Lo scrittore emergente rischia la fine di Edmond Dantès, il protagonista del romanzo di Alexandre Dumas dal titolo “Il conte di Montecristo”.
Che cosa voglio dire?
Il buon Edmond era bravo: ma bravo bravo. Un ottimo ufficiale destinato a una brillante carriera nella marina mercantile. Era benvoluto dal suo armatore che stava per nominarlo comandante di una delle sue navi. Stava per sposare la bella Mercedes. Non si interessava di politica, non era roba per lui. Esatto, il ritratto del bravo ragazzo (forse fin troppo bravo?).
Ma questo non lo ha tenuto distante dalla rovina, dal castello d’If.
Essere bravo non basta
Adesso ti domanderai che cosa diavolo unisce il buon Edmond, un personaggio letterario di un romanzo del XIX secolo, e l’essere un autoeditore nel XXI secolo; ti capisco, sul serio, e per questo adesso proverò a spiegartelo.
Purtroppo non è sufficiente essere bravo, e fare le cose per bene per ottenere qualche risultato. Non più: lo scrittore è (anche) una start-up, e non basta essere animati dalle migliori intenzioni per ottenere qualcosa.
Solo di recente, rileggendo un vecchio ebook di Sergio Maistrello, dal titolo «Io editore, tu Rete», mi sono imbattuto in questa frase:
«Più che di qualità, allora, dovremmo parlare di pertinenza, ovvero di aderenza di un contenuto alle necessità e ai gusti di una specifica persona in un dato momento.»
Si sa che tutti parlano, a ragione, di qualità. Non importa che poi ci siano proprio un discreto numero di editori che su questo terreno giocano al ribasso.
La qualità, si dice, deve essere l’obiettivo dell’autoeditore. Bene, ovviamente sono d’accordo e il libro che ho appena citato, non si sogna nemmeno lontanamente di affermare qualcosa di diverso.
Però cita la «pertinenza» e spiega anche che cos’è. E a quel punto io ho pensato: «Tombola!» e cos’altro potevo pensare?
Perché accanto alla qualità (o forse «sopra» la qualità?) ci deve essere appunto la pertinenza.
Un autore statunitense, di quelli, per capirci, che ha un sito che vende servizi agli autori esordienti, parla invece di «bisogni disattesi» per spiegare il successo spettacolare incontrato da certi libri. Esatto: entrambi, sia lo statunitense che l’italiano dicono le medesime cose.
Il mio problema è che me ne sono sempre infischiato di queste elucubrazioni (perché per me quello sono. O no?). Infatti ho pubblicato ben 3 raccolte di racconti (mica una), e mi trovo a che fare con una bella sfida.
Agire perché la Trilogia delle Erbacce arrivi a più persone.
Mi spieghi il come?
No, non te lo spiego.
Niente di personale, ma il punto è che non lo so nemmeno io. E anche se d’un tratto lo capissi, ebbene: sarebbe una strategia perfetta per me, sbagliata per te. Quindi perché perdere tempo?
Sia chiaro: non credo assolutamente che un autore debba studiare a tavolino il pubblico e in base a quello scrivere le sue opere. Si può fare, e un sacco di gente lo fa ottenendo degli ottimi risultati. Anzi, buona parte della fortuna di determinati guru ed esperti nasce proprio dalla loro capacità di individuare cosa «vende» (o tira) e quindi di confezionare l’opera per quel pubblico. Ma non è detto che poi il successo si presenti sempre. E non è detto che sia la strategia giusta per me.
Parliamoci chiaro: c’è tutto questo bla bla bla sul bello della libertà che la Rete regala. Non hai comitati di redazione, né direttori che ti dicono che devi raggiungere determinati obiettivi, o sono guai. E poi? E poi ecco che un po’ tutti ti dicono:
“Sì, però dovresti scrivere così e così. Poi dovresti parlare di questo argomento, e mai di quello. E inoltre dovresti parlarne in questa precisa maniera.”
Quindi il bla bla bla sul bello della Rete, e la libertà che regala, sono appunto… Chiacchiere? Che alla fine bisogna omologarsi? Che non vale la pena lottare, battersi un po’, darsi da fare per imporre, per esempio, la propria Trilogia delle Erbacce?
Quello che invece voglio dire è che con la mia opera chiusa e definitiva, e un’altra in cantiere (il #progettoIOTA: e che cantiere!), devo partire da quel termine «pertinenza» per inventarmi qualcosa.
Secondo me, i miei contenuti aderiscono perfettamente alle necessità delle persone; che io li abbia scritti senza pensarci è un altro paio di maniche.
Come diventare Il conte di Montecristo?
Ma allora: come divento “Il conte di Montecristo”? Perché alla fine, se non vuoi fare la fine di Edmond Dantès, devi per forza di cose abbandonare uno stato, un modo di pensare e di vedere le cose per… Per che cosa? Per diventare il conte di Montecristo?
Lì c’è stata un sacco di fortuna. Se non c’era il tesoro dell’isola di Montecristo non ci sarebbe stato alcun conte. Tu ce l’hai un tesoro? No: lo immaginavo.
Immagino che si possa diventare “conte di Montecristo” solo quando si diventa consapevoli che bisgona darsi da fare. È superfluo e soprattutto inutile attendersi il colpo di fortuna. Il tesoro che devi trovare, ancora una volta, si chiama “lettore”. E ancora una volta non esistono scorciatoie o trucchi. Sii te stesso. Il che non vuol dire affatto che conquisterai dei grandi numeri. Potrebbe anche accadere, certo; ma io non ci conterei troppo. Come scrivo spesso: non ci sono solo i grandi numeri, ma anche dei più che onorevoli numeri piccoli. Ma ugualmente importanti.
Non cadere nella trappolona di certi esperti che ti strizzano l’occhio e:
“Ti piacerebbe vivere con il tuo mestiere di scrittore? Ti piacerebbe raggiungere l’indipendenza economica che sogni da sempre?“
E certo che mi piacerebbe! È ovvio. Cosa preferisci: un calcio negli stinchi o una carezza? Aspetta che adesso ci penso, dammi cinqueminuticinque, eh!
La risposta a questa domanda non dovrebbe nemmeno esserci, perché non dovrebbe proprio esistere la domanda.
Al massimo dovresti essere onesto con te stesso e chiederti realisticamente dove vuoi piazzare il tuo marchio (e le tue opere). Stop.
E poi darti da fare. Come? Ancora con queste domande? Se non lo sai tu “come”, non posso certo essere io a dirtelo…
La domanda delle 100 pistole
Quanto sono “pertinenti” le tue storie?
Giusto per dire che io un uomo solo nella mia vita continuo a cercare ed è proprio lui, il citato Conte, da quando ho preso per la prima volta in mano il libro e … niente… tuffo al cuore.
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Eh. Un capolavoro è un capolavoro.
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Uhm…pertinenza rispetto a cosa? Alla domanda del mercato, immagino. Ma le grandi multinazionali non seguono la domanda, che nasce da un bisogno. Innescano il bisogno per poi piazzare il prodotto che lo soddisferà… Eh! 😉
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Mica semplice! Hai voluto la bicicletta? E allora pedala! 😉
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Spesso il successo di certe storie (pertinenti o meno) è soltanto una questione di fortuna. E quella non puoi certo attirarla come quando si legavano le caprette nella giungla per chiamare la tigre. Se tutte le storie “pertinenti” pubblicate dalle case editrici – o meno – avessero funzionato secondo determinati parametri, sarebbe stato come trovare il segreto della pietra filosofale.
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Questo è senz’altro vero: Harry Potter; la trilogia Millennium; eccetera. Però, si potrebbe dire che la fortuna non esiste e che quei libri hanno colto un bisogno sino a quel momento disatteso…🤔
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Non so se le mie storie sono pertinenti rispetto al mercato e/o alla domanda del lettore, sono le storie che riesco a scrivere e che nascono dentro di me. Non credo di riuscire a scrivere diversamente.
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Nemmeno io. Scrivo quello che sono in grado di scrivere, non mi metterei mai a scrivere storie di fantascienza. Non ne sarei proprio capace.
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