Le case editrici servono e ti spiego il perché


copertina il conte di monte cristo

 

Certo, le case editrici sono brutte, sporche e cattive e ce l’hanno con noi (e con me in particolare). Però non ci vuole molto a capirne il valore, l’importanza e il ruolo che sanno ricoprire quando svolgono bene il loro lavoro.
Per esempio, grazie a una piccola casa editrice si scopre che…

Tu leggi autori stranieri, ma cosa leggi?

Passo indietro, prima.
Durante la lettura de “Il conte di Monte Cristo” ho fatto una scoperta. Tutti noi che abbiamo affrontato questo poderoso romanzo, abbiamo letto una versione censurata ed epurata. Ma questo un po’ lo immaginavo. Anni fa, mi ero imbarcato nella lettura (in francese; che però non conclusi), del romanzo di Émile Zola “L’Assommoir”. E scoprii che nell’edizione in italiano mancavano delle frasi ben presenti in quella francese.
In passato su questo blog ho parlato dello scrittore islandese Thor Vilhjálmsson, che aveva tradotto “Il nome della rosa”. E rivelava come il “collega” tedesco avesse aggiunto delle frasi (era pagato a riga, probabilmente), mentre quello statunitense aveva eliminato le parti del romanzo secondo lui troppo difficili per essere comprese dal pubblico.

C’era una volta un piccolo editore…

In realtà quel piccolo editore c’è ancora, è Donzelli, e ha scoperto che le traduzioni che vediamo in libreria de “Il conte di Monte Cristo”, risalgono tutte a un’unica, la prima, del 1869. Magari un po’ corrette e rivedute, ma è lei che leggiamo ancora oggi. E chi è l’autore? Non si sa: è un anonimo traduttore. Probabilmente non amava Dumas, il suo successo troppo “popolare”, per questo non sappiamo il suo nome. Non desiderava “mescolarsi” con qualcuno tanto amato dal pubblico.
Negli anni Ottanta, scopre ancora Donzelli, Mondadori ristampa questo romanzo, ma non può certo mettere “Traduzione a cura di un anonimo”, e che fa? Bam! Ecco a voi Emilio Franceschini.

Carneade! Chi era costui?

Già, chi era? Donzelli fa le sue ricerche e non cava un ragno dal buco. Non è mai esistito tal Franceschini, è un nome inventato. Come è possibile tutto questo? La risposta è ancora di Donzelli: siccome Dumas era considerato un autore di seconda categoria (esatto: uno di quei brutti-scrittori-brutti che vendono tanto-tanto), si ricorreva alla prima (e di fatto unica) traduzione, senza minimamente preoccuparsi di verificarne la qualità. Tanto si vendeva comunque, giusto? Ci sarebbe anche da chiedersi come è possibile che una grande casa editrice come Mondadori non sia stata capace di un po’ di indagine, negli anni Ottanta. Avrebbe svolto un ottimo servizio a tutti noi. Per fortuna ci sono le piccole case editrici. Donzelli ha dato alle stampe una meravigliosa edizione de “Il conte di Monte Cristo”. Ma pure Garzanti ha svolto un lavoro di traduzione, accurata e rispettosa. Però, senza un editore piccolo e tenace, continueremmo a leggere un classico, differente da come lo ha concepito e scritto il suo autore.
Quindi? Viva le case editrici che fanno le case editrici; soprattutto quelle piccole perché i colossi, come si vede, hanno la testa rivolta altrove.

La domanda delle 100 pistole

E tu, comprerai una delle due edizioni “genuine” de “Il conte di Monte Cristo”? Ma soprattutto: cosa pensi delle case editrici?


Prima la storia, poi il lettore

9 commenti

  1. Domanda di riserva? 🙂
    Credo di non avere ancora letto Il conte di Montecristo. Non sono certa che mi possa piacere: ho sempre quella mania assurda delle storie ambientate nel 2015 (oggi, ma l’anno prossimo mi piaceranno ambientate nel 2016).

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    • Be’, il Conte è il Conte! Fa la sua bella figura! 🙂
      Certo, è lungo, a volte pensi che lo è persino troppo (ma lo pensi quando stai per riprenderlo: quando ci sei dentro, no). Insomma, un’occhiata gliela darei…

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  2. Purtroppo non ho ancora letto questo classico, quindi su Dumas non posso pronunciarmi. Delle case editrici penso che siano necessarie. Come idea, continuo a preferire il libro edito con una casa editrice, piuttosto che l’autarchia del self-publishing. Tuttavia, la mia idea di casa editrice buona è molto distante dalla realtà. Spesso le traduzioni sono fatte con i piedi; il traduttore viene trattato come un operaio, mentre è di fatto un ri-scrittore. Dalle case editrici più importanti viene portato avanti un concetto sbagliato, vigliacco e pigro di marketing che non sfrutta a pieno le potenzialità del libro come prodotto. Inoltre, mi permetto uno slancio di idealismo, tanto per far incavolare qualcuno: le case editrici selezionano e vendono idee, sentimenti, opinioni, e quindi sono parzialmente responsabili dei pensieri che abbiamo in testa. Mi piacerebbe che, come accadeva 50 o 60 anni fa, gli intellettuali lavorassero nelle case editrici (e non solo gli imprenditori), per dare un paio di occhi, e non solo il naso per la grana, a questa industria.

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    • Se non ricordo male, la prima casa editrice a pubblicare Raymond Carver in Italia fu Mondadori, ma non riuscì a farlo apprezzare. Se adesso si parla di più di lui, lo si deve a Minimum Fax (anche se adesso Einaudi cura i racconti dello scrittore).
      Io temo (ma non sono sicuro), che nelle case editrici qualche intellettuale ci lavori ancora… A volte ho la sensazione di vivere in un periodo di “Fine Impero”, dove tutto precipita. Ma forse esagero, non vedo l’alba che sta arrivando. Perché l’alba sta arrivando, vero?

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  3. Adesso che so che esiste, cercherò sicuramente l’edizione senza coloranti e conservanti. 😉 Tra l’altro è un romanzo che mi attira già da un po’ di tempo. Non ho letto i tuoi articoli sull’argomento per non farmi idee preconcette.

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