Come scrivere una storia popolare? Che piaccia a un sacco di persone? Che faccia inorridire certa bella gente che quando vedrà il libro in cima alla classifica dirà “Oh! Come siamo caduti in basso! La gente legge queste porcherie!”.
La risposta?
Non lo so.
Non ho mai scritto qualcosa di davvero popolare, o forse sì ma non ho saputo pubblicizzarlo in maniera adeguata.
Tutto quaggiù vola!
Spesso e volentieri leggiamo certi autori e siamo ammaliati dalla loro capacità di scrittura, non è vero? Ah, quanto sono bravi. E anche quando cominciamo a scrivere continuiamo a scordarci di guardare oltre la loro abilità. Anzi: non ci rendiamo conto che la “radice” della loro abilità è… la popolarità.
Se parliamo di Stephen King, non ci riferiamo certo a un autore di nicchia. Il buon King è partito da un genere disprezzato (ancora adesso) per costruire la sua fortuna. Tutti sappiamo che “It” non esiste, però mentre lo leggiamo, e l’occhio per caso ci cade su un tombino, per una frazione di secondo ci troviamo a pensare che forse, là sotto…
Non è solo la magia della scrittura. Forse è tempo di smettere di usare questo termine che confonde le menti, pure le acque, e fa credere che lo scrittore (popolare) sia solo uno che ha scovato l’ingrediente segreto. Non esiste niente del genere. La magia non esiste, è solo col duro lavoro, la lettura e la scrittura che si raggiungono certi risultati. E certi risultati sono possibili quando si capisce che bisogna scrivere per le persone. E che le persone leggono una storia quando sentono che lì si parla di loro.
Popolare ma di nicchia
Qui però devo specificare che essere popolari non è detto che significhi anche vendere milioni di copie. Ci sono argomenti che non ti permetteranno mai di guadagnare a palate (e quelli che vendono tanto, sono una minoranza), tuttavia è possibile scovare una nicchia capace di renderti riconoscibile. “Popolare” nel senso di avere un nome e cognome che per alcuni è rinomato. Se dovessi citare uno scrittore di questo genere, sceglierei senza dubbio Richard Yates, del quale puoi leggere la mia recensione del romanzo “Revolutionary Road”.
La fatica della scrittura
D’accordo: le persone leggono una storia quando parla di loro. Che bella frase.
Detta a un convegno, la gente che ascolta metterebbe sul volto un magnifico sorriso, annuirebbe tutta contenta. Salvo perderlo quando, verso casa, la frase, di ritorno, svelerebbe qualche debolezza.
“Che diavolo avrà voluto dire? È ovvio che leggo quello che parla di me!”
Ma ormai chi ha detto quella frase è andato, e ci si sente un po’ presi per il naso.
La faccenda è complicata, e se pensi che scrivere sia una robetta, sei proprio fuori strada. Porta con sé un mucchio di grattacapi. Perché devi usare un mucchio di ingredienti, ma su tutto, devi impiegare quello che ti permette di stabilire un contatto col lettore. Bene: e come si fa? Meglio rivolgersi a quelli bravi, per avere qualche idea.
Prendiamo Flaubert.
Come ricorda Flannery O’ Connor (in realtà cita un’altra persona che fa proprio questa affermazione), da lui si impara che per rendere reale un oggetto, occorrono almeno 3 tocchi dei sensi attivi. E il lavoro di chi scrive non è affatto scrivere di grandi idee, ma rendere tangibili le cose. Il piccolo mondo che si crea deve essere di carne e ciccia e devono arrivare al lettore. Perché scrivere non è una fuga dalla realtà. Al contrario, è un tuffo a capofitto nella realtà. La scrittura è fatta di particolari di vita concreti, tangibili appunto, oppure è la lista della spesa. Come? La lista della spesa ha successo? Pazienza: chi evade le tasse ha successo, ma rimane un reato.
E soprattutto occorre rammentare che lo scrittore non afferma, ma mostra. Obbedisce alla realtà, la rispetta, la ascolta. E lavora duro per arrivare a portarla, così com’è, al lettore.
Da un po’ di tempo mi sono fatto l’idea (ma forse è un’ideuzza), che le persone non leggono perché detestano sentire i soliti “professori” salire in cattedra e pontificare. In parte perché li hanno già tutti i giorni, sul posto di lavoro, come responsabili, capi, dirigenti. In parte perché… Non li sopportano e basta. Vogliono una storia. Della gente che racconti delle storie senza pretendere di cambiare la loro testa, o di illustrare quanto sarebbe bello quando faremo tutti così o cosà.
Siccome non trovano niente del genere in giro, disertano le librerie.
La domanda delle 100 pistole
“Il conte di Montecristo” o “Oliver Twist” sono romanzi popolari. Cosa puoi “rubare” da essi per rendere anche la tua storia, popolare?
Prima la storia, poi il lettore
“Come scrivere una storia popolare? Che piaccia a un sacco di persone? Che faccia inorridire certa bella gente che quando vedrà il libro in cima alla classifica dirà “Oh! Come siamo caduti in basso! La gente legge queste porcherie!”.
La risposta?
Non lo so.”
L’incipit di per sé già merita, ma in generale penso che questo sia uno dei post migliori che tu abbia mai scritto, qui sul blog. Mi piace moltissimo, e sintetizza in poche righe quelli che da anni cerco di rendere i baluardi della mia scrittura: l’attenzione alla realtà e la volontà di mostrare, di non raccontare se non è strettamente necessario. è un esercizio lungo e molto, molto duro, ma cerco di portarlo avanti nel migliore dei modi, crescendo ogni giorno un po’ di più.
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Grazie!
Questo è un argomento che mi sono deciso ad affrontare solo di recente (dopo la lettura de Il conte di Montecristo). E ribadisco che la gente non legge anche perché non trova storie ma trattati di psicanalisi, storie ombelicali, narcisismo acuto.
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Scusa l’ignoranza, ma io non conosco Richard Yates e questo non per insinuare che non sia popolare! Ma allora io potrei dirti che è popolare Silvia Ballestra: hai mai letto qualcosa di suo? Il lettore interessato va dove lo porta il cuore, lo scrittore ispirato va dove pensa di poter dire qualcosa. Infatti, hai ragione, puoi essere rinomato entro una cerchia ben precisa di persone, la popolarità va per generi letterari e gusti personali, ma mi chiedo: il concetto di popolarità non dovrebbe essere più universale?
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Richard Yates era popolare tra i critici e i colleghi scrittori, ma era snobbato dal pubblico. Dopo la sua morte, per un po’ i suoi libri erano irreperibili. Poi c’è stato il film con Di Caprio e la Winslet (credo si chiami così), tratto da “Revolutionary Road” e le cose sono un poco cambiate.
Rispondo alla tua domanda con un’altra domanda: cosa significa una popolarità universale? Che il talento dovrebbe essere riconosciuto da tutti? O che un po’ tutti dovrebbero conoscere certi autori?
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No, popolarità e talento non sempre si sposano: intendo un nome che circoli un po’ in ogni settore e dunque risulti conosciuto dal più anziano al più giovane lettore, anche Francesco Totti con la sua interessantissima autobiografia potrebbe diventare popolare (per dire!)
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Capisco. Ma temo che ormai ci siano così tanti autori, che sia impossibile. Cervantes poteva essere conosciuto da un po’ tutti perché era uno dei pochi scrittori in circolazione. In molti dicono che autori celebri come King o Follett ci saranno sempre, probabilmente, ma al di sotto di essi sarà presente un numero di altri autori celebri solo nelle nicchie che occuperanno, e sconosciuti al di fuori di esse. Vedremo.
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Ciao Marco,
il discorso è vastissimo e mi spaventa, perché stanotte non ho dormito un accidente e non so se sono in grado di dire almeno una parte delle cose che vorrei dire, in modo comprensibile XD Secondo me alla fine il discorso diventa: che cosa è la letteratura? E’ per tanti, per pochi, per tutti? Che significa, esattamente, una storia popolare? A me non è chiarissimo. Se intendi una storia che sia consumabile da molti, è un conto. Se intendi una storia che parli al cuore di molti, come esseri umani, è un altro. Se intendi una storia in grado di farsi conoscere e diffondere, un altro ancora. Nel primo caso, la prima associazione mentale che ho fatto è quella del pornetto entrato pochi mesi fa nelle sale cinematografiche, che non nomino mai per principio. Nel secondo caso, mi vengono in mente storie universali, anche di genere ma trasversali all’umanità. Nel terzo caso, mi vengono in mente le biografie delle starlette e dei calciatori, ma anche dei personaggi che hanno fatto la nostra epoca.
Ogni punto dovrebbe essere approfondito, ma io sto per addormentarmi sulla tastiera.
Comunque, qualunque cosa uno scriva ha il problema di farla trovare, di farla leggere. Se no popolare non sarà mai, in ogni caso.
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Quando dico una storia popolare penso a “Il conte di Montecristo”, oppure a Charles Dickens. Storie che leggevano (e leggono) tutti, ma che pur con i loro limiti riescono a essere efficaci a distanza di secoli. Ma mi riferisco anche a Dostoevskij che non è certo semplice (eppure l’umorismo di questo scrittore è uno dei suoi pregi poco conosciuti), ma aveva la capacità di prendere i fatti della quotidianità e scriverci sopra storie memorabili. Aveva la capacità di vedere oltre, di scorgere in quanto accadeva, quanto sarebbe accaduto.
Concordo pienamente con la tua ultima frase: far leggere le proprie storie. Questo è il problema grande di questi tempi.
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Davvero interessante questo tuo post, ti leggo sempre anche se non sempre commento, per mancanza di tempo.Scrivere una storia popolare non credo sia il vero problema, spesso chi legge cerca o di riconoscersi nella storia oppure di evadere dalla propria quotidianità.
Perché per esempio hanno così successo i romanzi fantasy, non mi sembrano popolari… O forse lo sono in altro modo..m
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Esatto! Il punto è che il “popolare” è considerato “brutto, sporco e cattivo”, per questo Simenon o Dickens erano criticati duramente. Perché vendevano, perché il pubblico li premiava con vendite stratosferiche. Non si può offendere il pubblico dicendo che sono una massa di ignoranti bifolchi, e poi sorprendersi perché disertano le librerie. Se si tratta qualcuno a pesci in faccia, ovviamente starà ben distante da noi.
Né voglio dire che tutto quello che vende va bene, o che quello che vende poco o nulla, sia mediocre. La faccenda è parecchio complessa, e da un po’ di tempo ci sto riflettendo su…
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Come si scrive una storia POP.
Cioè una che vende tanto, ma che insomma non era proprio necessaria. Vedi le biografie di Fedez, o questa roba qui insomma.
Come si fa? Si guarda il trend e lo si copia. Per esempio vai su BuzzSumo, vedi quali sono i topic che il mondo sta cercando, e ci scrivi un libro sopra.
Questo è un libro pop.
Il libro che una commentatrice si rifiuta di citare più sopra… ben pochi sanno che nacque come fanfiction di Twilight, in cui finalmente i due ci davano sotto. Avuti 10.000 followers dul blog, cambio di nome ai personaggi e vai di libro.
Questa la storia POP. Popolare. Che i lettori comprano di nascosto, vergognosamente, agli autogrill e ai gazebi sul lungomare. Che sono comprati da chi non ha mai letto un vero “primo libro”.
Quel “primo libro” ce lo hai anche te, ce lo ha chi commenta qui e ce lo ha chiunque si rifiuta di leggere porcheria. Nel mio caso fu “Sinbad il marinaio”. Per qualcuno è “shannara”, per qualcuno “Uno Studio in Rosso”. Quel primo libro è il libro che ti rende libero. Che ti fa capire che oltre alle cose che tu credi, vuoi, pensi, che ti hanno detto, fatto credere o voluto imporre, c’è molto di più. E’ un innesco per la tua intelligenza critica. Anche se parla di un marinaio persiano duemila anni fa. O di slitte coi cani, o di mondi spaziali, o bambini nella giungla. E’ un libro che non ti lecca, non ti soddisfa, non ti dà cosa vuoi, al contrario del libro POP (che è qui, oggi, e ti rivomita addosso il mondo che abiti). E’ un libro che ti fa intuire il potenziale della libertà.
A noi che si scrive piacque così tanto questa magia che cerchiamo di replicarla. In ogni caso ci rende del tutto vaccinati al libro POP, di cui non abbiamo più bisogno.
Ecco cosa rende un libro “immortale”. Se riuscirà sempre e per sempre ad essere questo “primo libro” per qualcuno.
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Io ormai parto dall’idea che se un libri vende probabilmente ha delle qualità. Il che non significa che debba piacermi, che debba adeguarmi, oppure che mi debba arrendere ai numeri che fa. Cerco semmai di capire come coniugare i numeri (grandissimi o grandi), con temi “alti”. Come faceva Dickens. Lui offriva ai lettori quello che volevano, e poi però li portava dove voleva lui. Un po’ come un autista di autobus che dice alla gente: “Corsa gratis, amici!”. Però poi li porta dove desidera. Credo che sia questo l’unico modo per portare i non lettori in libreria, a leggere insomma. Ma non è poi così facile come si crede.
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Questa cosa dei “contenuti alti” me la devi spiegare.
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Dickens. Prendeva certi ingredienti molto semplici per agganciare il lettore, e poi scriveva quello che voleva. “Casa desolata” per esempio, è un atto di accusa nei confronti del sistema giudiziario inglese, e ci troviamo i “soliti” bambini, il solito umorismo, insomma le qualità tipiche di Dickens.
Oppure Graham Greene. Nel romanzo “Un americano tranquillo” parla del Vietnam (quando c’erano ancora i francesi, e gli USA si preparavano a subentrare), di quello che accade. Ma ci infila anche una storia d’amore perché sa bene che al lettore del Vietnam non importa un fico secco.
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