«Tutto posso raccontare, solamente che nel racconto sono parole, mentre lì era vita, sofferenze, morte per fame.»
Frase interessante, non è vero? Ma non è mia, bensì dello scrittore russo Vasilij Grossman, ed è contenuta nel suo ultimo romanzo: «Tutto scorre». Ultimo perché morì uno o ue anni dopo, se non ricordo male: nel 1964.
E quella frase mi ha fatto sorgere una domanda (o meglio: ri-sorgere, perché da un pezzo me la faccio e ho pure trovato la risposta): siamo certi che le parole possano tutto?
Solo ombra
Ovviamente, no. Ma non è una grossa novità. Si sa.
Già Primo Levi aveva detto e scritto che c’era tanto che non poteva essere scritto, e non per ragioni quali il pudore, la vergogna (che pure avevano il loro peso).
Ma perché le parole non ce la fanno. La vita è troppo grande e potente per riuscire a esprimerla con le parole.
E certi orrori sono forse più grandi della vita stessa.
Bizzarro che un sacco di gente, compreso il sottoscritto, si capisce, cerchi di raccontare storie con uno strumento che… non ce la fa. Perché la parola è solo un’ombra, informe, zoppicante, della realtà. Della vita.
E noi che cosa siamo?
Ma qui stiamo virando verso la speculazione, verso la filosofia, signori miei e signore mie, e non va, non va proprio. Io non sono certo un filosofo, e quindi mollo la patata bollente che pure avevo preso incautamente in mano, e cerco di uscirne con l’eleganza e la disinvoltura che mi sono proprie.
Per esempio.
C’era un tipo, un ometto, che non faceva niente, ma proprio niente. Non è che fosse uno sfaticato, perché uno sfaticato scappa dalla fatica, sta lontano dallo sforzo. Mentre lui non faceva nulla, e anche scappare o stare lontano sarebbe stato qualcosa. Ma lui niente: se ne stava lì. Lì dove, be’, che diavolo. Non è importante specificare dove si trovasse, non è che bisogna cercarlo su Google Maps, no?
Comunque un giorno gli si avvicina uno, e finalmente gli fa la domanda:
«Scusi. Perché non fa qualcosa invece di starsene lì con le mani in mano tutto il santo giorno?»
E quello risponde. Mica poteva starsene lì senza ribattere nulla, giusto.
«Io cerco di essere.»
E la storia finisce qui.
Non mi chiedere il senso né il significato, perché non lo so e dubito che ce ne sia uno. Però è un po’ come la parola: credi che una storia per il solo fatto di esserci, dica tutto, contenga ogni cosa.
E invece…
Magari il messaggio c’è ma all’insaputa di chi la scrive. Magari invece non c’è proprio nulla, e quello che ho appena scritto è qualcosa da leggere e basta, per il solo piacere di leggere, senza star lì a spremersi le meningi pensando:
“Attenzione! Sembra che non ci sia nulla ma in realtà c’è della bella roba qui! Un significato profondo, un senso bello grande!”
Perché a quanto pare al giorno dopo se non ci sono messaggi profondi non vale nemmeno la pena di mettersi a scrivere. Mentre lo scopo di chi scrive dovrebbe essere quello di raccontare una bella storia: fine. Stop. Punto.
La domanda delle 100 pistole
Piaciuta la storiella?
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Assolutamente in sintonia con te. La frase di Levi è così importante e carica di significato, in qualche recesso della mia anima è rimasta, che stanotte ho scritto un raccontino dove nella parte finale non ho voluto appositamente trovare il termine per delle emozioni che ritengo più grandi del significato della parola stessa. Coincidenze. Il lettore se la trovi da solo.
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Interessante. Lo pubblicherai sul tuo blog?
Ah. La frase è di Grossman! 😉
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Ho usato questo imput nel post di oggi, mi riferivo al concetto di parola di Primo Levi, al suo uso, ad esempio, ne “I sommersi e salvati”, al concetto che esprime identificando un senso di pudore che spinge al silenzio. Sentimenti non detti, difficili da classificare in modo razionale. nel raccontino di oggi, nella parte finale ho intenzionalmente omesso di dare un nome al sentimento, non ho attinto al Wortschatz citato da Levi, il tesoro di parole.
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Sì, direi che mi è piaciuta. Ed è vero che le parole possono poco, non renderanno mai la visione chiara del mondo in cui siamo immersi, anche perché non è affatto chiara.
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E pi perché la parola è uno strumento per sua natura limitato. Meglio la musica, forse…
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le parole possono molto o poco. Dipende da noi. Ma le parole restano, la vita vola via.
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Credo che possano poco. E la vita è davvero troppo grande. Solo il silenzio può contenerla, forse.
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Essere o non essere, questo è il problema… diceva quello là. 😉
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Eh! Quello là la sapeva lunga, mi sa 😉
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Non vale paragonare la potenza della vita a quella della parola! La parola è povera. Ma perché la vita “sia”, alcuni di noi sentono il bisogno di codificarla in parole. Se poi le usi senza pretendere che tutto passi nel detto, e lasci spazio agli spazi e ai silenzi che ci sono in mezzo, magari viene fuori qualcosa di bello.
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Sono i vuoti tra parola e parola e tra lettera e lettera che rendono la pagina interessante 😉
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Sono completamente d’accordo a metà con te.
Tutto giusto, ma se non possono tutto, possono molto.
Come diceva quello? Ne uccide più la penna che la spada.
Ma aveva ragione quell’altro. Se la spada è molto corta e la penna molto affilata.
Quindi hai ragione, non si può tutto…
D’altra parte, se consideriamo abbastanza un sorriso, mezz’ora di serenità, una rivoluzione, allora la scrittura, le parole, possono di certo fare abbastanza.
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Però si potrebbe dire: ma le parole contenute in un avviso di garanzia non sono potentissimi?
In effetti… 🙂
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