(Questo post è stato aggiornato il 23 marzo del 2019).
Non ci credi, lo so.
Non credi che scrivere un romanzo possa cambiare il mondo. Ma allora perché sei qui? Sei qui perché vuoi scrivere un romanzo: ma non sia bene da dove iniziare.
Vuoi scrivere un romanzo? Preparati a lavorare duro per molto tempo. Sei alla ricerca di trucchi e strategie veloci? Ecco un mio consiglio: nella scrittura non ci sono trucchi o strategie veloci. E se ritieni che basti seguire l’ispirazione, sei fuori strada o comunque finirai molto presto in un fosso. Per questa ragione si dice sempre, e lo si ripete in maniera ossessiva, di leggere: ma di leggere cercando di capire i meccanismi che tengono in vita una storia per pagine e pagine.
Adesso parleremo de “Il conte di Monte Cristo”, del buon Alexandre Dumas.
(P.S.: se non credi che un romanzo possa cambiare il mondo hai un problema).
Perché un romanzo cambia il mondo?
Alt! Non cambia il Mondo; ma il mondo. Vale a dire il tuo mondo che non è esattamente l’intero Mondo. Ci sono in effetti storie che ci colpiscono in modo così preciso che alla fine si pensa: “Ma questo scrittore mi ha aspettato! Ha scritto questo libro proprio per me!”.
Non è così, ovviamente. Però abbiamo la sensazione ch da lì in poi la nostra vita sarà un poco differente. E questo succede perché abbiamo accettato di metterci un poco in discussione. Solo in questa maniera il (nostro) mondo cambia. Ecco perché un sacco di gente legge e non cambia.
Perché legge soltanto; ma non permette a certe opere di “lavorare”.
Il Conte di Montecristo
Innanzitutto stiamo parlando di uno dei romanzi francesi più popolari al mondo, e più letti e tradotti. Da quando è stato pubblicato non fa altro che ricevere consensi, e schiere di lettori sempre entusiasti ne consigliano la lettura. È bene però ricordare che Dumas faceva parte di quella categoria di scrittori “snobbati” perché vendevano a vagonate; e per certa gente se vendi tanti libri allora non sei un “vero” scrittore. Dopo per “vero scrittore” queste persone intendono un autore che fa la fame, muore di fame, e scrive opere incomprensibili, criptiche e barbose.
Dumas per fortuna non faceva nulla del genere. Certo: “Il Conte di Montecristo” ha indubbi limiti. Personaggi tagliati con l’accetta, e via discorrendo: ma è una meravigliosa opera.
Da ricordare che il primo traduttore italiano… È senza nome. Probabilmente perché si vergognava di veder associare il proprio nome, a un mestierante come Dumas.
Io vorrei essere esattamente come Dumas…
Senza la tecnica, cadi
Per scrivere un romanzo è bene leggere molto, e cercare di imparare la lezione che i classici ancora oggi possono darci. “Il conte di Montecristo”, dunque. Al suo interno ci sono, in apparenza, un paio di elementi che potrebbero “far alzare il sopracciglio”. Il primo, forse il più grande: il tesoro.
È evidente che se il protagonista può contare su risorse illimitate, e distribuisce diamanti come fossero noccioline, qualunque piano abbia in testa sarà in discesa. Però qui interviene la capacità dell’autore che evita di usare con troppa facilità questo espediente. Mi sono domandato se io fossi in grado di costruire una simile architettura. La mia risposta: no. Gestire un così grande numero di personaggi; costruire un intreccio tanto esteso e fare in modo che non si ingarbugli, con una gestione dei personaggi oculata e formidabile (ma non priva di sbavature), temo che sia al di là delle mie già scarse capacità.
La tecnica ha svolto un ruolo determinante. Sono il primo a dire che il talento ci deve essere, e che è ferocemente antidemocratico: ma non può bastare. Se vuoi costruire un palazzo con delle caratteristiche architettoniche mai viste, devi comunque tenere conto della natura dei materiali da usare. Il cemento reagisce in un modo, il vetro in un altro, l’acciaio in un altro ancora.
Per questo motivo se desideri scrivere devi anche saper leggere: comprendere come costruire il meccanismo narrativo. È come un orologio, e ogni parte deve girare bene.
Il gusto popolare
Il secondo: ho avuto la sensazione di una certa forzatura nella costruzione della “trappola” in cui Dantès cade. Voglio dire: quando tutto inizia, il procuratore del Re non è presente a Marsiglia, ma c’è il suo sostituto. E quando costui si rende conto che nel piano per riportare Napoleone al potere è coinvolto il proprio padre, per Dantès è finita. L’assenza del procuratore, e la presenza proprio della persona che avrebbe rischiato ben più di Dantès, mi è parsa appunto una forzatura. O una coincidenza troppo fortunosa.
Ma davvero possiamo credere che questo importi al lettore? Siamo comunque davanti a una costruzione di eccellente qualità, troppo lunga forse (se non sbaglio Dumas veniva pagato a riga). Ma funziona. Queste sono questioni di lana caprina che sono colte da persone ciniche e vecchie come il sottoscritto. Dumas desiderava vendere. A chi magari gli faceva notare che era troppo popolare, faceva spallucce. Adesso ci troviamo a leggere lui, le sue opere, mentre di chi lo criticava, lo stroncava, non c’è più alcun ricordo. Lui sapeva che le persone semplici avevano necessità di identificarsi in un personaggio come loro. Giovane, onesto, ingenuo, e che naturalmente viene stritolato dal potere. Ma poi si vendica.
Anche se funziona, non basta!
La critica che si fa a questo modo di ragionare potrebbe essere: il fatto che un libro venda (funzioni, appunto) non è sufficiente. Non è un criterio di valore.
Qui la questione si fa interessante, in effetti. Se butto un’occhiata a cosa occupa la classifica dei libri più venduti, devo concludere che “quelli” saranno i classici di domani? Che cosa distingue un prodotto che vende e basta, da uno che vende ed è destinato a essere un classico? Non è semplice rispondere.
Cosa insegna il maestro Alexandre Dumas?
Che cosa insegna il buon Dumas? Sii semplice. Noi spesso siamo ammaliati da idee complesse, mirabolanti; personaggi macerati, tormentati. Sii semplice: prendi un giovane in fondo poco sveglio, e scaraventalo all’inferno. Deve essere simpatico però, o almeno il lettore si deve identificare in lui al massimo grado. Dantès non ha molta profondità, e se lo paragono a certi personaggi di Dostoevskij (Raskolnikov), perde alla grande. E allora?
Devi raccontare una storia, giusto? Il personaggio può anche essere banale, sempliciotto. Meglio: serve per agganciare i lettori (magari quelli deboli, che tu disprezzi perché conducono la Terra verso la catastrofe). Dumas ci è riuscito e siamo qui a parlare delle sue opere. Noi psicologi, fini pensatori, filosofi (de noartri) per vendere qualcosa ci buttiamo a corpo morto su SEO & Co. Forse quello che devi imparare (che devo imparare), è scendere davvero dal piedistallo. Per agganciare i lettori devi metterti al loro livello. Dopo, potrai condurli quasi ovunque…
Prima ho scritto: “sii semplice”, eppure “Il conte di Monte Cristo” tutto è, tranne che semplice. Dantès lo è, ma la storia ha tanti di quei personaggi, significati, risvolti… Ma proprio qui si può notare la grandezza di un autore. Riuscire a vendere così tanto, attraverso i secoli, parlando di temi non proprio da “bar dello sport”, non è da tutti.
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Prima la storia, poi il lettore
La costruzione di un romanzo ha molto in comune con la gestione di progetti complessi e con l’architettura. È un delicato gioco di incastri e di equilibri. Ma è divertente da morire, o almeno io mi ci diverto assai. È vero che lo pagavano a righe (o parole, o pagine, non cambia) e che questo ha avuto un impatto: però è stato bravo ad allargarsi mai più del necessario, sempre con in mente l’equilibrio.
È vero anche che le storie semplici, o “popolari”, sono meno divertenti da scrivere. Ma chi scrive ha un pubblico (si spera pagante): forse anche Bisio vorrebbe fare l’Amleto, ma fa il comico perché lo pagano (bene). Così chi scrive deve pensare a scrivere quello che la gente vuole, che non sempre è quello che desidera l’autore: potrà capitare che le cose coincidano, ma se ci si vuole pagare le bollette, o pagarsi la Jaguar…
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Be’, è vero. Potrei anche accontentarmi di una Fiat Panda, però!
A parte gli scherzi: non solo la costruzione di un romanzo è difficile, ma rappresenta una strana miscela di ingredienti. Di certo Tolstoj era meno popolare di Dumas, eppure vendeva, e affrontava argomenti difficili. Quindi credo che alla fine si debba seguire le proprie inclinazioni, tener conto dei propri limiti… e scrivere. Comunque, “Il conte di Monte Cristo” sembra facile, ma contiene parecchia roba che semplice non è. Invidio a Dumas questa capacità: da una parte offre al lettore quello che vuole (lo svago, un certo gusto per l’esotico), dall’altra c’è una riflessione sulla vendetta, sul perdono. Sul mistero della vita. E chi riesce a eguagliarlo? Io alzo bandiera bianca.
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Il tuo è un articolo perfetto, anch’io resto sempre stupita davanti alla quantità di personaggi che popolano certi romanzi.
E ognuno ha un carattere, un volto, una voce e tu leggi e non li confondi, ognuno è unico, eccola lì la capacità dei grandi scrittori, saper mettere in scena la vita.
E saper essere “semplici” come tu dici.
Mi capita spesso di fare queste considerazioni quando leggo il mio amato Zola, anche nei suoi libri come sai ci sono tantissimi personaggi, anche quelli di secondo piano sono sempre efficaci.
Bello arrivare qui e trovare il buon Dumas, grazie Marco, buon pomeriggio!
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Ah, Zola! E Balzac? Adesso ho tra le mani “Eugénie Grandet”, e pure il buon Balzac non scherzava per niente!
Buon fine settimana.
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Uh, Balzac, è vero, uno dei primi libri importanti che ho letto da ragazzina era proprio suo, Papà Goriot, ricordo che mi aveva affascinata, dovrei rileggerlo!
Buon fine settimana a te!
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Balzac dovrei tornare a frequentarlo, anche io anni fa avevo letto “Papà Goriot”. Ma purtroppo il tempo è quello che è!
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Sono riflessioni interessanti, che mi è capitato di fare di fronte ad altri classici. Penso che per semplicità si possano intendere due cose diverse: la semplicità della limitatezza, e quella della limpidezza. Mio zio portuale è semplice. Ma anche Emily Dickinson è semplice.
Penso di poter scrivere qualcosa di molto popolare per una precisa fetta di pubblico, che penso di aver già individuato. Ma non sarò mai una “scrittrice mainstream”. Non dò soddisfazioni emotive, non stimolo la voglia di vivere, e propongo un punto di vista troppo liminale,minoritario sulle cose. L’ansia è l’emozione più frequente riportata dai miei lettori.
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A me dicono che sono cupo. Non mi dispiace, ma non credo che riuscirei a scrivere qualcosa di diverso. Magari potrei creare dei “siparietti”? Mah, non so. Pure io non sarò mai mainstream, nemmeno se mi legassero a una palla di cannone e mi sparassero durante la finale del Super Bowl. Pazienza.
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