I mestieri dell’editoria: intervista all’editor Sara Gavioli


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Mi sono deciso a intervistare alcuni editor. Si tratta di un mestiere spesso discreto, che io per esempio una volta disprezzavo (perché un autore che ricorreva all’aiuto di un editor, per me non era uno scrittore). Poi per fortuna ho capito. Ma siccome desidero capire meglio, mi sono guardato attorno e ho deciso di rivolgere qualche domanda ad alcuni editor. E ad aprire le danze è Sara Gavioli. Ecco le sue risposte.

In questa intervista non si brilla di certo per l’originalità; il lettore è avvisato. Infatti la prima domanda è: che cosa fa l’editor? Ce lo puoi spiegare?

Non è una domanda poi così banale. Molti non sanno cosa sia l’editing e spesso mi capita di doverlo spiegare. Possiamo definirlo un commento critico al testo, frutto della collaborazione tra autore e professionista, nel quale si punta a tirar fuori il meglio da un manoscritto ancora acerbo. Non si parla quindi di mera correzione grammaticale o riscrittura: un buon editor non scrive ma fornisce consigli, spunti di riflessione e critiche mirate perché l’autore possa intervenire e ottenere risultati concreti.

Seconda banale domanda: come si diventa editor?

Non esiste un albo ufficiale o un esame da superare: si diventa editor iniziando a lavorare sui testi. Questo è un bel problema, se ci pensi. Come si è sicuri di esserne in grado? In realtà, si impara facendo. Sarebbe bene iniziare con manoscritti di amici, per verificare come funziona, trovare un metodo ed esercitarsi. Esistono poi molti corsi, in particolare a Milano o a Roma, che aiutano a ottenere un confronto con professionisti affermati. Io dico spesso, scherzando, che colleziono corsi di editoria. Da soli non bastano, però aver modo di parlare con gli editor delle maggiori case editrici italiane ha una sua indiscutibile utilità.

La scuola migliore, comunque, rimane una: la lettura. Bisogna leggere tanto e di tutto, in modo critico, mettendo a confronto le voci degli autori, evitando di snobbare generi o correnti letterarie, sfruttando biblioteche, e-book, occasioni e sconti. Un editor che non legge abbastanza potrà anche fare venti corsi e sette master, ma rimarrà incompleto.

Dimmi quali sono, secondo te, le 3 qualità di un bravo editor.

La pazienza, senza dubbio, è la prima. Tutti gli autori hanno un legame emotivo fortissimo con la propria opera e subire l’intrusione di un altro cervello è dura. Un bravo editor diventa quasi uno psicologo, un confidente, e sa capire che siamo tutti un po’ matti.

Come seconda citerò la professionalità: si diventa amici e ci si ritrova a chiacchierare anche di vicende mondane, ma occorre prendere sul serio il proprio lavoro. Il conoscente con la passione per le lettere non è un professionista e quindi non ci si può aspettare da lui lo stesso risultato di un servizio retribuito, ma quando un editor si fa pagare deve garantire (nei limiti dell’umanità) prestazioni eccellenti. Essere sciatti, ritardatari o svogliati non è professionale. Chi andrebbe da un dentista che dimentica di curare una carie?

La terza è l’umiltà. Ci si ritrova in una posizione di potere: l’autore si fida, ascolterà i consigli, modificherà il proprio manoscritto in base alle critiche. Se si lavora per un editore, è probabile che un parere influenzerà il destino di un libro e quindi di chi l’ha scritto. È un ruolo di responsabilità, che va preso con la giusta dose di autorevolezza ma anche con una sana tendenza a mettersi in dubbio. L’editor non è più intelligente di chi scrive: sparare sentenze, insultare gratuitamente o umiliare l’autore non è una buona idea. Lavorando sui testi è sempre meglio controllare su vocabolari e manuali, non dare per scontate le proprie convinzioni. Dagli autori, poi, si impara un sacco, e togliersi questa possibilità per eccesso di autostima è un peccato mortale. Purtroppo, sembra facile: nessuno di noi direbbe “già, io invece sono un pallone gonfiato”. Bisogna mettersi in gioco davvero e lo si scopre man mano.

Immagina che io sia stato traumatizzato dalla vicenda Raymond Carver/Gordon Lish. (Per chi la ignorasse: I primi racconti di Carver furono pesantemente editati, anzi stravolti, proprio da Lish. In seguito Carver prese le distanze da quel lavoro, pubblicando i racconti nella sua forma originale). Cosa diresti per convincermi ad avere fiducia nel lavoro di un editor?

Ti direi che non devi avere fiducia in assoluto. Devi trovare l’editor di cui ti fidi, senza che la cosa sia una forzatura. Non tutti coloro che si proclamano bravi lo sono, non tutti i guru meritano di essere ascoltati. Un editor che costringe, che modifica senza spiegare, che snatura l’opera dell’autore non è degno di fiducia. Detto ciò, comunque, iniziare il lavoro con il presupposto di non modificare nulla sarebbe inutile. Occorre mettersi in discussione, basta dialogare e capirsi. Secondo me, nessuno dovrebbe lasciare che la sua storia venga totalmente modificata se non ne è convinto. Un bravo editor, se è necessario farlo, spiega i motivi e lavora per te, non contro di te.

Con questo non voglio certo dire che Lish non fosse in gamba. Di solito, le polemiche su editing pesanti non tengono in considerazione che se il libro fosse rimasto com’era non sarebbe mai diventato famoso. Forse tra i due è mancato quel dialogo che porta alla comprensione, però siamo davvero sicuri che conosceremmo Carver se Lish non avesse fatto nulla?

Adesso illustrami come si dovrebbe scegliere un editor. Cosa si deve chiedere? A cosa occorre prestare attenzione?

Qualsiasi editor si mette a disposizione per una prova gratuita. È una possibilità preziosa: in questo modo l’autore può verificare il metodo e la precisione del professionista. Sarà utile anche dare un’occhiata al curriculum, a eventuali siti o profili, a come risponde ai messaggi. Una mail sgrammaticata o sgarbata non è un bel biglietto da visita. Molto spesso, poi, gli autori chiedono ad altri autori con chi hanno lavorato e com’è andata.

Ciò che si dovrebbe usare come criterio di scelta non è, a mio parere, soltanto l’abilità di scrittura, ma anche la vicinanza emotiva. L’editing del proprio libro è un processo intimo, che può andare a buon fine se esiste un certo “feeling” tra editor e autore.

La mia idea è che una scrittrice dovrebbe affidarsi a un editor uomo. E uno scrittore a una editor donna. Credo che un occhio «opposto» al proprio sia migliore. È una stupidaggine, oppure vi si nasconde una qualche saggezza millenaria?

Finora ho lavorato più con autrici che con autori ed è andata bene. Credo dipenda da ciò che si preferisce e dal libro in questione, più che altro. C’è ben poco di oggettivo, nella scelta dell’editor perfetto. Il mio consiglio, quindi, è di seguire il proprio istinto.

Puoi editare qualunque storia, oppure devi avere un’empatia, devi sentire la storia un po’ tua?

Non direi che devo sentirla per forza mia, però deve scattare qualcosa. Anche quando lavoro a un romanzo che non comprerei, se l’ho accettato vuol dire che credo meriti di essere letto. A volte si tratta di libri molto personali, altre di storie più condivisibili, ma non mi faccio problemi a rifiutare se mi annoia o se lo ritengo impubblicabile. So che non darei il meglio e non è una questione di etica: sarebbe una perdita di tempo sia per me, sia per l’autore.

Come scegli le storie da editare? Puoi indicarmi le qualità che un testo deve avere perché tu decida di scommetterci?

Questa è una bella domanda, perché le storie su cui ho lavorato sono diversissime tra loro. Direi che per scommetterci devo capirle, riuscire a sintonizzarmi sulle frequenze dell’autore. E non significa che debbano esprimere per forza valori che condivido pienamente; devo però divertirmi a leggere, trovarci dentro quel qualcosa che rende una storia degna di occupare il tempo di chi legge. Se c’è, ogni errore si può correggere.

Racconti; romanzi. Hai un metodo di lavoro diverso per questo genere di scrittura?

Sono due cose diverse e quindi richiedono interventi diversi. Non è tanto il metodo a cambiare, quanto i punti su cui intervenire. Il romanzo ha bisogno di una struttura forte, che regga per molti capitoli e dia la possibilità al lettore di entrare nel mondo predisposto dall’autore. Il racconto deve essere immediato e rendere l’idea in poche pagine. Comunque, gli assoluti sono fallibili: dipende.

Ci puoi spiegare come affronti il tuo lavoro? Ricevi una storia: quali sono le tue prime mosse?

Di solito non ricevo la storia subito. Gli autori mi scrivono e fanno domande sul prezzo e sui tempi; io rispondo iniziando un dialogo che riguarda non soltanto la trama, ma anche le loro aspettative e le esperienze passate. Ogni autore è unico, ha un suo vissuto e una sua idea dell’editoria, della lettura, della scrittura. È ben diverso se si intende autopubblicare o se l’aiuto ricercato ha il fine di firmare con Mondadori. Il primo passo, quindi, è più che altro un test delle consapevolezze e degli obiettivi. Dopo, chiedo di poter leggere almeno un brano e di discutere della trama. Solo alla fine di questa prima fase iniziamo a lavorare.

Tu hai scritto un romanzo («Un certo tipo di tristezza» in vendita su Amazon e non solo). Il passaggio da editor a scrittrice è stato naturale, semplice, oppure richiede qualcosa in più? Soprattutto: come è nata quella storia?

Non mi reputo ancora una “scrittrice”. Sono una che ci prova, come tutti, e penso di dover crescere parecchio. Il mio romanzo, scritto ben prima di iniziare a lavorare come editor, ha diverse ingenuità che adesso correggerei di corsa: da allora sono cambiata anche come autrice. Ho firmato da poco con un’agenzia letteraria e spero di vedere, prima o poi, un mio titolo in libreria, ma considero l’editing come qualcosa di diverso e distante dalla mia scrittura. Non è che richieda qualcosa in più o in meno: è semplicemente un’altra cosa.

“Un certo tipo di tristezza” parla di Anna, una trentenne che si è arresa. Non trovando il suo posto nella società, ha deciso che passare il resto della vita sotto il piumone poteva essere una buona idea. Questa sua oasi di solitudine viene scossa da un’offerta conveniente: si ritrova a lavorare come custode, durante un inverno, presso una villa isolata in montagna. Lì scopre i diari dell’anziana signora che vi abitava, e leggendoli segue una storia non poi così diversa dalla sua.

Ho deciso di scriverlo con in mente un messaggio preciso: oggi, i miei coetanei si trovano tutti nella stessa barca. Siamo soli, alla deriva e confusi. In troppi scelgono di rifugiarsi negli angoli comodi, arrendendosi all’inevitabile isolamento e al cinismo. Quel che volevo mostrare è che forse basterebbe mettere il naso fuori di casa, magari perché costretti dalle circostanze, per trovare qualcosa. Non un miracolo, non la soluzione magica che risolve tutto, ma un inizio.

In conclusione: hai un episodio divertente, oppure particolare, legato al tuo mestiere di editor, da rivelare?

Ne avrei fin troppi. I migliori riguardano i modi creativi in cui si cercano informazioni, quando un romanzo le richiede. Per esempio, ci si infiltra in gruppi Facebook di medici per ottenere pareri su una malattia in particolare e poi si viene cacciati, oppure si inviano timidi messaggi ad avvocati per verificare procedure penali risultando, probabilmente, un po’ ridicoli. Queste sono le cose divertenti. Ci sono anche gli aspetti surreali e meno allegri del contatto con sedicenti editori a pagamento che cercano reclute, ma su questo potrei davvero scrivere un libro. La parte bella del mio mestiere, in ogni caso, è che ogni giorno inizia una nuova avventura. E come si fa a non amarlo, allora?


avaChi è Sara Gavioli? Nasce a Siracusa nel 1984 e sin dalla più tenera età coltiva l’amore per gli studi umanistici. Dopo la laurea si trasferisce a Milano dove svolge l’attività di editor freelance: ma come ci è arrivata?
Ha completato il corso dell’agenzia letteraria Herzog, quello di editoria presso la casa editrice Marcos y Marcos, quello della scuola milanese Belleville, e continua a investire nella propria formazione. Collabora con la Panesi Edizioni, una piccola ma interessante casa editrice non a pagamento, e con la Magenes. Ha un sito web: Sara Gavioli dove illustra il suo metodo di lavoro.

18 commenti

  1. Bellissima intervista e bellissimo ritratto di Sara. Un mestiere curioso e davvero interessante che fa percepire quanta passione serva per portarlo avanti. Complimenti a entrambi.

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  2. Io credo che l’editor sia un mestiere bellissimo. Se c’avessi pensato prima, quando ero più giovane, mi sarebbe piaciuto tantissimo provare a farlo. Secondo me è una figura molto affascinante, come quella dell’allenatore che riesce a tirare fuori il talento di un giovane atleta. Ci si potrebbe scrivere un romanzo.
    Quanto a Sara, ho avuto il piacere di conoscerla tramite il progetto di Buck e il Terremoto e l’ho scoperta una persona dolcissima. Non mi dispiacerebbe in futuro pensare di lavorare assieme a lei a un mio testo (ammesso che un giorno il mio testo sia pronto per farlo).
    Grazie a Marco per averci dato l’opportunità di conoscerla meglio. 🙂

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  3. Grazie per questa bellissima e interessante intervista, e per averci fatto conoscere Sara. Anch’io lavoro come editor, ma in un campo del tutto diverso dalla narrativa, ovvero il settore dell’editoria scolastica per le lingue straniere. Noto comunque molti punti in comune con il lavoro dell’editor di narrativa, in primo luogo il rapporto di fiducia che deve instaurarsi tra le parti. Gli autori con cui ho lavorato meglio sono anche gli autori che argomentano le loro scelte riguardo ai contenuti. E anch’io ho imparato sul campo.

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  4. il mestiere di editor è affascinante e a talvolta misterioso, Tu con la complicità di Silvia Gavioli hai cercato di togliere qualche pagliuzza a questo mestiere difficile e complesso. E ci siete riuscita alla grande.
    Complimenti a entrambi.

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  5. È da un po’ che penso con insistenza che mi piacerebbe, anzi no, correggo, che mi sarebbe piaciuto fare l’editor, trovo che sia affascinante entrare in sintonia con uno scrittore, leggo moltissimo, però con dei limiti legati al genere letterario.
    È un mestiere difficile, secondo me, perché devi essere un giudice super partes e valutare un testo senza farsi influenzare dalle proprie idee o da preconcetti implica una grande professionalità e delle doti di imparzialità che non tutti hanno.
    Marco, se hai iniziato questa serie di interviste, sono contenta perché comincio a segnarmi tutti i nomi con cui un giorno mi piacerebbe venire in contatto: questo tuo, Sara, è in lista, adesso (e poi sei sicula, per me è un valore aggiunto, visto che lo sono anch’io 😉 )

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    • Il problema è che spesso lo si vede come un mestiere “perfetto” (“posso giudicare la scrittura degli altri, scelgo i manoscritti da pubblicare per gli editori, ho il potere!”) ma in realtà è un lavoro, e come tale ha problemi, difficoltà, ostacoli. Bisogna impegnarsi. Farlo da freelance, tra l’altro, presenta tutti gli inconvenienti della libera professione. Insomma, so che non c’è da fidarsi perché io ho scelto di farlo, ma consiglierei di pensarci bene. Sarà meglio che fare il commesso? Dipende. Prima di tutto dalla tua capacità di autoregolarti, di gestire i tempi, di essere in sostanza un imprenditore. E non è semplice, per niente.
      In più, hai a che fare con delle persone; con i loro sogni. Sembra divertente avere un certo potere su questo, ma di fatto a volte spezza il cuore.
      Personalmente non cambierei il mio lavoro con nulla al mondo, però dipende.

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