
Se guardo alle mie letture preferite (“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, per esempio, di Erich Maria Remarque: un autore a mio parere poco letto, ormai), scopro che in esse c’è anche l’impegno dell’autore per denunciare l’orrore della guerra. In Ignazio Silone (pure esso sottovalutato: ma viene ancora letto solo per capire la “questione meridionale”?), è la miseria a essere nel mirino; e via discorrendo.
Eppure io sto dalla parte di Raymond Carver che dichiarava che un autore deve essere bravo, non utile. La mia ambizione è dunque essere inutile.
Se scrivi non puoi prevedere cosa scriverai
Tuttavia. Nella prima raccolta di racconti “Non hai mai capito niente”, c’è un racconto (in realtà più di uno) che hanno atmosfere (se vogliamo chiamarle così) che richiamano proprio la denuncia. Penso a “Società civile” dove una donna con due bambini se la deve cavare da sola. Un racconto che è saltato fuori dall’immagine di questa donna che si specchia, e sente il pianto di un figlio nell’altra stanza; chiude gli occhi e stringe le mani attorno al bordo del lavabo. E che mai vorrà dire, mi sono domandato. Per rispondere mi sono messo al suo inseguimento.
E poi? E dopo un po’ mi sono trovato a scrivere una storia da un altro punto di vista: quello di un imprenditore fallito (ecco un brano di: “Non è più come una volta”). Insomma: non è che tutti gli industriali sono carogne. E il tipo mi pareva interessante. Le banche gli avevano divorato tutto, c’era solo da aspettare i sigilli ai cancelli dell’azienda. Pensa pure di scappare in Africa, con moglie e figli.
Ma già in quei racconti (gli altri non parlano sempre di drammi del genere; ma di altri drammi), c’era la volontà di “svoltare”. Di non limitarsi alla denuncia. Di indicare che c’era sotto, o oltre, qualcosa in azione.
Spingersi là dove nessuno ha osato (e un motivo ci sarà, o no?)
Nella seconda raccolta di racconti, ho infatti provato a spingere i miei poveri mezzi più in là. I protagonisti sono sempre le persone ai margini (non è detto che però siano sempre poveri): le erbacce esatto. Una coppia che vive in macchina (il titolo: “Nella cattiva sorte”); una famiglia rovinata da un incidente commesso dal padre (“Denti”). Quest’ultimo ha, a mio parere, una cattiveria tranquilla, che si paleserà solo nella decisione finale del protagonista, che il lettore scoprirà leggendo l’ultima frase. Ma se è diventato cattivo, se lo ha scelto, è perché non ha scelta.
Anche nel racconto “La migliore cosa” c’è una di queste famiglie che vivono ai margini. Lui che arriva non si sa da dove, con soldi non si sa come guadagnati (ma si capisce la sua attività). E proprio in questo racconto c’è un personaggio che… Ne parlerò prossimamente, forse.
E prima o poi mi devo decidere a spiegare perché gli uomini sono di solito (ma non sempre) dei vigliacconi, e le donne spingono avanti la baracca.
Con questa seconda raccolta di racconti, che non so ancora quando pubblicherò, provo insomma a misurarmi con argomenti meno ovvi. A scendere davvero i primi gradini di quella scala che conduce nel sottosuolo, come diceva il buon Fedor. Fedor Dostoevskij, e chi altrimenti?
La domanda delle 100 pistole
L’evoluzione del tuo scrittore preferito ti è sempre piaciuta? O l’hai trovata indigesta?
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Da ragazza amavo molto Cesare Pavese, ho letto tutti i suoi romanzi e uno degli ultimi (anzi credo sia proprio l’ultimo) la luna e i falò è senza dubbio uno dei più belli, si vede che c’è una crescita. Purtroppo questo autore si è suicidato a cinquant’anni (all’epoca questa fine contribuiva al suo fascino ai miei occhi) altrimenti avrebbe scritto dei libri ancora più belli, forse. Di recente ho diversi scrittori preferiti, ma strano a dirsi di alcuni il romanzo di esordio rimane per me il più bello.
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Forse il romanzo d’esordio contiene tutto il mondo dell’autore, magari appena abbozzato, ma c’è tutto, si vede il suo potenziale e si indotti a guardare a questo con grande speranza. A volte le attese sono premiate, altre volte no. Per questo si resta affezionati agli esordi.
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Però,se ho capito bene, nella nuova raccolta di racconti tu sei tornato ai tuoi temi “ufficiali”, portandoli all’esasperazione (tipo la scelta di diventare cattivo), c’è forse il perfezionamento di un percorso che, però, già ti appartiene. O no?
Io ho smesso di leggere Andrea De Carlo perché ecco, hai usato il termine giusto, a un certo punto della sua carriera ho trovato le sue storie proprio indigeste!
E lui è uno che ha riempito la prima fila della mia libreria con tutti i suoi libri!
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Però “esasperazione” non credo che sia il termine giusto. Mi pare di essere invece “sceso in profondità” restando lontano dagli eccessi di ogni tipo, e indagando più da vicino il mistero uomo.
Be’, questo è quello che penso e spero, ma non è detto che ci sia davvero riuscito.
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Eh, sicuramente è come dici tu, che sei l’autore e sai quello che hai scritto.
Tanto lo scoprirò da me, quando leggerò i racconti ;P
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E chi ha detto che chi scrive, sa quello che scrive? 🙂
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Remarque, certo che lo ricordo e ricordo, sia pur sbiadito sotto il peso degli anni, il suo libro denuncia sulla guerra. Adesso nessuno lo ricorda più.
Veniamo alla domanda
‘L’evoluzione del tuo scrittore preferito ti è sempre piaciuta? O l’hai trovata indigesta?’
A volte sì, a volte no.
Prendiamo Calvino, un autore che non mi stanco di leggere per mille motivi.
Di lui preferisco tutta la prima produzione, mentre l’ultima dove cambia stile e tono narrativo non riesco a mandarla giù. Nemmeno con l’alka seltzer ci riesco a leggere Palomar, Se una notte d’inverno un viaggiatore.. Mi sento tradito
Per contro Buzzati non mi fa questo effetto.
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Se non ricordo male, non ho autori che mi abbiano “tradito”. Semmai ho “assistito” alla loro lenta parabola discendente. Garcia Marquez a un certo punto l’ho abbandonato perché non mi diceva più niente. Se fossi stato uno che lo avesse scoperto con “L’amore ai tempi del colera” probabilmente lo avrei trovato ottimo. Ma io lo conoscevo attraverso “Cronaca di una morte annunciata”, “Cent’anni di solitudine”, eccetera. La sua penna restava grande, però si era rotto qualcosa…
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In effetti hai ragione sul tradire di un autore. Diciamo c’è involuzioni alla ricerca di nuove tematiche o modi di esprimersi.
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Come prima cosa non ho uno scrittore preferito in senso stretto del termine, ma molti scrittori preferiti perché mi piace leggere diversi generi. Sicuramente non ho scrittori preferiti tra i contemporanei,e quindi non posso dire se mi abbiano tradito o meno. Certo è che, inevitabilmente, non tutte le ciambelle riescono col buco, e questo è umano. Quello che proprio non sopporto è la percezione del romanzo costruito a tavolino per pure esigenze di mercato.
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Non credo che esista il romanzo “perfetto”, perché in realtà deve “solo” comunicare. Quindi che sia imperfetto, ci può stare. Sul romanzo scritto per esigenze di mercato: credo che sia dura per un autore che ormai ha la vena creativa inaridita, smettere di scrivere. Nonostante la sicurezza economica raggiunta (e si spera che non abbia dilapidato tutto), c’è una necessità di ritrovarsi con la pagina bianca, provarci ancora. Mostrare che si è capaci di scrivere “in quella maniera”.
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