Scrivere vuol dire scendere in profondità


copertina l'ultimo giro di valzer

 

In tanti affermano che per chi scrive è indispensabile un posto tranquillo. Peccato che non sia affatto così, perché c’è un discreto numero di autori del passato che ha avuto la straordinaria capacità di scrivere seduti al bar, in mezzo alla gente. Li invidio, perché io non ci riuscirei. Magari si tratta solo di abitudine, e se mi impegnassi un poco riuscirei a farlo e con risultati sorprendenti.
Ma perché cambiare? Quello che mi ci vuole, o meglio che vorrei, è un posto isolato. Una baita in montagna, una corona di monti attorno, prati e boschi. E il silenzio…

Scendere in profondità

Sto ciurlando nel manico? (Adesso dimmi dove trovi un blog che usa l’espressione “ciurlare nel manico”. Fossi in te mi abbonerei a questo blog solo per questo). Voglio solo dire che occorre concentrazione. Si dice che basta scrivere: be’, non è così semplice.
Di certo è bene, con la prima stesura, buttare giù tutto quello che ci passa per la mente; ma se ci si ferma a questa prima fase, acerba e inconcludente, si commette un errore gravissimo.
Occorre scendere in profondità, concentrarsi, perché in una storia ci sono molte cose che non conosciamo; e si trovano proprie oltre le apparenze così rassicuranti.
Nel romanzo “L’ultimo giro di valzer” io e Morena Fanti ci siamo resi conto (o meglio: sin dall’inizio abbiamo compreso), che non era soltanto la storia di un uomo che tradiva la sua compagna, e che per questo conduceva una doppia vita. Abbiamo invece agito affinché questa banale storia facesse un po’ di luce sulla complessità della vita. Quello che noi vediamo e sul quale formiamo il nostro giudizio, spesso è solo il primo “strato”: l’apparenza, esatto. Sotto c’è dell’altro. E proprio per raggiungere lo stato sottostante che occorre impegnarsi. Scendere in profondità.
Ne eravamo coscienti quando abbiamo cominciato a scrivere questa storia?

Andare là dove nessuno è mai giunto! (O quasi…)

Non credo. Non completamente.
Lo siamo però diventati perché abbiamo scavato, siamo andati oltre. Potevamo scrivere qualcosa di semplice, restare in superficie, e stop? Ma certo! Il lettore legge quello che preferisce, ma pure chi scrive decide come la storia deve svilupparsi. È una questione di gusti, cultura, sensibilità, desiderio di provarci.
Ecco: volevamo provarci.
Costruire una storia che fosse avvincente ma meno ovvia di quanto sembri. Le premesse erano le “solite”: un uomo che tradisce la sua donna. Però ci premeva soprattutto vedere e capire come certe persone reagiscono. E abbiamo imboccato una strada, invece dell’altra.
Attenzione: non sto dicendo che “L’ultimo giro di valzer” è un romanzo filosofico, che richiede chissà quale preparazione culturale per essere assaporato e goduto. Niente del genere. Quando scrivo “complesso”, intendo solo ricordare che ogni essere umano è un abisso, e il nostro romanzo prova a ricordarlo al lettore.
Né questo post vuole essere un attacco alla narrativa di consumo, ci mancherebbe altro! E non è raro che ci sia narrativa di consumo di eccellente qualità.
Come ho scritto in precedenza: il lettore legge quello che vuole. E chi scrive, scrive quello che vuole.
La sfida che abbia raccolto (oppure: che abbiamo lanciata a noi stessi? Boh!), era di raccontare una storia che sembrasse viste le premesse, la consueta storia. Ma che in seguito prendesse un’altra direzione (o meglio: una direzione meno ovvia).
Ce l’abbiamo fatta? Noi possiamo garantire che abbiamo lavorato sodo per riuscirci. Ma la sentenza finale, quella più importante, è dei lettori…

La domanda delle 100 pistole

Quanta narrativa di consumo leggi in un anno?


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24 commenti

  1. Che la vostra non sia narrativa di consumo è certo. Di mio ne leggo parecchia, un po’ per caso, un po’ per scelta, diciamo pure per curiosità, e nel mucchio ne riconosco anche di qualità. E come dici tu, me ne vado nella baita a fianco di cui vedi spuntare il tetto in lontananza oltre il bosco di abeti, più o meno distante un’ora a piedi, così tanto per non darsi noia. Buona scrittura.

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  2. Bisognerebbe definire bene la narrativa di consumo…che alcuni consumi di ieri sono diventati i classici di oggi. 😉
    Fatalità da quando ho il blog alterno un libro-manuale a un libro di svago (se vogliamo dir così).

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  3. Mi abbonerei a questo blog solo per quella espressione. Ma sono già abbonato. 🙂
    Io ho un autore che prendo sempre come “narrativa di consumo” e che poi mi sorprende per la profondità dei temi e l’intreccio non banale. Questo autore è Marc Levy. Che mi ha preso con “Se solo fosse vero”, con “I figli della libertà” (questo più impegnato) e adesso con “Il primo giorno”. Ma poi, non saprei nemmeno definire cosa sia di consumo…

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  4. “c’è un discreto numero di autori del passato che ha avuto la straordinaria capacità di scrivere seduti al bar”. Beati loro. Io mi immaginerei bene a scrivere con un bel Mac in un café di Londra. 🙂 Ogni volta che ci vado scorgo alcuni ragazzi con Mac che credo studino. Farei solo quello nella mia vita di scrittore, andrei sempre nel solito café alla stessa ora e mi metterei a scrivere un paio d’ore. Vorrei essere tanto ricco da poterlo fare. Londra è costosa, per viverci devi lavorare e pure molto. Soprattutto con la Brexit penso che chi non lavora lo rimandano indietro a calci… 😀
    Letteratura di consumo? Leggevo King. A un certo punto ho smesso. Mi ha fatto parecchio innervosire il fatto che compravo libri con copertina rigida della Sperling&Kupfer e regolarmente mi si spaccava. Me ne sono lamentato diverse volte con l’editore su Twitter e il loro unico commento: lo sappiamo. Non hanno manco detto: “Guardi se ci manda una foto, le rimandiamo il volume nuovo a casa”. Probabilmente perché altrimenti dovevano mandare a casa di tutta Italia centinaia e centinaia di libri? Io fossi stato in loro avrei agito con un contatto diretto. Ma a parte questo, King non mi soddisfa più come una volta. Credo abbia perso la mano, o sono io che ho perso il fascino per King.
    Leggo Grisham di tanto in tanto. 4 libri fino a ora. In realtà 3. Il quarto non l’ho iniziato.
    Ho letto alcuni best seller del New York Times. Un paio.
    Romanzi vari. Di recente sto leggendo di più, dopo il mio schianto, direi che è meglio se mi dedico alla lettura. Il problema è che più leggo, più vedo serie TV, e più mi parte l’ispirazione a palla. Voglio scrivere un romanzo che ha come temi alcuni che ho sempre trattato, ma lo voglio incentrare solo su quello. Mi ha ispirato una serie che ho visto. Tratta da un libro che ho deciso di leggere, ma direttamente in inglese, nel mentre sto leggendo un altro libro di un autore sconosciuto a me e che mi ispirerà il tema. Anche questo è in inglese, ma credo non ci sia in italiano.

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  5. Per me esiste la narrativa. Quanto a consumarla, la consumo volentieri, ma non do all’introspezione un valore maggiore che all’ironia o al divertimento o a qualsiasi altra cosa si possa trarre dalla lettura. Qualunque storia può essere ben fatta o scarsa nel suo ambito, e anche così è solo un parere del tutto personale. Questo non significa che legga di tutto; anch’io ho i miei gusti (mutevoli). Solo non mi riconosco nella classificazione.

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    • Le classificazioni sono generalizzazioni. Si fanno perché… probabilmente sono necessarie. Ma autori come Richard Yates, finché erano in vita, hanno venduto poco (e non so se il film con Di Caprio ha cambiato qualcosa).
      Altri invece hanno venduto tanto (forse persino troppo!). Altri ancora hanno venduto solo abbastanza.
      Certi generi li leggo poco: la fantascienza per esempio, mi ci sono avvicinato solo grazie a Carla Monticelli. Ma il fantasy, per dire… Mah!

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