Incipit e scrittura: come nasce una storia


copertina racconti Non hai mai capito niente

 

Visto che bisogna parlare delle storie, perché solo le storie interessano i lettori, e non la fuffa del Seo, e di come raccogliere 1000 follower su Twitter e via discorrendo, ho pensato di fare una serie di post su come io provo a raccontare storie.
Con un’avvertenza…

La prima regola della scrittura

E l’avvertenza è che qua è tutto gratis. Non paghi un centesimo di euro. Non solo: non credo che entrerò nella storia della letteratura, ma userò questo post, e gli altri che farò (spero), per capire se e verso quale direzione mi muovo. Per poi scoprire, forse, che giro in tondo. E adesso, prima di iniziare, ricorda sempre e comunque che la prima regola della scrittura è comunicare. Il resto sono sciocchezze. Lo so che non sei d’accordo perché pensi a quell’autore che scrive cose molto dotte e lette e tanto interessanti che poi dici: “Ma perché non scrivono tutti così, in modo che tutti possano imparare cosa è bene, e cosa è male?”.
Io da un pezzo ripeto quanto affermato da Raymond Carver: uno scrittore deve essere bravo, non utile. E siccome sono un sempliciotto, sai che faccio io? Provo a dimostrare che lui ha ragione e chi non la pensa come lui ha torto.
A questo servono gli scrittori bravi: a rendere “semplice” il complicato mestieraccio della scrittura.

L’evoluzione dell’incipit

Uno dei racconti di “Non hai mai capito niente” (sì, la prendo alla lontana), è intitolato “La gioia che ci hanno tolto” (Vuoi leggerlo gratis? Lo puoi fare, basta cliccare qui e finirai sul blog della scrittrice Morena Fanti, che lo ha pubblicato colà. Uso colà per far capire che qui, siamo un blog di quelli seri, con tutti i crismi).
Nella sua versione definitiva è così:

Si è alzato dal letto un paio di ore fa e se ne sta disteso sul divano, a guardare la televisione. C’è una trasmissione che pubblicizza la vendita di stufe a pellet. Dura una quindicina di minuti, poi un breve stacco pubblicitario e ricomincia. È uno di quei canali che mandano in onda solo questo genere di cose.

Gli dico:

– Non ne usciremo più.

Lui fa una specie di grugnito. Dopo qualche minuto di silenzio sbadiglia. E dice:

– Se tutto quello che hai da dire è questo.

Prima di arrivare alla versione definitiva, c’è stato un po’ di lavoro, come puoi immaginare. L’idea, grezza, scaturiva da un’immagine e basta. L’unica cosa di definito era la voce, e gli occhi: erano di una donna, che parlava in prima persona. E quindi la primissima stesura era qualcosa di questo genere:

Non credo che ne usciremo. Questo ho detto a lui. Lui è mio marito Franco, e da quando si è alzato da letto un paio d’ore fa, se ne sta disteso sul divano. Guarda la televisione, c’è una trasmissione che pubblicizza la vendita di stufe a pellet. Dura una quindicina di minuti, poi un breve stacco pubblicitario, e ricomincia. È uno di quei canali che mandano in onda solo questo genere di cose. 

Allora ripeto:

– Non ne usciremo più.

Lui fa una specie di grugnito. Dopo qualche minuto di silenzio sbadiglia. E dice:

– Se tutto quello che hai da dire è questo.

Non esiste niente di intoccabile. Ecco la prima regola. Se non sei disposto a rifare, riscrivere, fare a pezzi quello che scrivi, lascia perdere. Il mondo cerca sempre nuovi dittatori, e tu forse sei tagliato per quel mestiere.
Non esiste niente di perfetto. Cancellare, rifare, è doveroso perché comunicare vuol dire essere sobri, semplici, e questo è un obiettivo difficile da raggiungere.
Come puoi notare, sin dall’inizio i caratteri della storia erano abbastanza precisi. Lui, lei. La televisione. Lei che riflette sulla sua condizione.
Ma perché c’è una differenza tra la prima versione, e quella definitiva? Buona domanda, ma risponderò in un altro post. Per adesso rifletti su questo: l’amico di chi scrive non è né la penna, né la tastiera.
Bensì l’ascia. Se non hai accettato questa legge, significa che devi percorrere ancora un bel pezzo di strada. Posso solo dire che inizi a usare l’ascia quando comprendi che sei lì, alla tastiera, per la storia, non per altro. Non per te. Sei al servizio della storia, e stop. È a lei che devi tutto. Se hai un poco di talento, è per lei. È per quelle persone (o forse dovevo scrivere personaggi?).

La domanda delle 100 pistole

Inizi dall’incipit, oppure è l’ultima cosa che scrivi? O la terza? Insomma: come scrivi l’inizio di una storia?


Fino al 31 dicembre “Non hai mai capito niente” è scontato. Acquistalo su Amazon.

14 commenti

  1. Di solito parto da un’immagine, un gesto, qualcosa che ha attirato la mia attenzione. Poi è la storia che si scrive da sé e, il più delle volte, il tutto si rovescia e quello che era l’incipit magari finisce in mezzo al racconto, o viene tagliato oppure resta lì ma con altre parole. Insomma, non ho regole fisse nemmeno io.
    Però la consuetudine per me è iniziare a scrivere senza scrivere: sovente in macchina, mentre guido, annoto mentalmente i passaggi, che poi quando inizio a concretizzare sulla carta (anzi su pc) diventano molto diversi. 🙂
    Condivido però in pieno il tuo amore per l’ascia.
    (E aspetto di leggere il tuo post sull’incipit di cui ci stavi raccontando)…

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  2. Siccome non esiste niente di intoccabile, non so mai da dove parto. A volte è una frase, un incipit, a volte una canzone che mi ispira una storia, a volte un libro o un film, magari un’idea tralasciata. Al momento sono partita da un titolo 😉

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  3. Io parto sempre da un incipit che mi aiuti a entrare nella storia con energia e la giusta convinzione e di solito è quello che rimane immutato fino alla fine. Poi è suscettibile di ritocchi quando procedo alla revisione.

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    • Sì certo, i ritocchi sono quasi qualcosa di dovuto. Ma ne “La follia del mondo”, il racconto “Nelle piccole come nelle grandi cose” ho gettato via incipit e i paragrafi seguenti. Poi ho spostato un paragrafo e quello è diventato l’incipit. A quel punto ho dovuto rifare qualcosina, ma era fatta. Adesso filava (e fila) come si deve, si arriva al punto senza tante chiacchiere.
      Almeno spero…

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  4. Inizio dall’inizio, senza considerarlo un vero incipit. E’ un trucco per non mettermi in soggezione davanti alla Grande Impresa. Poi finisce che mi affeziono a quel mio-malgrado-incipit, e spesso me lo tengo, alla faccia del trucco. Allungo le mani per prendere la tua bacchettata, meritatissima. 😉 (Buon Natale, intanto!)

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