3 domande al termine della revisione di una storia


3 domande al termine di una revisione

Ha senso domandarsi: che cosa ho imparato al termine della revisione di un proprio testo? Questione forse peregrina, ma sulla quale ho riflettuto qualche giorno fa, per questo adesso devi sorbirti il post (non è vero: puoi sempre passare ad altro!). In realtà le domande che mi sono fatto erano ben più di una, sono 3; ma potrebbero essere di un numero maggiore. Però mi sono limitato…

La revisione di una storia

Dopo mesi di lontananza, ho finalmente ripreso in mano una storia, perché è tempo di rivederla. Prima di inviarla all’editor, le ho dato una bella occhiata, e ho tagliato, rivisto, corretto… No, non puoi fare a meno di un altro paio d’occhi. La mia idea è che l’editor debba essere del sesso opposto al proprio. Ma forse è solo una fissazione che ho sviluppato, causa l’età. L’editor dopo qualche giorno, o settimana, mi passerà la storia, io effettuerò le correzioni suggerite (tutte, o in parte, dipende!).
Questo processo si moltiplicherà per tutte le storie che ho scritto (11 racconti: oltre 80.000 parole; 220 pagine; circa 470.000 caratteri). Una volta terminata questa fase… Altra pausa! Quindi riprenderò i racconti, li rivedrò ancora una volta. Li manderò all’editor per un’ultima lettura. E io dopo averli ricevuti indietro farò una ennesima revisione finale.
Alla fine l’intera raccolta sarà pronta. Non sarà perfetta, ci mancherebbe altro, ma sarà quanto di meglio i miei poveri mezzi cerebrali possono ancora permettersi.
A questo punto ecco le 3 domande da farsi.

Le 3 domande di uno scrittore

Che cosa hai imparato?

In che cosa sei riuscito a migliorarti?

e soprattutto:

ti sei divertito/a? 

Possono sembrare questioni irrilevanti, ma in realtà sono fondamentali. Non puoi rispondere andando di fretta, ma prendendoti tutto il tempo che occorre. Un fine settimana potrebbe bastare, o forse no; dopo tutto in ballo c’è il tuo mestieraccio di scrivere, ricordi? Questo potrebbe essere un discreto sistema per capire se vai da qualche parte, oppure giri in tondo.
Intanto, provo a rispondere io, che sono quasi al termine del processo di revisione dei miei nuovi racconti.
Ho imparato che devo tenere gli occhi su quello che accade, che è importante. L’azione, insomma. E qui per azione non intendo i colpi di scena, le esplosioni: non c’è niente del genere nelle mie storie. Ma ho ancora questa maledetta propensione a scrivere troppo, a mettere frasi che non servono assolutamente a nulla. Semmai, a distrarre il lettore, ad allontanare l’attenzione da quello che conta. Questo è un aspetto che senza un editor non sarei riuscito a vedere. Avrei intercettato forse le ripetizioni, i refusi: mai queste cose. Lo riscrivo: mai. Eppure io adoro Raymond Carver, come è possibile cadere ancora in queste trappole? Domanda inutile: se scopri un difetto nella tua scrittura non chiederti solamente: “Perché ci casco”, ma lavora per eliminarlo.
In che cosa mi sono migliorato? Credo di aver lavorato meglio sui dialoghi. Ho cercato (non è detto però che ci sia riuscito) di rendere la storia e lo sviluppo dei personaggi più interessante e convincente. L’estensione dei racconti (sono più lunghi di quelli di “Non hai mai capito niente”) non mi pare che incida sulla tenuta e qualità del testo. Ma questo non lo posso certo dire io, sarà il lettore a decidere. Soprattutto, la maggiore “lunghezza” di queste storie non è frutto del desiderio di allungare il brodo, ma è stato qualcosa di naturale. Mi sono accorto che riuscivo a farlo. Ma ribadisco: il giudizio finale spetta al lettore.
Mi sono divertito? Certo, si capisce! Anche se le storie non sono certo costruite per smascellare dalle risate, io mi sono divertito. Magari a mia insaputa, ma mi diverto sempre. Non manca certo l’impegno, le arrabbiature perché saltano fuori ripetizioni (mi raccomando: leggi a voce alta. Ti daranno del matto/matta, ma se scrivi non hai tutte le rotelle a posto, giusto?). D’altra parte “divertire” deriva dal latino e significa “volgere altrove”: la scrittura è proprio questo volgere altrove per tornare a guardare a quello che abbiamo qui, ora, con uno sguardo differente. Ma solo se ci lasciamo sfidare…

La domanda delle 100 pistole

In realtà non c’è affatto “la” domanda, bensì le domande: Cosa hai imparato al termine della revisione delle tue storie? In che cosa pensi di esserti migliorato? Ti sei divertito/divertita?


Prima la storia, poi il lettore

16 commenti

  1. “Ma ho ancora questa maledetta propensione a scrivere troppo, a mettere frasi che non servono assolutamente a nulla. Semmai, a distrarre il lettore, ad allontanare l’attenzione da quello che conta.”

    …Senti, perché non creiamo un circolo di “infodumpatori” anonimi? Io sono Chiara e voglio uscire dal tunnel!

    Sui dialoghi sto lavorando anche io, al fine di renderli il più realistici possibili.

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  2. Ho trovato queste domande interessanti e soprattutto inaspettate. Non avrei mai pensato di chiedermele, specialmente quella sul divertimento che si dovrebbe provare durante la scrittura. È ora che mi faccia un esame di coscienza e cerchi di capire perché la paura di non farcela sta prendendo il posto dell’entusiasmo dei primi tempi!

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    • Be’, credo che la paura sarà sempre la tua compagna. Non saprei cos’altro aggiungere, o forse sì. Magari devi accettare che sei al servizio della storia, e non il contrario? Se guardi alla storia come a uno strumento per te e basta, rischi in breve tempo di essere schiacciata dall’impegno, e di perdere l’entusiasmo.
      Quando al contrario sei lo strumento della storia, le difficoltà resteranno sempre ma ti sarai liberata delle costrizioni che ti eri imposta. Affronterai la pagina con un fardello in meno. Però mi rendo conto che parlare in questo modo è un po’ troppo facile, e generico, col rischio di scrivere delle banalità…

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  3. Ciao Marco, quello della revisione è un momento molto delicato.
    Io sono alle prese con un romanzo in questo momento e devo dire che è un lavoro duro.
    In passato ho sempre scritto racconti brevi, pubblicati in raccolte ed è la mia prima volta con un’opera del genere!
    E’ passato molto tempo da quando ho iniziato a scrivere il libro e rileggendolo, trovo sempre qualcosa da cambiare, oltre che correggere.
    Anche io credo che l’unica motivazione vera sia il divertimento, il piacere che provo nel conoscere di nuovo i miei personaggi, le loro parole, i dialoghi.
    Il rischio è che mi affezioni troppo e poi non riesca a lasciarli andare! 🙂

    Buona scrittura a tutti!

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    • Ciao!
      Anche io sono alle prese con un romanzo, ma sono ancora in alto mare. D’altra parte, divertirsi non significa sottovalutare la fatica, o sminuire il valore della scrittura. Occorre essere seri per divertirsi, e per far riflettere.
      In bocca al lupo per la tua revisione!

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  4. Ma siamo tutti in fase di revisione adesso 😛 ?
    Passerà molto tempo prima che io possa dire di aver terminato la revisione, ma sto imparando veramente tantissimo, sono… invegendata, in senso positivo, dalla mole di problemi che devo e dovrò affrontare. Sto tenendo un “diario di bordo” in cui sfogo il bagaglio emotivo e mentale che accumulo durante la revisione, e ogni tanto mi stupisco della quantità di insulti che rivolgo a me stessa, le mie ingenuità stilistiche e narrative, i miei effettacci da due soldi ecc. Ho anche provato la ridicola sensazione di essere offesa con me stessa. Comunque quando sentirò di essere arrivata a buon punto, arriverà un post a tema.

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    • Certo che se usi termini esoterici come “invegendata”, le persone penseranno che siamo parte di qualche setta 🙂
      È vero, durante la revisione il critico è come Attila, e si aggira tra le righe sghignazzando e colpendo con l’ascia ogni periodo. Però qui a mio parere è necessario uno sforzo di volontà per restare concentrati sulla storia. Il fine di Attila è distrarci e allontanarci da essa, scatenare il caos sulla pagina. Ridurci all’inattività (“Ehi, fenomeno! Vorresti fare concorrenza a Tolstoj? A Simenon? Secondo me il naso rosso da clown ti renderebbe più autorevole!”). Quando al contrario si riesce ad abbassarne il suo tono per concentrarsi sulla storia (solo lei importa), ci si rende davvero conto di cosa funziona e cosa no. Lui non è un amico, ma un avversario, quindi non vuole il tuo miglioramento, ma il tuo silenzio. Sia chiaro: non lo farai mai tacere. Alzerà la cresta quando riceverai la prima stroncatura (“Hai visto? Un naso da clown costa pochissimo! Corri a comprarne uno!”). E quando sarai all’Accademia a ritirare il Nobel lui non ti mollerà di certo (“I clown sono sempre molto popolari, vero?”). Ma sarai riuscita a scrivere buone storie.
      E nel diario di bordo, scrivi anche quello che ti riesce!

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  5. Meglio che io non mi chieda se mi sono divertita quando arrivo al termine della revisione! A quel punto ho talmente a nausea la storia che non credo più nemmeno negli aspetti che all’inizio mi erano sembrati eccezionali. Posso dire che mi diverto quando inizio la revisione, perché migliorare il testo mi piace molto, e poi mi diverto quando lo rileggo a qualche mese di distanza dalla revisione. Di solito sono piacevolmente stupita: ma dai, davvero l’ho scritto io? Mirabile esempio di autostima… 😉

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    • Be’, anche io spesso mi dico: “Ho azzeccato un verbo e un sostantivo!”, ma cerco anche di non diventare troppo duro o severo con il mio lavoro. Anni fa immaginavo di essere chissà chi, e di avere chissà quali compiti. Adesso tento di rilassarmi e mi dico: “Non sto operando a cuore aperto”, e in questo modo divento più sereno. E un po’ mi diverto così.

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