Come trovare il titolo di un romanzo: i miei consigli


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Come trovare il titolo di un romanzo? Non è affatto semplice rispondere, e provo a mostrare quali sono i punti fermi da usare, e che forse possono aiutare a venire a capo della faccenda. Se sei curioso, continua a leggere.


Non ci vuole un genio per capire che il titolo di una storia lunga, o di un insieme di storie brevi, è importante. Lasciami però ricordarti che probabilmente chi scrive non ci pensa affatto; o ci pensa poco. Insomma: io scrivo per un paio d’anni una storia e poi devo inventarmi un titolo capace di accalappiare l’attenzione dei lettori?
Be’, sì. Questo è un punto importante che un po’ tutti sottovalutano. Sono persuasi che il titolo che hanno dato, sia quello giusto; può darsi. In realtà credo che sia necessario prendersi del tempo per azzeccare quello giusto.

Come compri un libro?

Già, come lo compri? Di solito si va in libreria (ancora adesso) e si getta un’occhiata ai titoli. Io, credo di averlo già scritto in passato, spesso scelgo in base al titolo. Adesso però potresti farmi notare che con i libri elettronici:

  • non si va più in libreria;
  • la copertina ha un peso maggiore.

Sulla prima affermazione sono d’accordo. Io stesso vado sempre di meno in libreria. Compro libri elettronici e dopo pochi istanti li ho sul mio iPad.
Anche la seconda affermazione è giusta, ma la copertina ha sempre avuto un ruolo importante; solo che non ci badavamo troppo. Dicevamo: “Bella”, oppure “Brutta”, ma a noi questo tipo di argomento appariva insignificante. Lo sai perché?
Perché mica pensavamo di diventare autori di libri auto-pubblicati. E anche se scrivevamo, pensavamo che un editore ci avrebbe notato, e ci avrebbe pensato lui. Erano compiti suoi insomma, e invece…
Se vuoi che qualcuno compri il tuo libro devi pensare al titolo.
Fermati.
Lo so. Hai avuto l’illuminazione. Ti piace. Il titolo che hai pensato ti sembra quello giusto. Perché racchiude il senso della storia che hai scritto. Posso dire a questo punto un eloquente: “Uhm”?

Creare titoli è un’arte insidiosa

Quello che ti sfugge è che sei troppo coinvolto. Quello che dovresti fare è prenderti un bel po’ di tempo, dopo che hai chiuso la storia. Dimenticala completamente, tanto lo devi fare, lo sai vero? Non sei uno di quelli che appena finito, subito pubblica; perché sai che sarebbe un errore ciclopico.
Lascia che le scorie si depositino sul fondo, e poi riprendi tutto e pulisci ancora una volta. Hai dei lettori beta? Un editor? Bravo, affidati a loro. Più volte.
Creare titoli è un’arte insidiosa come scrivere: sembra facile, ma non lo è affatto. Pensi di aver trovato quello giusto ma probabilmente non è così. D’accordo, e quindi?

Il titolo come evocazione

Semplificando parecchio ci sono due tipi di titoli: quelli che dicono con chiarezza il tipo di storia che andrai a incontrare (“Lasciati odiare così poi ti amo”; “Lasciati amare perché altrimenti ti odio”; “Lasciami, o in due siamo in troppi”).
E quelli che “evocano”. Per esempio: “Il muschio grigio arde”; “Cantilena mattutina nell’erba”; “Uomini famosi che sono stati a Sunne”.
Ci sarebbe in realtà almeno un’altra categoria, quella che dice con semplicità cosa troverai: “I Promessi sposi”; “Il conte di Montecristo”; “Oratorio di Natale”. Ma non fa parte della prima categoria? A mio parere, no. Benché chiariscano alcuni aspetti (“Una storia su due che si sposano? Interessante: chissà però che succede!”), in realtà si limitano a socchiudere la porta, ma quello che si troverà una volta varcata la soglia sarà un altro paio di maniche.
Il secondo e il terzo gruppo quindi “evocano”, e danno poco per scontato.
Il primo di solito procede su rotaie ben solide; i colpi di scena? Ci sono, ma si tratta di espedienti che hanno come scopo quello di rallentare l’ovvio epilogo.
I romanzi di molti autori divenuti classici (Dickens), presentano colpi di scena, ma l’epilogo o non chiude nulla, oppure è solo un finale quasi ovvio, che rimanda all’opera successiva, che rimanderà a quella dopo, che rinvierà a quella successiva ancora… Una storia non deve chiudersi con un “Fine” ma con un “Fine?”, seguito da un ghigno possibilmente diabolico.
Un titolo dovrebbe produrre sulla fronte del lettore ignaro una ruga: “E che ci sarà in queste pagine?”. Ecco, la presenza di quella ruga potrebbe essere indizio di un titolo azzeccato.

Che pesci pigliare?

A questo punto: che fare? Che pesci pigliare? Che titolo dare a una storia lunga, o breve che sia? Per la mia prossima raccolta di racconti credo di averlo trovato: una sola parola.
Ma se non sai dove sbattere la testa: ricorri ai lettori beta. Chiedi loro che cosa evoca la lettura della storia. Parti da lì e in bocca al lupo!

La domanda delle 100 pistole

Come affronti il problema del titolo delle tue storie?


Prima la storia, poi il lettore

20 commenti

  1. Il titolo conta molto, a volte io ho comprato un libro solo per il titolo
    (esempio “ La tentazione di essere felici” , “La solitudine dei numeri primi” cito due libri che mi sono piaciuti,
    invece “Sul fondo del mare c’è una vita leggera” ha un titolo bellissimo, ma il libro una delusione)
    Il titolo è importante per attrarre i lettori o per incuriosirli e portarli a leggere almeno l’estratto.
    Il titolo del mio primo romanzo mi è nato dentro fin dall’inizio, ho anche provato a cambiarlo, ma dopo sono tornata al primo perché secondo me era quello giusto.
    Il secondo avevo già scritto quasi tutta la storia, ma per il titolo non avevo le idee chiare, ho fatto una lista di possibili titoli e poi ho depennato man mano quelli che non mi convincevano.

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    • Allora utilizzi il sistema di Hemingway: lui, se non ricordo male, faceva una lista di titoli e poi lentamente depennava. Io invece è già tanto se riesco a trovarne uno. Se ne trovo due è una fortuna clamorosa. Adesso forse ho trovato il titolo per la terza serie di racconti: una sola parola. Ma è ancora presto per dire se sarà quello definitivo. Magari prima dell’autunno del 2016 ne salta fuori un altro!

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  2. Il titolo è molto importante, a volte più della copertina: pensiamo a quando raccontiamo di un libro che abbiamo letto, cosa diciamo subito? Il titolo. E chi ascolta inizia a evocare.
    Poi si cerca la copertina e altre informazioni su internet. Ma prima viene il titolo.
    E, per l’autore, il titolo potrebbe essere una ‘guida’. Per me, con ‘La centesima finestra’, lo è stato: appena trovato il titolo ho capito meglio cosa stavo facendo.

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    • Il titolo come guida: non ci avevo mai pensato. Però forse è un po’ come l’incipit: una volta fissato, è difficile tornare indietro. Anche se a me una volta o due è capitato di stravolgere l’inizio di una storia…

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  3. “Lasciati odiare così poi ti amo”; “Lasciati amare perché altrimenti ti odio”; “Lasciami, o in due siamo in troppi” non li comprerei manco se fossi sotto minaccia 😀 .
    Preferisco i titoli che evocano, magari quelli particolari. Una frase di un dialogo detta da un personaggio magari secondario che ti evoca un concetto, magari anche minimo, ma su cui hai fondato la storia o un elemento della stessa. Il titolo deve dire e non dire. Perché se voglio sapere di che parla mi leggo la trama, guardo la copertina.
    Il titolo è fondamentale. Io un libro che non ha un titolo che mi convince non lo guardo nemmeno.

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    • Anche io spesso mi affido a una frase di un personaggio, per dare un titolo ai racconti. Ma una raccolta di racconti è già un’altra faccenda. La prima che ho pubblicato: “Non hai mai capito niente” è il titolo di un racconto della raccolta stessa. A mio parere è troppo lungo, ma ormai…

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      • Ma dai, “Non hai mai capito niente” è un bel titolo e io leggerò quanto prima la tua raccolta. Con le raccolte di racconti funziona così. Si sceglie il titolo del racconto più significativo, o che l’autore preferisce, e di solito coincide con l’ultimo. Come feci all’epoca io con “Deve accadere” era il penultimo racconto della raccolta.

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      • Sì, è un titolo originale ti spinge a pensare: chi non ha mai capito niente e perché? Quindi induce il lettore alla curiosità e tu hai raggiunto l’obiettivo che ti eri preposto 😉

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  4. Il titolo è un fattore importante, secondo me, che spesso si basa sul titolo -ebook o carta – per acquistarlo.
    Come inventarisi un tiitolo che possa attrarree? Non lo so ma tutte le volte che voglio mettere un titolo alle mie storie vado in crisi.

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  5. Accetto che il mio titolo possa non essere il migliore, ma non posso lavorare su una storia anonima, come non so scrivere di personaggi con nomi provvisori. Dopo, tutto può cambiare, ma mentre scrivo quello è il titolo e quelli sono i nomi. I titoli che prediligo sono misteriosi, una manciata di parole che si spera facciano nascere un punto interrogativo nel potenziale lettore… che poi potrà rovinarsi la sorpresa con la seconda di copertina (detesto!).

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    • Pure io ho bisogno di un titolo qualunque. Spesso quello vero arriverà solo dopo, a volte persino molto tempo dopo. Magari è solo una fissazione la mia. Però cerco sempre di suscitare curiosità e interesse in chi legge.

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  6. Molto spesso se non ho un titolo definito… non riesco nemmeno ad andare avanti con la storia. Il titolo è come una freccia che mi indica una direzione, in un certo senso. Ultimamente ho problemi con un titolo, che continua a girarmi un testa, ma di cui non sono soddisfatta. Ci dev’essere la parola “biscia” o “vipera” con riferimento allo stemma dei Visconti, ma forse sono io che mi sono fissata su questo particolare. Penso che adotterò il metodo Hemingway e farò un elenco di titoli.

    Mi piacciono molto i titoli evocativi, ma anche quelli alla Manzoni che, come dici tu, socchiudono una porta. Però i titoli dei miei romanzi sono semplici, con pochi elementi: Il pittore degli angeli, la colomba e i leoni (come ciclo), la terra del tramonto. Questi sono titoli nati subito, senza difficoltà.

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    • Mi pare di capire che siamo in tanti a non andare avanti senza uno “straccio” di titolo. Io non credo che riuscirei ad adottare il metodo Hemingway, perché più di due o tre non riuscirei a scriverne. Lui invece faceva un elenco di parecchi titoli. Chissà, forse lui scriveva storie complesse, io credo di farlo ma in realtà sono banali.

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  7. Fondamentale: il titolo è un apripista, un biglietto da visita. Io provo a renderlo accattivante e gli do il senso pieno che mi soddisfa soltanto alla fine: è l’ultima cosa che faccio dopo avere messo il punto definitivo alla storia.

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    • Insomma, sembra proprio che sia più importante (o quasi) dell’incipit! In realtà è tutta una costruzione che si basa su sottili equilibri, dove ciascuna parte offre il suo contributo al risultato finale: incipit, titolo, dialogo, finale…

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