A proposito di erbacce


 

a proposito di erbacce
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Un argomento che ritorna due volte nella prossima raccolta di racconti, è quello dell’handicap cerebrale. Perché il primo racconto e l’ultimo, hanno come protagoniste due donne con figli in quelle condizioni. Perché?
E io come faccio a saperlo?

Sottrazione e addizione

Sia chiaro: non lo affronto come dovrei, perché non ne ho la capacità. E qualcuno potrebbe affermare, a questo punto, che questo è un segnale importante, potente: non so scrivere e dovrei smettere.
Può darsi che non sappia scrivere. Però continuerò a farlo.
C’era questa storia da raccontare, e io ho provato a farlo. Poi ne è saltata fuori un’altra, e l’ho seguita. Ho spesso pensato che fossero due racconti troppo “simili”, e che uno dei due dovesse essere messo da parte. Invece ho deciso di tenerli entrambi perché il secondo affronta non quel tema (ribadisco: non ne sono capace). Ma una visione della vita differente rispetto a quello che si trova nel primo. O, anche se non è differente, non è identica.
Diciamo che se la protagonista del primo racconto alla fine decide che nella propria vita ci debba essere un segno di “addizione”, la seconda sceglie la sottrazione. E che vuol dire?
Be’, la risposta la troverai dentro la raccolta di racconti, diamine!
L’ultimo racconto, che chiude la raccolta, in principio doveva inaugurarla (forse ne ho già scritto in passato). Però mi era sembrato troppo “forte” come inizio, e mi sono detto che poteva infastidire (non turbare) qualche lettore, e spingerlo ad abbandonare frettolosamente la scrittura.
C’è di peggio, sia chiaro, e sono anzi certo che i miei sono scrupoli e nient’altro. Piazzandolo alla fine, e con la speranza che gli altri non siamo malaccio, mi auguro che la lettrice o il lettore “capisca”.

Gente che ci prova

Se parli di erbacce le storie, ovunque siano e ovunque riposino, forse si svegliano e ti vengono a trovare. Mi sono trovato a raccontare queste due storie brevi (ma la prima tanto breve non lo è), cercando soprattutto di illustrare come sia duro “cavarsela”.

Come diceva Raymond Carver, in fondo è gente che ci prova, e che per provarci punta solo su se stessa. Non ha altro che se stessa. Che deve rinunciare persino alla rabbia, e a un po’ di stipendio: perché altrimenti è la fine.
Il “bello” di questi ultimi 25 anni è il capovolgimento al quale abbiamo assistito senza battere ciglio. In fondo, prima, noi potevamo guardare a quello che succedeva altrove con pietà, e con un pizzico di tranquillità. Non poteva accadere a noi quello che subivano i peruviani, gli argentini, gli africani. Vivevamo in un sistema che “funzionava”, bene o male.
Adesso non basta più farne parte per cavarsela. A chiunque può succedere, da un momento all’altro, di condividere la sorte di un peruviano. In poco tempo, finisci all’angolo. E te la devi cavare. Da solo. Ma non c’è solo quello, nei miei prossimi racconti. Anzi: a me interessa ben altro e spero di essere riuscito a comunicarlo, in qualche maniera. Non mi interessa denunciare, avrei ben altri progetti. Uso il condizionale perché la faccenda è complicata…

La domanda delle 100 pistole

Quali sono gli autori che preferisci, quando vuoi leggere qualcosa che ti rilassi?


Prima la storia, poi il lettore

8 commenti

  1. È vero i tempi sono cambiati, oggi possiamo ritrovarci di colpo tra “le erbacce” all’improvviso, uno perde il lavoro, non riesce più a pagare il mutuo o l’affitto e si ritrova in una situazione estrema che mai avrebbe pensato di affrontare.
    Nei tuoi racconti c’è la storia, ma anche la descrizione di come i protagonisti affrontano la difficile situazione in cui si trovano, questa descrizione l’ho trovata bella (e magari il loro modo di affrontare la vita può dare speranza).
    Riguardo agli autori che preferisco per rilassarmi dipende molto dal momento, magari scelgo un romanzo leggero (per esempio l’ultimo che posso citare è quello di Luca Bianchini).

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    • Ecco, forse i gialli di Simenon. Dovrebbero rilassarmi, poi però mi scopro a cercare di capire come ha costruito la scena, quel dialogo, quella descrizione. Ma non è affatto “pesante” perché il buon Simenon riesce a costruire storie in apparenza banali, per poi mettere in scena piccoli quadri di vita borghese e spesso desolata. Anzi, direi quasi sempre desolata.

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