Cosa succede in un racconto? Viaggio semiserio dietro le quinte


sassello centro

 

Già, che succede in un racconto? Quali sono le forze OSCURE che agiscono dietro le quinte? Chi le manda? Chi le paga?
Davvero tutto è in mano a 7 vecchi che vivono in un bunker in Svizzera, e da lì tirano le fila di tutto?
E soprattutto: se queste fila si spezzano, chi chiamano a riannodarle?

Come dicono quelli bravi: Una premessa

Innanzitutto: mica posso star qui a scrivere cosa succede dietro le quinte dei racconti (in senso generale), ma posso solo raccontare cosa, secondo me, succede dietro le quinte dei miei. Che poi è un modo elegante e molto chic per parlare di quello che provo a fare. Il vantaggio di chi smercia la sua opera in televisione, rispetto a chi lo fa su un blog, è che il tenutario del blog (nel caso ti fossi distratto: io), arriva subito al dunque.
Non deve far finta che gli freghi qualcosa di quell’omicidio, della crisi economica o di quella siriana.

Come tutto ha inizio (be’, quasi tutto)

Quello che mi interessa è vedere come certa gente se la cava quando finisce in un angolo. E questo mi pare che si sia già capito. Ma questo è il primo livello, se così posso scrivere; è evidente anche a un povero paracarro sulla strada che conduce a Mioglia che nessuna persona sana di mente si mette a scrivere qualcosa se non ha qualche interesse per il personaggio.
Come dici? Che in realtà molta gente scrive, eppure non gliene importa un fico secco della grammatica italiana, figuriamoci allora del protagonista, della storia, dei dialoghi? Lo so bene, ma che ci posso fare? Io ragiono su come si dovrebbe fare, secondo me.
Tutto qui?

Perché c’è un livello SUPERIORE

Be’, no, non è tutto qui. Da un bel pezzo mi sono reso conto, complice anche certe letture, che sono interessato a ben altro. C’è un livello SUPERIORE nelle mie storie (lo scrivo tutto maiuscolo perché fa la sua bella figura), ma bisogna fare in modo che il lettore non se ne renda conto subito.
Perché se ti dico, o ti faccio capire:

Caro lettore. C’è un dietro le quinte, in queste storie, che non puoi nemmeno immaginare!

Sai che succede?
Che tu vai a cercare dietro le quinte, e ti perdi lo spettacolo. E lo spettacolo non è dietro le quinte, ma sul palco.
La difficoltà nel narrare le storie, soprattutto oggi, è che parecchia gente, se non gli fai capire che c’è “ben altro”; se non ammicchi, se non fai intendere che insomma, ci sono forze in gioco che nemmeno immagini, e che se ne stanno ammucchiate dietro le quinte, si sente defraudata.
Tutta gente, purtroppo, che ha perso il gusto di leggere una storia, e basta. E non sto dicendo che una storia deve piegarti in due dalle risate, altrimenti lascia perdere, passa ad altro. Dico che una storia si deve leggere. Che mentre tu leggi, devi sentire il piacere di una storia narrata bene.
In questo, Charles Dickens era un maestro ancora adesso insuperato. Da lì si dovrebbe partire, e imparare.
E adesso la domanda da 1 milione di dollari.
Marco Freccero, ci riesce?

La tensione si taglia col coltello

Ho il groppo alla gola. Sudo. Le mani sono pesanti e tremano.
Ci riesco? Non lo so. La mia speranza mi induce a dire: “Sì”.
Riuscire a costruire storie che si facciano leggere non è solo una questione di lingua e struttura. Come si sa, non serve una laurea o un diploma per essere dei bravi narratori. Il talento, per fortuna ferocemente antidemocratico, deve fare la sua parte. Costruire una storia non significa solo mettere assieme delle parole, poi aggiungere i dialoghi (che hanno il merito di far lievitare il numero delle pagine), e chiudere il tutto con una “morale”.
Significa semmai scrivere qualcosa di interessante, che piaccia, che attiri il lettore. E il dietro le quinte? Le forze OSCURE? Ci devono essere, ma il lettore non deve averne la percezione.
Il bello è arrivare a chiudere il racconto, e mollare il lettore in qualche landa deserta, dove il suo sistema di valori (se lo ha), gira a vuoto. Così gli fai capire che la realtà è davvero complessa. E l’essere umano un mistero. Da lì in avanti, se la dovrà vedere lui.

La domanda delle 100 pistole

E dietro le tue storie chi c’è? Confessa: Cia? KGB? Il grande Puffo?


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12 commenti

  1. E’ una bella domanda, a cui probabilmente non so rispondere. Senza dubbio dietro le mie storie c’è gran parte della mia vita. Spero però, negli anni, di essermi staccata a sufficienza dalle storie della mia vita. E di avere abbandonato del tutto un certo gusto autobiografico che riguarda gran parte degli aspiranti scrittori, soprattutto se inesperti come me.

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    • Io credo (credo) di non correre il rischio dell’autobiografia. Non ho niente che meriti di finire sulla pagina. Certo, l’ambientazione è quella che ho attorno, anche perché sono pigro, mi sposto di rado, e poi le piccole città (come Savona), praticamente cadaveriche sono perfette come scenario di una storia.

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  2. Non saprei dire con certezza se le storie si costruiscono o si trovano già fatte dentro di sé o in kit di montaggio nella stratosfera. Di sicuro sono il centro di tutto. Credo sia più sopportabile una buona storia scritta male che il contrario. Ma ottenere buone storie è difficile, molto difficile. Le mie buone storie non le ho ancora trovate! Dimostrare poi con un racconto la complessità della realtà, penso sia un peccato che molti non ti perdonano…. anche se, indubbiamente, è uno degli obiettivi più alti e più interessanti dello scrivere.

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    • Con una battuta: certi peccati sono necessari 🙂
      Chi scrive dovrebbe (sempre che ne abbia voglia, e le capacità) alzare il tiro; però mi rendo conto che spesso non se ne ha la voglia e si preferisce scrivere le stesse cose, tutto sommato simpatiche e innocue.

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  3. Be’ i miei racconti sono pieni di riferimenti, di doppi sensi, di rimandi, e via dicendo. Tuttavia anche il lettore più accorto credo ne intuisca giusto il 10%. La maggior parte, invece, si limita a leggere la storia, quella lineare, chiarissima, che in realtà dovrebbe essere solo il pretesto per… eccetera. Se fossimo famosi, probabilmente avremmo più lettori, ma altrettanto probabilmente alcuni di questi lettori si sforzerebbero maggiormente di vedere quel dietro le quinte di cui parli. Non so fino a che punto si potrebbe sperare di alzare quella percentuale (20%, 30%?). Ad ogni modo, conviene farsene una ragione.

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    • È vero. Credo inoltre che scrivere di riferimenti e doppi sensi sia praticamente un suicidio, in questi anni. Sono quasi certo che se adesso scrivi “requiem”, ti tocca fare un piè di pagina per spiegare di che si tratta, altrimenti il lettore con la laurea non sa che vuoi dire. Me ne faccio una ragione, ma è un disastro.

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  4. Nelle mie storie c’è un po’ di me perché inevitabilmente i miei personaggi finiscono per dire quello che penso o quello che farei in determinati casi. Poi capita spesso che i personaggi prendano anche una loro strada mio malgrado e se accade li lascio andare per vedere dove arrivano.

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    • È bello però quando prendono una strada loro, perché, a mio parere, vuol dire che li hai davvero ascoltati, invece di importi. Non è semplice, e io per anni non l’ho fatto.

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  5. “Dovrebbero esserci del valori dietro…”
    “Oh, m’hai fatto pijà un colpo!”
    [cit. Don Pizarro]
    Nelle mie storie c’è un po’ di me, ma per fortuna io sono più persone, molte delle quali immaginarie, sennò sai che noia 🙂

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