La differenza tra dilettante e professionista


 

la differenza tra dilettante e professionista

 

Qual è la differenza tra un dilettante e un professionista?
Il dilettante è convinto che a sbagliare siano sempre gli altri.
Il professionista capisce che è lui che sbaglia (e impara, e smette di essere dilettante; be’, almeno diventa un po’ meno dilettante).
Detto questo, quali sono gli elementi per essere presi in considerazione da un editore? Ma soprattutto: siamo certi che un editore abbia voglia di prendere in considerazione qualcuno che non conosce?

Se uno è bravo, prima o poi pubblica

Già, perché alla fine è una questione di conoscenze.
Lo so che non è bello, non è elegante dirlo, e inoltre c’è sempre qualcuno che si lamenta di questo costume italico delle conoscenze, delle raccomandazioni. Però funziona così, e se per caso succedesse a noi di finire in un giro giusto grazie a certe conoscenze… Smetteremmo di considerarle una brutta cosa, vero?
La mia idea è di non preoccuparsi troppo degli editori. Flannery O’Connor diceva che uno se è bravo, prima o poi pubblica con un editore.
Non ho mai pubblicato racconti con un editore, e allora? Allora non smetto di scrivere. Dovrei? E perché?
Qualcuno si sente oppresso dalle mie storie? Ma non le legge quasi nessuno!
Sono insistente? Mah! A me non pare. Faccio la mia strada, e saluti a tutti.
Agli editori ho smesso di inviare le mie storie da circa un anno e mezzo (però di recente qualcosa ho spedito).
Non ho voglia di attendere.  

Vuoi spedire a un editore? D’accordo, allora tieni presente questi punti.

Dimentica quello che hai scritto.
Significa che per almeno un mese, ma tre è meglio, sei meglio ancora, un anno è la (quasi) perfezione, non devi più leggere quello che hai scritto. Devi arrivare a dimenticare ogni aspetto (o quasi) di quanto c’è su carta. Perché (e succede eccome), alla fine non si nota più nulla: errori, refusi, ripetizioni, cacofonie… Nulla. Dopo un adeguato periodo di tempo, salta tutto agli occhi. Io dico sempre che bisogna permettere alle scorie di depositarsi sul fondo, e quindi agire per rimuoverle. Ma se stai sempre ad agitare l’acqua, non ci farai davvero caso.

Non avere fretta.
Davvero. Spedisci e poi dimenticatene. Se mai risponderanno, ci vorrà almeno un anno. Intanto scrivi, leggi, costruisci la tua piattaforma di estimatori sul Web. Perché se hai un seguito, l’editore sarà appena più interessato. Crederà che tu possa garantirgli un bacino di acquirenti. È la Rete, bellezza!

Mai sentito parlare di catalogo?
Nessuno ci bada, però le case editrici ce l’hanno. Meglio buttarci un occhio. Se non c’è traccia del genere che tu frequenti, secondo te che significa? Esatto, che non lo trattano. Passa oltre e non perdere tempo.

Cura l’oggetto della mail.
Se l’editore accetta l’invio via mail, cura questo elemento. Sembra che in molti lo lascino addirittura vuoto. Altri lo riempiono di fesserie: “Romanzo dell’anno”; “Successo assicurato!!!” e robe del genere. Ci si creda o no: alcuni editori (pochi ormai), prendono sul serio il loro mestiere, e quando leggono certe cose, cestinano.

Presentati.
Se l’editore accetta l’invio via mail, oltre all’oggetto, spendi qualche parola nel corpo del messaggio a proposito di te. Concisione, sempre. Ma non essere un telegramma. Chi riceverà la tua mail, ne riceve parecchie al giorno, e di solito sono: “Orrore! Orrore!”. Se viceversa curi e l’oggetto e la presentazione, almeno gli migliori la giornata per 7 secondi. E ti pare poco?

Tessere la tela.
In fondo è la prosecuzione del primo punto. Nell’attesa cerca di darti da fare, non solo sul Web. Se nella tua città viene uno scrittore, vai ad ascoltarlo. A volte serve per capire come NON devi ridurti.
Altre volte, può essere utile perché può persino dare dei consigli agli esordienti (di solito “il consiglio” è: ci vuole fortuna). Cerca di partecipare a iniziative, convegni, che hanno come oggetto il libro. In quei posti conoscerai gente, e ti sarà comunque utile per sapere come gira il mondo. Farai esperienza. Accumulerai conoscenza. Diventerai disincantato e un po’ cinico, ma spesso questi sono due ingredienti che rendono la scrittura mordace. (Bello, vero, mordace? Be’, in fondo è un blog letterario, no?).

Tutte cose che io non faccio, oppure non faccio più.

La domanda delle 100 pistole

Spedirai mai una tua storia a un editore? Hai già un elenco dei papabili?


Prima la storia, poi il lettore

12 commenti

  1. Una delle ragioni per cui non sono diventata una professoressa, come sarebbe stato naturale visti i miei studi, è che non avevo nessuna voglia di aspettare. Né tantomeno di mendicare un’ora di supplenza qui e una là. Né di leccare il **** a chiunque per poter esercitare una professione. Ho fatto da me e non è andata malaccio. Dubito di mettermi adesso, alla mia tenera età, a chiedere a qualcuno di pubblicarmi. Qualcuno cui non riconosco una particolare autorità se non di tipo commerciale. Mi interesserebbe veramente solo la distribuzione di un mio eventuale libro in cartaceo.
    (quando parlo di autorità che non riconosco, non intendo dire che devo essere solo io a decidere se il manoscritto è buono. Ritengo imprescindibile il parere di più paia di occhi, e anche molto allenati)
    Ho visto (per caso, non guardo quasi mai la tele) un’intervista al tipo delle Iene che ha appena pubblicato un giallo con Mondadori. Prima la fama, poi il libro. Ti prendo se mi garantisci delle vendite. Funziona così.
    No, credo che non manderò niente a nessuno, o perlomeno non prima di avere acquisito un minimo di potere contrattuale (per esempio, con una piattaforma minima di promozione)

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    • Ormai funziona così: diventi famoso (per i motivi più disparati e incredibili) e arriva la possibilità di pubblicare. Certe case editrici hanno un bisogno forsennato di liquidità, e cercano in ogni modo di fare soldi.
      Però potrei chiederti: costruisci la tua piattaforma. Ma poi la dai via per una grossa casa editrice? Non sarebbe meglio allora continuare per la propria strada, in solitudine?

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  2. Ho provato, anni fa e sono stata attenta a tutti i tuoi consigli: una mail sobria ma consistente, un’accurata ricerca di Case Editrici che curassero il mio tipo di narrativa, il giusto distacco dalla smania di avere risposte al più presto (che, ovviamente, non sono arrivate) e poi? Poi ho fatto un passo indietro, tornando a scrivere per il gusto fine a se stesso di farlo, a prescindere da aspettative e sogni. Ne ho ricavato benessere, ma la speranza, quella, non mi abbandona mai!

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    • Non mi sento però di condannare completamente le case editrici: sono invase. Non puoi rispondere. Non ce la fai proprio. Sì, lo so, non vorremmo che… Ma alla fine la realtà è questa: diventa impossibile replicare. Meglio il silenzio. Inoltre, tendono ormai a puntare la loro attenzione su chi ha già una collaudata piattaforma di estimatori. Così giocano sul sicuro. Purtroppo molte case editrici hanno perso la volontà di seguire un autore, di “coltivarlo”.

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  3. Ho spedito pochissimo agli editori e quel poco ha avuto ritorno zero ovvero manco la risposta di aver ricevuto qualcosa – c’è del software che lo fa per te.
    Potrei andare in autopubblicazione ma sono pigro. Conclusione rimangono nel cassetto che ogni tanto – tempi? oltre l’anno – li ripesco e li correggo per riporli in sonno.
    Certo avere le conoscenze giuste, aiuta e come. Se andiamo ad analizzare i cosidetti esordianti presso gli editori che contano abbiamo sempre delle belle sorprese.
    Sicuramente il percorso che hai descritto è molto interessante, come di norma lo sono i tuoi articoli. C’è sempre qualcosa da imparare.

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    • È un percorso che però non garantisce nulla! A meno che tu non riesca a sbarcare in televisione. A diventare un “fenomeno” (qualunque cosa voglia significare). Come ho scritto: quelle sono indicazioni che io non seguo più da un pezzo…

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  4. Bella la fotografia, è tua? Secondo me l’importante è l’ultimo punto, cioè “tessere la tela”. Tutto il resto può arrivare o non arrivare, qualsiasi cosa tu faccia. Con il tempo e l’esperienza sono diventata un po’ fatalista.

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    • La foto non è mia, non sono così bravo.
      Sì, creare la piattaforma: o, appunto, tessere la tela. È anche quello un impegno notevole, ma abbiamo voluto la bicicletta del self-publishing? E allora pedaliamo!

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  5. Posso rispondere alla tua domanda in modo radicale: no, non spedirò nulla. Probabilmente scriverò più in là un post per spiegare questa mia decisione, ma in sintesi il punto è che ho avuto abbastanza a che fare con il mondo editoriale (per esperienza diretta di pubblicazione e per lavoro). So per certo di non voler continuare su questa strada.
    Tra l’altro, oggi i tempi di attesa sono ben superiori all’anno. Anzi, nella maggioranza dei casi non rispondono affatto. Iniziai a mandare manoscritti circa sette anni fa: allora mi rispose il 90% degli editori. Qualche anno dopo, mandai un altro romanzo e la risposta fu: 0%. Nessuno in assoluto si è preso la briga di dirmi che il manoscritto non era piaciuto, neppure la classica mail pre-confezionata.
    Onestamente, non ho voglia di aspettare anni per pubblicarmi. Né ho voglia di impelagarmi nella rete di raccomandazioni e affini.
    Della serie: editoria tradizionale? no grazie.

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    • Sì, ormai pure io sono di questa opinione. O diventiamo dei fenomeni; e allora gli editori farebbero a botte per averci nella loro scuderia. Oppure continuiamo così, serenamente. Senza illusione ma con determinazione.

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