Nella mia raccolta di racconti «Cardiologia», c’è il racconto intitolato: «Il cuore». Una storia breve dove un uomo, in cassa integrazione, per ammazzare il tempo fa il sagrestano. E ruba sulle offerte; tanto il parroco, anziano, si fida e non controlla un bel niente.
Tuttavia…
Libero arbitrio?
Come saprai, le storie si raccontano perché accade qualcosa che induce il protagonista a uscire allo scoperto. E infatti accade. Che cosa accada non te lo racconto perché mi sembrerebbe di fare qualcosa di sbagliato. Il bello è che dopo, ma dopo un bel po’, mi sono reso conto che tutto ruotava su un concetto semplice: il libero arbitrio.
Vale a dire: io (anzi: IO) avevo scritto una storia breve sul libero arbitrio. Ma non me ne rendevo conto mentre scrivevo, ovviamente: mi sarei spaventato. Sul serio. Non sto scherzando.
La roba filosofica non mi piace e non la tratto innanzitutto perché non è una faccenda per me; io non sono uno scrittore, ricordi? Sono uno che racconta storie. Inoltre, immagino che sia parecchio difficile coniugare una storia con concetti del genere. Però l’ho fatto (o almeno spero. Diciamo che ci conto. Lo spero, ecco).
Il protagonista agisce, e a ogni istante può cambiare il corso degli eventi. Deve andare a Savona per riparare il vetro dell’automobile, certo. Ma invece di andare dal carrozziere, e mancare così l’appuntamento, rispetterà alla lettera la tabella di marcia che si era dato. In un certo senso, rivendica il diritto di fare quello che vuole, e lo fa. Gli eventi vanno in una direzione? Ma io non mi piego di certo per così poco. Io decido: e che mai potrà succedere?
Quando poi si trova faccia a faccia con lo strano personaggio, be’: anche lì ha, sino all’ultimo, la possibilità di scegliere. Di tirarsi indietro.
Ma sceglie.
E se adesso ti dicessi che a un certo punto…
Lo scrittore americano
Ebbene sì: sempre dopo un bel po’ che lo avevo terminato, e quasi me ne ero dimenticato, ho capito che il mio era un omaggio a Cormac McCarthy. Naturalmente un omaggio venuto male, ma da uno come me che cosa puoi pretendere?
Hai fatto caso che i personaggi di certe storie di McCarthy, o Dostoevskij, hanno questa inclinazione a dissertare su temi filosofici? Ammazzano, e filosofeggiano, e lo fanno davvero bene. E solo dopo, diciamo a mente fredda, ti interroghi e dici:
«Ma che diavolo! Non è possibile! Non esiste gente del genere!»
In realtà credo che esista eccome gente di questo calibro, ma non è questo il punto. Semmai è in questo: è stato edificato un mondo talmente onesto e convincente, talmente reale, che quando Chigurh, l’assassino di «Non è un paese per vecchi», parla, non ci trovi nulla di davvero strano in quello che dice. È perfettamente logico e ovvio che dica quello che è riportato. E attenzione: se affermi:
“No! È pura fuffa, lo urlo sui tetti: FUFFA!”
Io non dico che tu non abbia il diritto di gridarlo. Ma lo gridi non perché sia fuffa, ma solo perché non ami la storia; come è scritta. Lo stile, o la tecnica usata.
Si tratta, come vedi, di due concetti differenti: una storia può non piacere, ma tuttavia si dovrebbe riconoscere in essa la coerenza, l’onestà dispiegata dall’autore durante il processo di scrittura (come mi piace usare dispiegare!). Posso non amare affatto “Il Signore degli Anelli”, ma di certo è un’opera interessante perché scritta con una onestà e cura, e in quelle pagine è racchiuso un valore tale che mi spinge comunque a guardarla con simpatia.
E dal basso della mia esperienza, nel mio racconto «Il cuore» c’è questa strana figura che vorrebbe ricalcare certi personaggi trovati in altre letture. Sembra un ragazzino, ma non lo è affatto. Fa pure lui filosofia; ma che vuol dire filosofare se non ragionare su quello che si è, e su quello che si fa?
Mentre chiudevo questo post mi domandavo:
“Ma che ho scritto? Siamo davvero sicuri che “Il cuore” sia un racconto sul libero arbitrio? E soprattutto: perché devo a tutti i costi caricare di cotanto senso una semplice storia breve?”
Te lo dico io, il perché: sono malato di provincialismo, e cerco a tutti i costi di darmi un tono…
La domanda delle 100 pistole
A tua insaputa, hai fatto filosofia nelle tue storie?
Conosci “Cardiologia”? Leggi che ne dicono i lettori.
Ho una notizia: quasi sempre si fa filosofia mentre si scrive. Ho detto ‘quasi’, non spaventarti 😀
Post molto interessante. In questo pensiero c’è una verità che non tutti amano sentire:
“E attenzione: se affermi:
“No! È pura fuffa, lo urlo sui tetti: FUFFA!”
Io non dico che tu non abbia il diritto di gridarlo. Ma lo gridi non perché sia fuffa, ma solo perché non ami la storia; come è scritta. Lo stile, o la tecnica usata.”
Quando molti dicono che la storia non piace è perché l’autore ha toccato un nervo scoperto. E, spesso, quella storia è scritta bene, altrimenti non toccherebbe nulla.
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Sottoscrivo! 🙂
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Non ho idea se sia un racconto sul libero arbitrio, però l’ho letto poco tempo fa e mi sono dovuto fermare a prendere fiato. Mi è capitato spesso leggendo cardiologia. Di certo è un racconto sull’umanità. Per me naturalmente, perché il bello delle storie è che ognuno troverà la sua ragione e la sua emozione.
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Mah! Forse non lo è nemmeno, e come ho scritto, cerco solo di darmi un tono. I liguri, da quando sono stati “confinati” in questa parte d’Italia, sono molto provinciali 🙂
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Senza saperlo lo faccio spesso, me ne rendo conto sempre alla fine…o forse fingo non saperlo 🙂
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Ma si capisce: se me ne fossi reso conto mentre lo scrivevo, avrei mollato tutto. Oppure avrei scritto, ma mi sarei incartato e chissà cosa ne sarebbe venuto fuori. Le cose migliori avvengono a nostra insaputa (forse).
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a volte ci provo ma con scarsi risultati. Il libero arbitrio è per me molto vincolato a quello degli altri.
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Non lo devi pianificare. Deve accadere senza che tu te ne renda conto 🙂
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il problema che pianifica o mo non accade 😀
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Interessante! 🙂
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se lo dici, ci credo
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Penso sia inevitabile filosofare un po’ nelle proprie storie. E non credo sia una questione di fare i maestrini col lettore, quanto piuttosto che in fondo anche chi scrive cerca delle risposte, no? Anzi, la domanda principe di ogni racconto (lo dice King, chi sei tu per contestarlo?!) è quel famoso “E se?” e chi scrive cerca a volte risposte verosimili, a volte risposte completamente inventate (distopie e fantascienze varie).
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I miei racconti non sono mai partiti con “E se…”; ma solo con delle immagini. Poi il significato, se c’è, se dentro ci si infila la “filosofia”: non mi riguarda! Parlate con lei, io non so niente 😉
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