Inbound marketing e autopubblicazione


investire in un blog

(Post riveduto nel luglio del 2018).

 

 

 

 

 

Inbound marketing: che cos’è? E cosa unisce l’inbound marketing al blog (e sin qui ci siamo), ma soprattutto all’autopubblicazione? Insomma, con quegli strani esseri che scrivono racconti, romanzi, li autopubblicano per esempio su Amazon e usano (appunto), il blog per costruire la loro piattaforma di lettori?
Se continui a leggere cercherò sia di spiegarti che cos’è l’inbound marketing; perché dovresti usarlo se autopubblichi, e come può essere efficace per i tuoi contenuti. Sia quelli che pubblichi sul blog (ovviamente), ma soprattutto per le opere che pubblichi su Amazon o altrove.

Sei pronto a scoprire che cos’è l’inbound marketing?

Lo scrittore indipendente nel XXI secolo

Prima di rispondere alla domanda su che cos’è l’inbound marketing, è sempre bene ricordare che lo scrittore indipendente del XXI o si costruisce la sua piattaforma di fan (cioè: i suoi lettori), oppure ciccia. Vale a dire: resterà nell’ombra, non venderà nulla, riceverà pochissime recensioni e se la prenderà col mondo intero, con le case editrici, perché tutti ma proprio tutti ce l’hanno con lui. In realtà dovrebbe prendersela solo con sé stesso, e nessun altro. Se produci TU i tuoi libri; se li auto-pubblichi TU: sei sempre TU il responsabile del tuo fiasco, non altri. Devi assumerti le tue responsabilità: nessuno ti ha obbligato a scrivere, né te lo ha ordinato il medico. Quindi il fallimento è da ascrivere integralmente a te e a nessun altro. A una colossale sottovalutazione dei più semplici meccanismi di vendita, di come funziona la Rete, e anche (ma forse soprattutto), a una grave mancanza di buonsenso.

I lettori (è un concetto con il quale devi fare amicizia) non hanno bisogno delle tue opere. Hanno già tutti i libri che desiderano: Carlo Emilio Gadda, Ferdinando Camon, Giovanni Testori, Giuseppe Pontiggia (spero che tu conosca qualcuno di questi scrittore). E pensare che basti presentarsi per vendere: be’, è ridicolo (e sto utlizzando un eufemismo).

Hai quindi bisogno di un media che sia tutto tuo, dove raccogliere i tuoi contenuti di qualità, da diffondere. E hai pure bisogno di tempo, perché un blog richiede tempo, almeno un anno, perché riesca a conseguire i primi risultati.

Leggi: Creare un blog a cosa serve?

Però il titolo di questo post parlava di “inbound marketing”: vediamo di conoscere più da vicino questo strano termine anglosassone

Che cos’è l’inbound marketing

Per spiegare finalmente che cos’è l’inbound marketing ci sono un sacco di definizioni sulla Rete, e perciò potrei indirizzarti a uno dei (tanti) siti che ci sono e chiuderla qui. Ma desidero esporti la mia opinione.

Chi scrive (come il sottoscritto, oppure tu che leggi pieno di speranza queste righe), ha un bisogno impellente: trovare i lettori. Mi correggo: i suoi lettori. Qualcosa forse è riuscito a fare, ma desidera (come è giusto che sia), combinare un po’ di più. Quindi si inventa le più diverse strategie per acquisire più visibilità: frequenta per esempio le reti sociali (Facebook, oppure Twitter oppure entrambe); pubblica interessanti contenuti sul suo blog. Il risultato però è… magro.

L’inbound marketing crea le condizioni affinché sia il lettore ad avvicinarsi a te, e non viceversa. Sono cioè essi (i lettori certo), a cercare te. In fondo è il sogno di ogni scrittore indipendente del XXI secolo, vero? Tutti cercano (spesso a sproposito), Stephen King, e tu vorresti essere cercato come lui. Sia chiaro questo: l’inbound marketing NON fa miracoli, non è LA soluzione che in breve tempo ti renderà il punto di riferimento. Niente del genere. Non ci sono scorciatoie o trucchi (almeno: a me non interessa niente del genere), ma solo duro lavoro. E il duro lavoro richiede:

tempo;

energie.

Ma torniamo all’argomento di questo post: l’inbound marketing. Se ti conosco un poco, caro lettori o cara lettrice di questo blog, starai pensando che in fondo si tratta di una emerita sciocchezza, frutto di tutta la fuffa che esiste sulla Rete (che effettivamente è un habitat ideale per la fuffa).
In realtà è meno sciocco e scontato di quanto appaia. rifletti ancora una volta sulla definizione di inbound marketing:

Inbound marketing: non sei tu che cerchi i lettori, sono i lettori che devono trovare te.

Se ci pensi su un paio di secondi ti renderai conto che ti trovi a che fare con una specie di rivoluzione copernicana. Tu, come il sottoscritto, ti sei sbattuto per trovare dei contenuti capaci di interessare, di incuriosire. Ma poi, stringi stringi, che cosa hai ottenuto? Che alla fine ti sei dovuto sbattere come un matto per trovare qualche lettore in più (in genere per perderlo dopo poco tempo). E ti sei ritrovato al punto di partenza. Decisamente frustrante, vero?

D’accordo. Diciamo che sei arrivato a leggere sino a questo punto; sai di che cosa stiamo parlando, e magari mi dai pure ragione. E adesso? Vale a dire: come diavolo posso riuscire a fare in modo che le persone cerchino ME, e non il contrario?

Inbound marketing e autopubblicazione

Un autore indipendente, o che si autopubblica, racconta storie, le scrive, le “impacchetta” per poi pubblicarle su Amazon, oppure altrove.

Leggi: Dove acquistare i libri: Amazon o IBS?  

Lo fanno tutti con scarsi risultati. In parte perché il 95% delle persone che scrivono, non sanno scrivere. Lo fanno perché pensano che sia semplice, facile, non ci voglia nulla e che in breve tempo diventeranno ricchissimi. Ovviamente questi tipi non leggono nulla, non ne hanno voglia né tempo, e se qualcuno gli fa notare che scrivono con la parte anatomica che usano per stare seduti, si infuriano pure.
Io mi rivolgo a quello striminzito 5% che legge, legge tanto, legge in un certo modo (per carpire i segreti dei grandi scrittori), e si ritrova con un pugno di mosche. Costoro devono trovare il loro pubblico.

la scrittura è difficile banne

In vendita su Amazon.

 

Per fare in modo che le persone ci cerchino, dobbiamo fornire loro non contenuti promozionali (“Ho pubblicato un libro!!!!!!“), ma fornendo loro informazioni utili. Lo so: sei scettico. Quali informazioni posso fornire a dei lettori, affinché diventino i miei lettori?

La domanda è meno superficiale di quanto appaia. In fondo sappiamo che lo scrittore, sino a poco tempo fa, scriveva il suo romanzo, lo impacchettava, lo spediva all’editore; e se era abbastanza buono, era fatta. Di tutto il resto si occupava appunto l’editore. Era lui che contattava (e lo fa ancora oggi) radio e televisioni (locali o nazionali), redazioni di giornali, ed era sempre lui che organizzava incontri in libreria, o nelle fiere del libro.

Ma tu, come il sottoscritto, abbiamo fatto una scelta differente: siamo autori indipendenti. Ci autopubblichiamo. E se sei qui e leggi queste frasi, è perché i tuoi risultati, per usare una espressione modesta, sono ampiamente sotto le attese. Che cosa è successo?

No: che cosa NON è successo?

Quando un lettore arriva per esempio su questo blog, sa bene chi sono: l’immagine della testata mi pare che non lasci adito a dubbi.

 

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Sono uno strano tipo che scrive storie, che autopubblica. E il lettore SA che sono qui anche per vendere le mie opere. Ma lui prima di comprare… Ai suoi occhi sono un magnifico sconosciuto. Quindi di certo legge, e poi se ne va. Tornerà? E se non tornasse più? Perché i lettori nella maggior parte dei casi non tornano?
La risposta (dolorosa) è: perché la tua voce non è abbastanza unica. Si confonde nella massa delle altre voci, è solo una delle tante. Non si percepisce la sua particolarità, la sua unicità, e non la puoi certo creare affermando ripetutamente che “Ho scritto un romanzo!!!!“.
E allora? Lo fanno tutti.

In realtà chi racconta storie ha un sacco da dire. Ha un sacco di informazioni utili da condividere, e un discreto mucchio di opportunità per essere infine “ricercato” dai lettori proprio perché unico.
Sei unico quando ti distingui dalla massa, ovviamente.
Qualche consiglio? Perché no!

Scrivere recensioni dei libri che leggi. Fornendo spunti di riflessioni inediti. Io per esempio ho un canale su YouTube. Parlo ovviamente di libri, ma non dei soliti libri. Spesso recensisco autori di nicchia, libri che non hanno avuto molto successo, che non sono finiti in classifica. E faccio tutto questo per mezzo di un format che io reputo originale: 5 minuti. Di solito su YouTube trovi recensioni di libri che durano 20 minuti, persino di più. Io ho scelto qualcosa di più snello, veloce e (spero) godibile.

Iscriviti gratis al mio canale YouTube.

Pubblicare brevi racconti. Il blog forse non è adattissimo a pubblicare racconti a puntate. Esiste il rischio che le persone arrivino alla puntata numero 9 e non abbiano voglia di andare alla prima e ricominciare. Ricordati sempre che si legge su degli schermi (tablet o cellulare), che affaticano gli occhi. Le prsone non amano molto passare tempo su uno schermo. Ma un racconto breve può essere un buon sistema per mostrare a chi non ti conosce come scrivi, il tuo stile, il tuo modo di affrontare e proporre una storia.

Leggi il mio racconto “Resurrezione”.

Esprimi il tuo punto di vista. Su che cosa? Soprattutto sulla scrittura, l’editoria, perché in fondo tu sei uno che scrive storia, giusto? Evita però di scivolare nella polemica, e anche di attaccare qualcuno. Di solito questi comportamenti polemici hanno un buon riscontro, anche perché un po’ tutti conosciamo il “metodo Vittorio Sgarbi”. Però lui ha soldi e un ufficio legale che lo difende da una denuncia; e tu? Probabilmente no. Inoltre se questo genere di contenuti possono farti emergere, alla lunga potrebbero associare al tuo nome la nomea di polemista e attaccabrighe. Certo, se è quello che vuoi, e se te lo puoi permettere (ribadisco il concetto di poco prima: ce l’hai unbuon ufficio legale), puoi ignorare i miei avvertimenti (e tanti auguri). Io penso che non sarebbe il modo giusto per emergere.

Leggi: Perché Prime Reading di Amazon dovrebbe darti una svegliata (se autopubblichi)?

Scrivi post utili. I post utili: per i lettori e anche per gli altri autori che si autopubblicano, certo. Perché no? Se un blog serve eccome per creare una conversazione che alla lunga di condurrà a emergere, può essere interessante e proficuo stringere collaborazioni con altri autori che si autopubblicano. Se tu guardi a chi pubblica in modo indipendente come a un avversario o peggio: come a un nemico… Hai un grosso problema. Se invece condividi con gli altri quello che impari, che sai e conosci (come io cerco di fare su questo povero blog: alla lunga riuscirai a emergere come una persona schietta e disponibile.

Leggi: Come usare lo strumento “Incorpora” di Amazon?

Inutile aggiungere, a questo punto, che l’inbound marketing trova la sua “casa” ideale proprio sul blog. Non certo nei pochi caratteri di Twitter o sulle pagine di Facebook. Un altro buon motivo per aprire un blog.

 


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19 commenti

  1. Bella domanda!
    È esattamente la conversazione il fine cui miro utilizzando il mio blog; lo vivo come un luogo di incontro, ma questo già l’ho detto in qualche tuo precedente post. Diffido, ormai, dei blog “vetrina” per pubblicizzare la propria opera, pur essendo partita con questa idea (non per niente il mio blog è stato a lungo parcheggiato in rete, non frequentato nemmeno da me!). Adesso so ciò che voglio ed è ciò che consiglierei a chi vuole aprire uno spazio virtuale: scegliere un ambito operativo, perché parlare di tutto è improduttivo, tranne, forse, in taluni casi e provare a stimolare riflessioni, anche perché il miglioramento viene soprattutto dal confronto.

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  2. Considerato che il blog è irrilevante dal punto di vista promozionale, resta il gusto della conversazione, che è grande. In prospettiva, il blog può anche permetterti di restare in contatto con il tuo pubblico, a patto che tu quel pubblico te lo sia creato usando altri canali. Il principale attivo, comunque, è condividere la tua esperienza con gli altri. Mi piace il blogging tra colleghi, fa famiglia. 🙂

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    • Il blog e in genere le reti sociali non aiutano a vendere nulla. La condivisione delle proprie idee ed esperienze, la conversazione che si viene a creare, queste sono la forza del blog.
      All’idea del blog come famiglia confesso che non avevo mai pensato 🙂

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  3. Personalmente non credo né a twitter, né a Facebook o similari. Twitter è più agile e immediato ma alla fine perdi un sacco di tempo e difficlmente sai quanto sei letto nel marasma di migliaia di tweet. Facebook è invadente, pretende di imporre il suo pensiero, esattamente come fa google. Quindi da questi due ci giro al largo.
    Il blog è una tua creatura, che puoi plasmare come vuoi sia graficamente, sia nei contenuti. Ma in particolare c’è contatto con i tuoi lettori, tutti virtuali è vero, ma sicuramente persone.
    Come mezzo di far conoscere il tuo prodotto, non vedo una gran utilità. Forse ti permette di vendere qualche libro in più ma dubito che sia il cavallo di Troia per sfondare nel modo letterario.

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    • Sì, il blog è il mezzo che gestisci completamente, decidi contenuti, quando e se e come pubblicare. Inoltre, ci sono i commenti che lo rendono vivo.
      Le reti sociali: qui la faccenda è complessa. Facebook per esempio è perfetto se desideri aumentare il numero di lettori. Twitter invece è più indicato per creare relazioni anche professionali. Sto semplificando parecchio, ma è così che funzionano. Per quanto riguarda i tweet, i tuoi (per esempio, quelli rilanciati dal tuo blog) adesso presentano una funzione che indica visualizzazioni e interazioni.

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      • Su twitter hai ragione. Un mezzo agile per avviare un’iterazione. Su FB ho dei dubbi che riesca a catturare dei lettori. E’ troppo autoreferenziale per essere un buon veicolo. Diciamo che è moda e basta

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      • Facebook è più popolare: se vuoi aumentare i tuoi lettori è lì che devi andare a pescare. Questo almeno è quanto affermano quelli che lo usano pesantemente e riescono a “tirare su” dei bei numeri. Non sono pochi gli autori del tutto privi di blog e che riescono a piazzare i loro libri solo con Facebook.

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  4. Mumble. Allora, brevemente: credo che la presenza online sia necessaria per chiunque abbia qualcosa da dire. Che sia un blog o un sito o una pagina sui social, ci deve essere e basta. Si deve avere un indirizzo da qualche parte, esattamente come si ha l’indirizzo di casa. Se si vuole essere trovati, ovvio. Per fare webmarketing il blog è necessario, per essere autori la faccenda si complica, si intreccia con l’autorevolezza… e c’è la faccenda dello scrivere fiction o non-fiction. Nel secondo caso è più semplice, nel primo molti dicono che il blog non serva a nulla se non a socializzare con altri autori.
    Sto pensando ad alta voce, praticamente. Meglio che non dica altre scemenze, magari prima mi faccio un bel giro, ci sono un sacco di articoli che mi attirano!
    Ciao Marco, alla prossima 🙂

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    • Ciao e benvenuta!
      Concordo con quello che… pensi ad alta voce. 🙂
      A che serve il blog? A creare conversazione, relazioni. A farsi conoscere. A dimostrare di che pasta sei fatta/o, il tuo percorso. Non a vendere? Non credo proprio. Per riuscirci devi smuovere migliaia di visitatori, e per avere migliaia di visitatori devi per forza trattare di certi argomenti (che io invece, escludo). Certo, qualcuno dice che ruba spazio alla scrittura. O forse no, non ruba niente, è solo un mezzo per far arrivare la propria scrittura alle poche persone che ci leggono.

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      • Ecco, questa te la rubo: “è solo un mezzo per far arrivare la propria scrittura alle poche persone che ci leggono.”. Non essere letta è la mia paura più grande.

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      • Be’, è impossibile non essere letti: qualcuno (una decina?) ci leggerà di certo.
        La realtà è che, come tutti, vuoi vendere migliaia, anzi, centinaia di migliaia di copie. Orsù, confessa 🙂

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      • Vuoi sapere il mio grande, inconfessabile segreto? Vorrei un avallo alla mia attività di “animatrice” del Laboratorio di Scrittura. Le persone che hanno partecipato, posso dirlo in tutta onestà, sono state felicissime. Una ragazza che ha già delle pubblicazioni alle spalle mi ha detto e ripetuto che ad ogni serata si è portata via qualcosa su cui ha lavorato, poi, nel weekend. Che scrive meglio di quando ha iniziato. Ho gente che era venuta per la parte dedicata alla lettura critica… che ha iniziato a scrivere. Quattro di loro erano disposti a pagare per un servizio di coaching finalizzato a terminare il loro libro. Eppure? Eppure io mi guardo allo specchio e penso: ma tu chi ca**o sei per insegnare alla gente a scrivere? Loro mi chiamano “insegnante” e io ribadisco, sempre, “animatrice”. In realtà ho scritto, sì, e non poco, ma là fuori non c’è ancora nulla con il mio nome sopra. Ecco: vorrei avere un bel libro nel mondo, in modo da smettere di sentirmi una che ruba un ruolo, un nome. Loro sono contenti, per me non è abbastanza. Una volta fatto questo, allora sì, posso dedicarmi anche alle 10.000 copie XD Ma la cosa principale te la riconfermo, Marco: è essere letti. Sentirti dire “Il tuo libro, la tua storia, mi hanno fatto crescere/ridere/piangere/cambiare/maturare”. A me è successo, ma non in queste vesti. Voglio che mi succeda sotto il sole e con il mio nome vero.

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      • Se posso darti un consiglio: non flagellarti, tanto ci penseranno gli altri a farlo 🙂
        John Gardner era l’insegnante di scrittura di Raymond Carver e insegnava all’università senza aver mai pubblicato un libro. Soltanto in certi, bizzarri Paesi c’è l’idea che il diploma (o il libro) avalli le qualità e i meriti di una persona. In altri Paesi, anch’essi bizzarri in realtà, si guarda alle qualità e ai meriti di una persona, e solo dopo a diplomi, lauree e robe del genere.
        Sull’essere letti: bisogna inventarsi qualcosa! Pure io ci sto pensando, magari ne parlerò prossimamente…

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