Scrittrici liguri: Intervista a Chiara Solerio


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Terza e ultima intervista che ho realizzato a una scrittrice ligure: Chiara Solerio. Quando le ho proposto le domande, lei si è quasi tirata indietro: “Scrittrice io? Ma veramente… Sto lavorando a un romanzo, ma…”. E questo mi ha fatto capire che “scrittrice” era il termine giusto da usare nei suoi confronti. In un mondo dove tutti si definiscono tali, trovare qualcuno, anzi qualcuna, che ha una simile umiltà è cosa rara. Ma, si dirà: siamo alle prese con una falsa modestia. Errore. Perché basta navigare sul suo blog, Appunti a margine, per capire che lei prende sul serio la scrittura. Non è falsa modestia, semmai siamo alle prese con una persona che prende seriamente la parola. E potevo lasciarmi sfuggire l’occasione di fare quattro chiacchiere con lei? No, infatti…
Adesso lascio la parola a Chiara.

Chi o che cosa ti ha fatto venire voglia di scrivere? Perché non ti sei limitata a leggere?

È difficile rispondere a questa domanda perché non ricordo un momento preciso della mia vita associato al desiderio di raccontare storie. Se ripenso al mio passato, mi vengono in mente tante piccole tappe, che mi hanno portato a usare la scrittura come strumento privilegiato per esprimere me stessa. Un ruolo fondamentale, sicuramente, è stato ricoperto dalla mia nonna paterna, quando frequentavo le elementari. Al sabato sera i miei genitori mi mandavano a dormire da lei, e io attendevo quel giorno con ansia, perché adoravo ascoltare i racconti sulla sua infanzia e sulla sua giovinezza: penso abbia avuto una vita straordinaria, in un’epoca che, vista con gli occhi di oggi, sembra irrimediabilmente lontana e diversa (era nata nel 1912, insieme alle prime automobili, ed è mancata nel 2009, nell’era di internet). Nella camera in cui dormivo, un tempo appartenuta a mio papà e al più giovane dei miei zii, c’erano dei quadretti ad ambientazione medievale raffiguranti i dodici mesi dell’anno: lei, tra una fetta di pane con la nutella e l’altra, mi chiedeva di inventare un raccontino basato su ciò che vedevo. Inoltre, mi raccontava le grandi opere della letteratura come se fossero favolette per bambini: “c’erano una volta due ragazzi, Renzo e Lucia, che desideravano sposarsi, ma un uomo cattivo di nome Don Rodrigo voleva impedirlo…” 

Credo che mia nonna, più di chiunque altro, sia stata in grado di comprendere e di assecondare la mia propensione naturale a raccontare storie: se avessi avuto un carattere diverso, probabilmente mi avrebbe proposto di fare altro, durante le numerose serate trascorse insieme. Anche mia mamma, però, non è stata da meno: grazie ad alcuni adesivi con le lettere dell’alfabeto che mi aveva appiccicato sul seggiolone, ho imparato a leggere prima dei due anni. Ogni sabato, quand’ero un po’ più grandicella, mi accompagnava alla biblioteca comunale: come la Lila de “L’amica Geniale” di Elena Ferrante, divoravo in pochi giorni ogni opera che suscitasse il mio interesse. Inoltre, ammetto di essere stata molto fortunata anche in ambito scolastico: sia alla scuola media, sia al ginnasio e al liceo classico, ho trovato delle insegnanti di italiano capaci di farmi appassionare alla loro materia, e di incentivare queste mie capacità anche con dei compiti supplementari, che svolgevo volentieri. Quand’era il giorno del tema, mi svegliavo entusiasta come se dovessi andare in spiaggia. E ricordo con un sorriso la mia fissazione di arrivare all’esame di maturità con 10 di italiano, quando 8 era il voto massimo concessoci: anche se oggi mi sembra una stupidata, credo sia stata una delle mie sfide più importanti, e sono felice di averla vinta.

 Quindi, per tornare alla tua domanda, posso dire che non mi è mai “venuta voglia di scrivere”, se non a trentadue anni, quando decisi di ricominciare dopo quasi un decennio di silenzio auto-impostomi, forse, per rispondere alle aspettative della società e assecondare bisogni che, in realtà, non mi appartenevano davvero. Da quand’ero bambina, fino al periodo dell’università, la scrittura è stata parte di me, come lo sono stati il mangiare e il dormire. Non credo che Totti abbia mai “deciso” di giocare a calcio: si è lasciato trasportare dalle proprie tendenze naturali, dai propri interessi, e semplicemente l’ha fatto, senza porsi troppe domande, perché era il suo karma. Ecco: a me è successa la stessa cosa.

Di certo sei una scrittrice che non si improvvisa tale dall’oggi al domani. Chi plana sul tuo blog (ricordo che si chiama: Appunti a Margine) trova una lunga e interessante serie di post che hanno come oggetto la scrittura. E allora: definisci che cosa rappresenta per te scrivere.

Credo di averlo già accennato poco fa: scrivere è il mio karma, la mia missione. La mia vicinanza alle filosofie orientali mi ha portata a credere che ogni persona giunga sulla terra con un ruolo preciso. Il mio scopo (e ho impiegato anni per trovarlo, anche se l’avevo davanti agli occhi) è usare la parola per arrivare al cuore della gente; trasmettere, attraverso le mie storie e i miei post, dei messaggi importanti. Questi messaggi, poi, potranno essere accolti o rifiutati dal lettore, ma non è un problema mio. Lo scrittore propone, non impone; quando scrive, deve sempre tenere a mente la possibilità di non essere non compreso. Se però è consapevole di aver elaborato, con passione, un testo di buona qualità e pregno di significato, ha la coscienza in pace.

Sul tuo blog ricorrono spesso dei post dedicati alla figura del “Jolly”: la sua voce, le sue qualità. Ma che cosa rappresenta? È davvero importante?

Il Jolly è un personaggio del romanzo “L’enigma del solitario” di Jostein Gardner. 

Nel Mar Mediterraneo, c’è un’isola popolata da cinquantadue nani il cui microcosmo è in equilibrio perfetto: ciascuno indossa una divisa contrassegnata da un simbolo e svolge il proprio compito coerentemente con il ruolo che gli è stato assegnato. Per tenere a bada questi individui, il potere somministra loro la “gassosa purpurea”, una bevanda infernale che toglie la consapevolezza di sé. 

Un giorno, compare dal nulla uno strano individuo. Non indossa la casacca, ma una tuta colorata e un cappello con le punte. Gironzola per l’isola e rivolge ai nani domande alquanto imbarazzanti.

Tu chi sei? Cosa desideri davvero fare? 

Qual è il senso della vita? 

I nani lo guardano con curiosità. Ne sono al contempo attratti e spaventati. 

Il sistema, invece, cerca di ostacolarlo, perché la sua disobbedienza fa paura. E, cosa ancora più grave, perché potrebbe risvegliare i nani, rendendo vani secoli di repressione e di controllo.

Questo, per me è il ruolo che l’artista dovrebbe avere nella società. 

La mia visione, forse, è un po’ anni ’70: lo scrittore non è un mero intrattenitore, ma ha un ruolo culturale ben definito. Attraverso i suoi testi, veicola messaggi che ritiene meritevoli di essere condivisi. Non dà nulla per scontato ma si documenta, si informa e, quando ha trovato la propria verità la condivide con i nani, per risvegliargli e renderli immuni alla gassosa purpurea.

In realtà, come spiegai a suo tempo nel primo post della serie, ogni individuo può diventare un Jolly, nel momento in cui disobbedisce alle spinte omologanti della società, prende coscienza dei propri talenti e delle proprie risorse e li mette a disposizione degli altri. 

Questo argomento mi sta molto a cuore, perché un tempo ero una “nana” anch’io…e soffrivo!

Di recente hai promosso un post sulla “scrittura di getto”, con tanto di hastag #imieiprimipensieri. Alcuni blogger, come il sottoscritto, hanno raccolto la sfida; che non ha alcuna data di scadenza! Dicci qualcosa in più: perché? Quale scopo ti sei data creando questo hastag?

Ho creato questo hashtag per restituire alla scrittura la propria dignità creativa e liberarla dalle catene che spesso imprigionano gli scrittori: la paura di non piacere, l’auto-censura, la necessità di essere politically correct, e così via. Spesso, infatti, barattiamo la spontaneità con la perfezione. Quando iniziamo a diventare “bravi”, e indirizziamo la nostra arte verso uno scopo concreto (un romanzo, un racconto, una raccolta) mettiamo in secondo piano la libertà espressiva, e sottomettiamo i nostri impulsi alla tecnica. Tuttavia, tutto ciò che abbiamo da dire è importante, a prescindere dalla sua forma. Quindi, perché non scrivere ciò che viene, come viene, e condividerlo con gli altri senza revisionarlo? Il testo sarà imperfetto, ma autentico. 

Scrivere è un’arte che si impara con tanta pratica e tantissima teoria (cioè: si deve leggere moltissimo): ma davvero un blog può essere utile? Non è preferibile scrivere storie, e basta, invece di post? 

Bella domanda! Sai che non lo so? Uno dei più grandi difetti del mio carattere è la mancanza di senso pratico, quindi non mi sono mai domandata a cosa serva il mio blog: semplicemente, avevo voglia di crearlo, e l’ho creato. Adesso, ho voglia di aggiornarlo, e lo aggiorno. 

All’inizio, il mio intento era quello di rimettermi in pista dopo anni di silenzio, interagendo con altre persone vicine al mondo della letteratura. Ora si è creata una bellissima interazione con i followers abituali, sono nate delle amicizie e la mia voce si è sciolta. Dopo un anno di post ad argomento tecnico, ho sentito il desiderio di esprimere la mia personalità e la mia visione della scrittura. Gli articoli sono diventati più soggettivi, anche grazie ai due percorsi paralleli (il Jolly e #imieiprimipensieri) di cui ho parlato prima. I lettori hanno sempre accolto le mie idee con gioia, e ne sono felice, perché alla base di AAM (Appunti A Margine) non ci sono elaborate strategie di marketing, ma solo la volontà di entrare in contatto con persone disposte ad ascoltare ciò che ho da dire.

Qual è il tuo rapporto con l’editoria «ufficiale»? La detesti? La ami? Cercherai un editore non a pagamento, serio, quando sarà il momento; oppure preferirai scegliere l’autopubblicazione? 

Essendo la mia carriera ancora agli inizi, non ho esperienze positive o negative da raccontare. Sono in contatto con un editore che, attraverso il blog, si è incuriosito e mi ha chiesto di inviargli qualche brano dei mio romanzo: ha gradito molto sia la sinossi sia l’incipit e, pur senza promesse, attende l’opera integrale per una valutazione. Sarei molto felice se, quando il romanzo sarà pronto, lo valutasse positivamente. Non escludo tutta via nemmeno l’eventualità dell’auto-pubblicazione: piuttosto che dare i miei risparmi alle banche, preferirei investirli nella produzione delle mie opere. In generale, nella scrittura come nella vita, non sono una di quelle persone che vedono tutto bianco, o tutto nero: scegliere una delle due strade non esclude altre possibilità per il futuro.

Chi è la prima persona che legge quello che scrivi?

La mia beta-reader Marina Guarneri

Georges Simenon temperava tutte le sue matite, prima di iniziare a scrivere, e sottoponeva moglie e figli a un controllo medico per evitare che si ammalassero mentre era al lavoro su Maigret. E tu? Come avviene il tuo processo di scrittura?

Prima di scrivere, chiudo gli occhi e lascio che la scena si svolga nella mia mente, come su uno schermo cinematografico. La visualizzo in ogni minimo dettaglio, poi mi siedo al pc e la scrivo di getto, seguendo l’ispirazione. Solo alla fine del capitolo, rileggo e correggo. 

Per concentrarmi, a volte faccio degli auto-trattamenti reiki. Se mi sento bloccata, invece, dedito mezz’oretta a un’attività creativa irrazionale: coloro un mandala o (so che può sembrare ridicolo) canto, camminando in giro per la stanza con le cuffie nelle orecchie. Insomma: cerco di sospendere il mentale e di creare, dentro me, la sensazione che la realtà sia in stand-by. Solo così, riesco a immergermi completamente nella scrittura, senza cedere al richiamo della routine.

Molti affermano che si debba creare una sorta di «lettore ideale», e scrivere avendo in testa proprio lui (o lei). E tu, lo fai? Scrivi avendo in testa un preciso lettore?

Non essendo fanatica di una progettazione troppo serrata, che mi limita molto, il mio lettore ideale si definisce man mano che la storia prende forma. Il romanzo in stesura, per esempio, è rivolto alla mia generazione, ma quando iniziai a scriverlo non lo sapevo… 

Quanto di quello che scrivi finisce con l’essere scartato?

Tanto, perché ho una naturale propensione alla prolissità. Per il timore di non essere compresa, a volte tendo a ripetermi. Marina dice che riesco a dire la stessa cosa in mille modi diversi!

Secondo alcuni, la stagione d’oro del libro, cartaceo o digitale che sia, è finita da tempo. La narrazione ormai è affidata a cinema e serie televisive. Tu lavori a un romanzo e perciò ti chiedo: ha ancora senso farlo?

Certo: mi piace pensare che al mondo sia rimasta qualche persona come me, che non accende mai la tv ma esce sempre di casa con un libro (o il Kindle) nella borsa, per cercare, nel corso della giornata, qualche “buco” da dedicare alla lettura. La stagione d’oro del libro è finita, come è finita quella della discografia, ma la musica e la letteratura esistono ancora, hanno solo cambiato forma.  

So che stai lavorando anche a dei racconti. A questo proposito: che cosa preferisci scrivere: racconti o romanzo? E quali sono le peculiarità di ciascuno che ami di più?

Preferisco scrivere romanzi, perché rispecchiano i miei gusti da lettrice. A volte qualcuno mi domanda se un numero di pagine troppo elevato abbia mai scoraggiato, da parte mia, l’acquisto di un libro. Ma quando mai? Ho sempre avuto una netta predilezione per i tomi, ovviamente se la lunghezza è giustificata e non risulta un inutile parlarsi addosso.

Sarò fuori moda, visto che ultimamente noto una generale tendenza alla sintesi. La letteratura, secondo me, si sta un po’ adeguando al linguaggio del web, ma questa esigenza di “rapidità” è spesso usata come alibi per galleggiare in superficie. Mi piacciono le storie lunghe e articolate, con tanti personaggi, un messaggio importante e un’ambientazione ben dettagliata.  Mi piace entrare completamente in una storia, e dedicarle un tempo un po’ più lungo di una manciata di minuti. So che letture di questo tipo richiedono un impegno mentale più ingente, ma il senso di appagamento è nettamente superiore: credo che chiunque preferisca una lunga relazione d’amore alla classica “botta e via”…

Ciò nonostante, in passato ho scritto tanti racconti (due pubblicati nel 2007) e ho da poco rincominciato a scriverne di nuovo, forse più per i lettori che per me. Infatti, dopo aver deciso di riavvicinarmi alla scrittura, mi sono subito buttata sul progetto di un romanzo la cui realizzazione sta richiedendo qualche annetto. Voi mi state mostrando una grande fiducia, state aspettando pazientemente, e io non voglio lasciarvi aspettare troppo a lungo. Così, a breve parteciperò, a un paio di concorsi: oltre a cimentarmi su qualcosa di nuovo (sto lavorando a un progetto in 35.000 battute che mi diverte moltissimo) darò a voi la possibilità di conoscere meglio la mia scrittura. 

Parlaci delle influenze letterarie che hai avuto, degli scrittori che ami.

Di Niccolò Ammaniti ammiro la capacità di essere poetico anche con un linguaggio scurrile. Lui riesce a rappresentare realtà degradate rendendole belle: riuscire a rendere poetico anche lo schifo è un’importante sfida narrativa, che sono felice di aver reso mia. 

Elena Ferrante mi ha insegnato molto a livello di contestualizzazione storica. 

Andrea De Carlo, prima che iniziasse a sfornare opere che sono l’una il clone dell’altra, mi ha insegnato molto sulla personalizzazione dello stile e la gestione del punto di vista.  Inoltre (qui mi ricollego alla tua prima domanda) ho deciso di mettermi a scrivere dopo aver letto “Di noi tre”. 

Questo per ciò che riguarda la narrativa. 

Non posso però rinunciare a citare Natalie Goldberg e il suo saggio “Scrivere zen”, che come sai ha radicalmente mutato il mio rapporto con la scrittura. Né lo studioso Zygmunt Bauman, scomparso da poco, responsabile della mia vocazione sociale. Ci sono poi Dyer, Bourbeau, Weiss e altri autori legati alla filosofia orientale: le mie convinzioni dipendono in parte dalla lettura dei loro libri, quindi senza di loro il mio messaggio sarebbe privo di energia. Oppure, non ci sarebbe. 

Ancora a proposito del tuo romanzo: puoi indicarci quando sarà in vendita? E soprattutto: ci puoi indicare, almeno a grandi linee, di che cosa tratterà?

Parlare di pubblicazione è prematuro, ma vorrei ultimare il mio romanzo entro il primo semestre di quest’anno. Si tratta di una storia non di genere, che racconta l’evoluzione personale del protagonista nei primi quindici anni del XXI secolo. Scrivo, nella sinossi: 

“La scelta di collocare le vicende in un arco spazio-temporale ben definito dipende dalla volontà di offrire uno spaccato della società italiana di inizio millennio, ponendo l’accento sulle esigenze e le aspettative della generazione nata all’inizio degli anni ottanta. Per rendere al meglio questo obiettivo, è stato scelto un punto di vista in terza persona limitata con focalizzazione multipla.
L’opera prevede una suddivisione in quattro parti, ciascuna corrispondente a una diversa fase della vita del protagonista, con relativi obiettivi e conflitti. Le priorità che il protagonista ha in ciascuna sezione narrativa vogliono assumere valore universale in quanto rispecchiano tappe universali e seguono modi e tempi tipici del nostro tempo.” 

Non aggiungo altro per non fare spoiler. 

Però i lettori possono rivolgermi, nei commenti, tutte le domande che desiderano.


Chi è Chiara Solerio?

chiara solerioChiara Solerio è nata a Sanremo nel 1981, e lì abita tutt’ora, dopo una parentesi a Milano durata ben dodici anni. Scrive per passione, da sempre. Per qualche anno, ha rinunciato alla narrativa, curando principalmente blog e pagine Facebook. Ha collaborato con un settimanale locale e scritto testi per numerosi siti internet. Ma era consapevole che, prima o poi, la sua passione per la parola si sarebbe risvegliata.
Pratica quotidianamente la meditazione e, da poco, ha ottenuto il primo livello reiki. Prima di sedersi al computer per scrivere, “si connette con se stessa”. Questo aiuta molto la sua creatività. Legge moltissimo. E legge di tutto. Crede che sia fondamentale confrontarsi con più autori, per poter scrivere bene.

44 commenti

  1. Bellissima intervista, per cui ringrazio entrambi. 🙂 Mi sono ritrovata in tanta parte di quello che hai detto, Chiara, ed è bello sentire una volta in più di condividere un cammino simile, eppure unico e personale. Il discorso del rapporto d’amore piuttosto che “una botta e via” corrisponde del tutto ai miei gusti, anche se, come te, non considero affatto la narrativa breve come letteratura di serie B e scrivo anche racconti.

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  2. Ho avuto il piacere di conoscere Chiara di persona e sentire dalla sua viva voce parte di quanto ha rilasciato in intervista, quindi a tratti mi sembrava di sentirla parlare mentre leggevo. Le faccio i migliori auguri perché questo romanzo sia esattamente quello che desidera e da libera espressione del suo essere le permetta di intraprendere la strada in ascesa della scrittura. Non dubito infatti avrà un meritato successo.

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  3. Molto bene. Brava Chiara e bravo Marco. Posso solo fare i miei migliori auguri. Lo so che è dura, eccome se lo so. Sempre avanti, senza paura.

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  4. Che dire? Belli questi scrittori liguri! Ne conosco già un tot e mi piacciono tutti. Sarà che noi piemontesi siamo cugini primi o sarà che a forza di passare le vacanze in liguria (prima da bambina poi con i miei bambini) ormai mi sembra di conoscervi abbastanza bene?
    A parte gli scherzi, bravi ragazzi. Continuate così, che io vi seguo… 😉

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  5. Molto bella questa intervista, ho avuto modo di scoprire molto di più sulla personalità di Chiara che pure credevo di conoscere bene attraverso il suo blog! Ma c’è sempre da imparare del nuovo, che nonna fantastica Chiara! grazie a Marco per questa bel post

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  6. Posso solo ribadire che stiamo facendo un buon lavoro insieme, cioè il lavoro lo fa tutto egregiamente Chiara, io,ormai, le dico solo: “vai, continua così” 😉

    (Marco Freccero che intervista mi piace un sacco, sarà che conoscendolo anche tramite i suoi video riesco a immaginarmelo. 😛 Dovresti inventarti un altro modo di fare domande a qualcuno, Marco, visto che i liguri sono finiti. :D)

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  7. Bravi entrambi, Marco per aver fatto le domande giuste, Chiara per aver risposto in modo così preciso e onesto. Mi è piaciuta molto la frase “La letteratura, secondo me, si sta un po’ adeguando al linguaggio del web, ma questa esigenza di “rapidità” è spesso usata come alibi per galleggiare in superficie”. Condivido in pieno questo pensiero, e sono convinta che ognuno abbia una sua strada da seguire, che alla fine premierà le fatiche fatte.

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  8. C’è da dire che questa intervista non solo è ben fatta ma permette di gettare uno sguardo più completo su chi si presta. E’ stato un piacere leggervi.

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