La libertà di chi scrive


 

la libertà di chi scrive

 

 

È davvero l’autore a guidare tutto? Esiste il libero arbitrio quando racconti una storia? Oppure, quello della narrazione è un territorio dove certe regole sono sospese?
Quante domande. E intanto ribadisco un concetto semplice semplice: non sono queste, le domande che ti poni quando cominci a scrivere. In quel periodo ti chiedi: “Quali sono gli editori interessati? Piacerà? Devo contrattare?”.
Poi arrivano i primi, lunghi ed eterni silenzi e a quel punto hai un sacco di tempo a disposizione perché ti rendi conto che delle tue storie non importa un fico secco a nessuno. Che nessun editore investirà su di te il suo denaro (non il tuo), finché non avrai una piattaforma di estimatori. E allora, mentre la costruisci, o ci provi, ti fai delle domande nuove!

Se lo conosci, lo eviti

Per quel che riguarda la mia esperienza: è più complesso di quanto si creda. Una storia di cui io conosca già il finale (una storia che scrivo io), a me non piacerebbe. Deve avere un finale che mi sorprende. Magari ho in testa qualcosa, ma lo uso solo per alzare la posta in gioco.

Potrebbe finire così. Diciamo che potrebbe finire così. Ma non può finire così perché è ridicolo, banale, ovvio”.

Questo è all’incirca il mio modo di pensare se ho in testa un finale. E non chiudo mai una storia in quella maniera. Che si tratti di una lunga o breve storia (un romanzo oppure un racconto), il finale deve sempre essere solo una pausa. Questo sconcerta certi lettori. Vogliono un finale, e spesso certi autori glielo danno, e questo li soddisfa parecchio. In realtà si tratta solo di una pausa. Tolstoj o Dickens davvero chiudevano le loro storie? No, infatti continuavano a scrivere. Una storia la devi consegnare all’editore, quindi la chiudi. Metti la parola “Fine”; però ricomincia con la storia seguente.
Col racconto la faccenda è più evidente. Alcuni lettori criticano Raymond Carver, dicono:

Pure io sarei capace di scrivere così. Quando non ne ho più voglia, oppure non so come chiudere, sospendo tutto. E che ci vuole?

Non tutti i suoi racconti sono riusciti. Tuttavia Victor Sawdon Pritchett (citato proprio da Carver) affermava:

Qualcosa di intravisto con la coda dell’occhio, di sfuggita.

C’è finale e finale

Ecco la sua definizione di racconto. Quindi il finale non è proprio un finale. Quello che si intravede con la coda dell’occhio, per forza di cose manca di qualcosa, e manca proprio della sua conclusione; ma è davvero importante? Questa idea che deve esserci a tutti i costi una parola finale, risolutiva, perché nell’ultima riga tutto si deve sciogliere, si chiarisce e si mostra in tutta la sua vastità e interezza: siamo certi che sia davvero utile?
Parliamoci chiaro: quante volte ci capitano delle cose tutt’altro che conclusive, che però ci prendono alla sprovvista, ci lasciano interdetti? Eppure in questa sospensione c’è un significato. E ci fermiamo a riflettere, incapaci di dare una definizione, di dire una sola parola.
Forse perché prima, da qualche parte, c’è il significato; e la conclusione serve solo a indurre il lettore a riflettere su quello che ha letto.
In “Spalle larghe” (si trova dentro “Non hai mai capito niente”), il racconto si chiude in questa maniera:

Rachele deglutì:

– Stai cercando di aiutarmi, vero?

Romina ci pensò su per qualche secondo:

– Credo di sì.

A prima vista il lettore è spiazzato (Bene!), e potrebbe pensare che non sapevo come chiudere, e ho chiuso in quella maniera. In realtà se riflette un po’, trova la storia di una ragazzina che si rende ben conto di quanto sia brutto essere ragazzine in un mondo che predilige i maschi (in particolare suo padre predilige il fratello). Chiarito il punto (quello cioè che volevo dire), si chiude. In realtà la riga precedente svela qualcosa di… Boh! Decidi tu che cosa sia.

– Non farla così tragica. Te le darà, ma poi? Un padre non ammazza una figlia. Di solito.

E a parlare è l’amica della protagonista. Hanno capito come va il mondo per loro. O meglio: come una parte del mondo gira; e gira male. Per tutti, non solo per le donne. Se gira male per loro, non si salva nessuno.

La domanda delle 100 pistole

Ehi, non ho risposto alla domanda dell’inizio del post! E allora la riscrivo qui (ma tanto ci tornerò su prossimamente): chi scrive è davvero libero?


Prima la storia, poi il lettore

10 commenti

  1. Intervengo solo per dire che proprio il racconto che hai citato è il secondo che mi è piaciuto di più, il primo è stato “la fortuna che abbiamo”, con finale perfetto! 😉

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  2. Sul finale abbiamo già scambiato un paio di opinioni. Io di norma il finale ho lo scrivo subito dopo l’incipit o l’ho ben netto in testa. Quello che a mio avviso rende il finale interessante e a effetto è il modo con cui la storia nel suo sviluppo, che regolarmente non conosco a priori si avvicina al finale scelto. E’ come scrivere un thriller, anche se la storia non lo è per nulla, dove il lettore si immagina tutto e nulla che in qualche modo non sa come andrà a finire.

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    • Infatti, la pensiamo in maniera differente 🙂
      Non riuscirei a scrivere una storia di cui conosco già il finale. Anzi, credo proprio che la abbandonerei anche se mi sembrasse interessante.

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  3. Diciamo che anche grossi autori come Stephen King sul finale vengono un po’ meno, ma continuo a leggerlo perché sulla psicologia dei personaggi sa il fatto suo anche se di recente noti un certo calo di livello, sarà che ha scritto troppo ed è un po’ stanco? Io quando scrivo una storia mi preoccupo di non rallentare troppo, di non annoiare, di tirare fuori un buon personaggio, però una bozza di finale ce l’ho in testa altrimenti non saprei come condurre il gioco. Si è liberi? Ecco bella domanda. Dipende. Io provo a mettere su una storia piena di conflitti (piccoli e grandi) mi prendo le mie libertà e se trovo 20-30 lettori vuol dire che il mio compito è riuscito. Certo se fossero 100-200 o di più sarei molto più motivato sul prossimo testo, ma non per questo smetto di scrivere, anzi direi che nella testa ci sono più storie di quante riesca a portare su LibreOffice Writer 🙂 .

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    • Io ormai scrivo a prescindere 🙂
      Se però guardo a come scrivevo una volta, capisco quanto ho sbagliato, e dove. Adesso farò altri errori, si capisce. Ma una volta la storia partiva da una mia idea e i personaggi dovevano dimostrare che la mia idea era sana e giusta. Quel tempo mi pare ormai alle spalle. Spesso il personaggio parla e pensa cose che io non direi e non penserei mai. È lì il divertimento. Ecco un altro elemento che prima non conoscevo: il divertimento.

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  4. In effetti hai proprio ragione! Ma se inizi a scrivere per compiacere qualcuno allora non sei per niente libero. Secondo me scrivere è sinonimo di libertà, se poi quello che scrivi arriva a chi ti legge e lo apprezza, allora hai raggiunto qualcosa, ma se lo fai solo per far piacere a qualcuno perdi la tua essenza.

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