, credo che lo scrittore si faccia prendere la mano dalle parole, dall’idea che una storia possa essere troppo corta, troppo lunga, troppo qualsiasi-cosa. Ogni parola che utilizziamo ha un peso: sono loro che dobbiamo imparare ad utilizzare con parsimonia. Sulla tecnica sono d’accordo che debba esserci, ma la vedo come uno strumento per parlare con il lettore senza fraintendimenti. E io so benissimo di essere parecchio carente su questo punto, per altro (U.U)
"Mi piace""Mi piace"
Le parole affascinano in effetti, per questo ci perdiamo così facilmente. E la tecnica forse serve a mantenere la freddezza necessaria per domare proprio le parole.
Dici di essere carente di tecnica? Ma mi pare che la determinazione che sfoderi possa in breve tempo colmare questa lacuna. Poi, è impossibile dire che cosa ne verrà, immagino però che tu lo sappia già quanto sia imprevedibile la scrittura (o meglio: il mercato che ruota attorno a essa).
"Mi piace""Mi piace"