
La pratica del “Show, don’t tell” funziona anche (o forse soprattutto) nella descrizione dei personaggi di una storia, breve o lunga che sia. Ma non solo, in realtà.
Come si fa a rendere un personaggio? A presentarlo al lettore?
Già come si fa?
Cosa stai facendo?
Di solito la soluzione che molti adottano è quella da elenco telefonico. Un elenco di cose, spesso disordinato, sia di qualità fisiche che morali, talmente noioso e pignolo da uccidere qualunque lettore appena interessato.
Uno dei trucchi più conosciuti per descrivere un personaggio, è fargli fare qualcosa. Impegnarlo in un’attività. Quale debba essere non ne ho la più pallida idea, ma in questa maniera si colgono due piccioni con una fava. Perché si descrive, si mostra il personaggio, e nello stesso tempo si coinvolge il lettore, lo si prende per mano, in un certo senso, e lo si inserisce nel processo della narrazione. Quindi, chiediti cosa sta facendo il personaggio (cambio l’olio all’automobile? Passa l’aspirapolvere? Fa la spesa?), e poi mostralo. Tutto qui?
No, ovviamente: perché se fa una certa cosa, il lettore si aspetta che tu la descriva perché vuoi mostrargli qualcosa. Un tratto del suo carattere, un suo difetto (si arrabbia con facilità?). Altrimenti esiste il rischio che tu riempia pagine e pagine in descrizioni che non hanno alcuno scopo.
A volte, si mostra qualcosa che si svelerà solo in seguito; un’affermazione. Un’illuminazione che avrà la sua ragione d’essere magari verso il finale.
La forza di una affermazione
Un altro sistema per rendere il personaggio, è procedere con le affermazioni.
“Filippo era un tipo cinico”.
D’accordo.
Però ricordati che “dopo” il suo cinismo deve esserci, e ben visibile. Occorre pensarci bene perché se da una parte pare un sistema abbastanza semplice, occorre invece rendersi conto che il lettore (non tutti, questo è vero), è attento. E se tu non rispetti quello che annunci, se fai promesse da marinaio, stai pur certo che lui se ne ricorderà. E non mancherà di fartelo notare.
Il buon Anton Cechov (spero che tu lo conosca), diceva che se in una scena compare una pistola… Significa che sparerà. Deve sparare. E non perché scrivi un giallo (un tipo di sotrie che Cechov non ha mai scritto). Indica semplicemente che se tu “esponi” un elemento (che può essere appunto una “pistola”; oppure il cinismo di Filippo), questo elemento poi si deve palesare. Generare eventi o conseguenze. Reazioni.
Parla! Parla!
Altro classico modo di rendere un personaggio: fallo parlare.
Qui puoi agire in due maniere: con gli altri in un ambiente che non conosce; oppure in un ambiente che conosce. Tocca a te scegliere quale dei due sistemi è il migliore.
Quando un personaggio parla in generale, senza che se ne renda conto si lascia andare (perché magari è tra gente che conosce, e sa che la pensa come lui). Ed esprime il suo pensiero in modo forse sincero o addirittura brutale.
Viceversa, se si trova in un ambiente sconosciuto, e parla, sarà prudente, non vorrà esporsi perché avrà timore di essere attaccato. È compito tuo, in un frangente del genere, mostrare il suo disagio, indicare che dice una cosa ma vorrebbe dire ben altro.
Ecco i libri per imparare a scrivere.
Ricorda questo però: non adrai molto lontano se non leggi. E leggere non è solo sfogliare, far scorrere gli occhi sulla pagina: questo è il minimo. Significa tornare indietro; rileggere. Rflettere su quello che hai letto. Chiedersi:
Come ha affrontato il dialogo?
E la descrizione dell’ambente?
A volte può persino essere utile ricopiare a mano il brano che ci interessa. La mano procede piano. E questo ci garantisce di comprendere meglio i meccanismi di scirttura.
La domanda delle 100 pistole
E tu, come rendi un personaggio?
Prima la storia, poi il lettore
Ciao Marco, sono tornata dopo un periodo di assenza e avrò un po’ di post da recuperare. Per quel che mi riguarda, cerco di appoggiarmi allo show don’t tell, oppure alla terza persona limitata: o mostro il personaggio mentre fa qualcosa, o lo racconto attraverso i suoi pensieri. Non mi sono mai piaciute le descrizioni troppo oggettive e credo che questo sia il modo migliore per generare empatia nel lettore. 🙂
"Mi piace""Mi piace"
Capisco. Credo che uno dei problemi che si incontrano leggendo certe opere ottocentesche (o anche precedenti), sia un certo tipo di descrizione, però non credo che il suo limite sia la scarsa empatia. Abbiamo avuto la televisione, il cinema, e questo ha influenzato anche il nostro modo di leggere. Quando incontriamo certa letteratura, facciamo più fatica.
"Mi piace""Mi piace"
Incredibile, abbiamo postato lo stesso argomento alla stessa ora. Però in modo completamente diverso.
Però la forza di un’affemazione è in realtà una debolezza. Scrivere Filippo era un tipo cinico è “dire” e non mostrare. Non c’è un “dopo”. L’affermazione va eliminata, la parola “cinico” deve scomparire dalla prosa, se mostri le sue azioni. Da quelle capisci che è cinico. Se lo scrivi fai pessima letteratura. Anche parla, parla è dire, dire.
Mostra, non dire, secondo me è solo la prima delle cose che hai detto. 😉
"Mi piace""Mi piace"
In realtà “dire” è sempre manifestare, attraverso la parola, qualcosa. L’occhio vede, i sensi percepiscono, la parola crea un confine, stabilisce il limite e la natura di un territorio che prima c’era (“Filippo”), ma era senza alcuna definizione (“è un cinico”). E manifestare vuol dire far conoscere, rendere noto in modo chiaro ciò che è, o che si vede, o che si percepisce.
"Mi piace""Mi piace"
Anch’io preferisco mostrare quello che fa e che pensa il personaggio, è un modo per farlo scoprire lentamente al lettore. Un altro sistema che uso è quello di mostrare il personaggio principale attraverso gli occhi degli altri personaggi di contorno. Poi ci sono i dialoghi, possono svelare molto e far esternare quello che provano e che sentono. 😉
"Mi piace""Mi piace"
I dialoghi sono il volto della storia 🙂
Io vorrei riuscire a non illustrare il pensiero del personaggio, ma far sì che si sveli attraverso le sue azioni. Ma non sono molto bravo, e quindi spesso preferisco mostrare che cosa pensa.
"Mi piace""Mi piace"
Credo cher per caratterizare un personaggio le azioni e i pensieri siano fondamentali. Ma ovviamente deve conservare le stesse caratteristiche nel corso della storia.
"Mi piace""Mi piace"
Le azioni dovrebbero essere più “fondamentali”, ma ci vuole una capacità che io temo di non avere. Cerco allora di ricorrere ai dialoghi, che rappresentano “l’arma fondamentale” per chi racconta storie.
"Mi piace""Mi piace"
Non credo nemmeno io d’avere la capacità di mostrare la personalità dei personaggi con le azioni.
"Mi piace""Mi piace"
Sai, sto imparando molte cose negli ultimi tempi. Mi rendo conto che non mi sono mai soffermata su tanti aspetti della scrittura che sono punti fondamentali per chi vuole migliorarsi nello stile. Quando ho scritto il romanzo ho lasciato correre la fantasia senza impormi regole: non so dirti, infatti, se io abbia mostrato o fatto intendere e non lo so perché sono sicura di non essermi posta il problema. Ma adesso che “so” sto mettendo in pratica le mie scoperte. Spero di farle fruttare nel migliore dei modi!
"Mi piace""Mi piace"
Non si finisce mai di imparare (per fortuna :)))
Dimenticavo: ma la spiaggia che c’è nel tuo romanzo… esiste?
"Mi piace""Mi piace"
Se intendi la spiaggia all’inizio della storia, sì: è una sorta di rivisitazione di una spiaggia che c’era sotto un locale di Cefalù. Se invece parli della “spiaggia fantasma”, quella della marea, no, quello l’ho soltanto immaginata.
"Mi piace""Mi piace"
Mi riferivo alla seconda in effetti. L’hai resa molto bene.
"Mi piace""Mi piace"
Non ho mai capito se lo stile di scrittori come Virginia Woolf o Marcel Proust (o Joyce, che non ho letto) possa essere classificato come uso di “show” o di “tell”. Mostrare i pensieri dei personaggi in un flusso di coscienza è, in fondo, un dialogo, per quanto impegnativo.
"Mi piace""Mi piace"
Non saprei. Non ho letto nessuno degli autori che citi, anche se la Woolf mi attira parecchio, ma il tempo è quello che è, e i libri da leggere sono già abbastanza!
"Mi piace""Mi piace"