Secondo me, non ci hai mai pensato. E come avresti potuto? Scrivi e basta. Scrivi perché ti piace. Scrivi perché… Be’, la faccenda riguarda te soltanto, agli altri non dovrebbe importare un fico secco. Almeno agli inizi.
Tuttavia ho anche riflettuto, nel recente passato, che la scrittura se non fa a cazzotti con qualcosa, a che serve? E siccome è politicamente scorretto fare a cazzotti, siamo tutti buonini, e ci diamo tanti bacetti sulle guance paffute, allora una domanda balza su. Che scrittura ne esce? Che narrativa è?
E lo domandi a me?
Ma quale scrittore! Boxer!
Lo sai da dove parte questo errore a dir poco fondamentale? Sì, insomma, quello di scrivere e basta, per esprimersi.
Dall’ideuzza (come direbbe il buon Dostoevskij. Qui se non si cita il Fedor, si sta male!), che la scrittura serva a dire liberamente quello che ci passa per la testa. Al diavolo gli insegnanti che a scuola dicevano cosa dovevamo scrivere, e giudicavano pure. Ma al diavolo tutto il resto che in qualche maniera ci ingabbia. La faccenda, presentata in questa maniera, pare affascinante, e infatti ci si butta dentro a pesce.
“Scrivo per poter dire la mia: e che male c’è?“
Non credo che ci sia nulla di male. Come si dice? Scrivi quello che vuoi, tanto io leggo quello che voglio.
Quello che un autore dovrebbe prima o poi comprendere, e magari attuare, è che il suo “bisogno”, quella robetta chiamata “sensibilità” (che significa tutto e niente, e perciò è perfetta per tutte le stagioni), lasciata scorrazzare per i prati e i pascoli, dovrebbe invece scontrarsi. Fare a pugni insomma.
Vale a dire?
Se non fai a botte, sei uno scrittore a metà
Eh, vale a dire. Bello fare domande, vero? Tanto tocca a me rispondere.
Qui mi tocca tornare a guardare a Dostoevskij, così ci capiamo al volo. Lui aveva la sensibilità? Be’, credo di sì, ma non la lasciava affatto libera di girare e saltellare. Perché aveva capito (e uno dei pochi che lo ha compreso al giorno d’oggi, risponde al nome di Cormac McCarthy), che la sensibilità ha valore solo se incrocia i guantoni con quello che sta ben al di fuori di essa. Dostoevskij si scontrava anche con quello che era al di sopra della sua sensibilità (la religione era uno dei suoi argomenti preferiti).
Ma è perfettamente ovvio che qualcuno (più di uno), affermi:
“Io scrivo per permettere alla mia sensibilità di esprimersi.”
E tutti gli ascoltatori a questo punto fanno un sacco di complimenti e si congratulano con costui, o costei, soprattutto perché probabilmente afferma questo da dietro una cattedra o scrivania. In base ai nostri trascorsi scolastici, mai contraddire chi sta dietro a una scrivania: non si sa mai.
La domanda da porre a questo punto sarebbe:
“Ma la sua sensibilità, fa a botte con qualcosa? Che cosa?”
Se l’autore o l’autrice strabuzza gli occhi… Significa che non fa a botte. Il che va bene, ma tutta questa tiritera ha come obiettivo quello di ricordare una semplice verità: non tutti i libri sono uguali. Va bene leggere, ma sarebbe meglio leggere anche qualcosa che non sia sempre e solo intrattenimento.
Io per esempio, vorrei fare a botte col mistero.
La domanda delle 100 pistole
E tu, fai a botte? Con chi?
Entro la fine del 2016 arriverà il capitolo finale della Trilogia delle Erbacce. Scarica l’anteprima in PDF di Non hai mai capito niente, il primo capitolo!
Diciamo che lo scrittore deve essere un boxer gentile, altrimenti lo fa solo per marketing. E’ vero che bisogna vendersi ma siccome non sono uno scrittore, non sono nemmeno un boxer.
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Be’, nemmeno io sono uno scrittore, però diciamo che se lo fossi, dovrei essere un bravo boxer. Intanto, mi accontento di indicare come ci si dovrebbe comportare (secondo me).
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e ti ringrazio. Si impara sempre. E non si smette mai.
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Esatto, finché c’è vita c’è ancora tempo per imparare qualcosa.
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me lo dico sempre.
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