Scrivere è un brutto mestiere


 

Tutto è iniziato quando lo scrittore ha voltato le spalle alla gente, e ha iniziato a considerarsi chissà chi. E a parlare alle classi agiate, esatto. Perché la realtà è una e una sola, signore e signori.
Scrivere è un mestiere come un altro. Puro e sublime artigianato. E se qualcuno pensa che non sia così, si sbaglia.
Purtroppo, le persone guardano ormai a chi scrive non come a una persona come loro, ma “altro”. Non lo sentono dalla loro parte, parte di esse, del loro mondo.

Scrivere è come costruire un tavolo

Starai pensando che questo è proprio un post serio. E poi tutta questa sicurezza già dalle prime righe: mmmmm.

Mi è tornato in mente quello che scriveva lo scrittore delle isole Orcadi George Mackay Brown. Ebbene: lui diceva proprio questo: scrivere è un mestiere come un altro. Che differenza c’è tra costruire un tavolo, fare del buon pane, o scrivere delle storie? Non c’è nessuna differenza.

La differenza è stata costruita ad arte dalle classi agiate, e da scrittori desiderosi di mettersi al soldo di esse. Per marcare la distanza tra la plebe, e le classi benestanti. Gli scrittori si sono buttati a pesce tra quelle braccia: li sfamavano. E prima o poi qualcuno dovrà scrivere un’opera completa e documentata sulla fame degli scrittori, e come sono andati volentieri a tavola di quanti davano loro vitto e alloggio.

Tu menti per la gola! Gli scrittori hanno cavalcato il progresso! Hanno indicato grandi mete! Hanno reso il mondo migliore!

Gli scrittori sono imbarazzanti, nella maggior parte dei casi. Hanno attaccato l’asino dove il padrone voleva, e lo hanno fatto con cura e scrupolo. Se sono stati fortunati, e si sono trovati dalla parte giusta (la parte vincente), hanno avuto quello che volevano: il successo.

Altrimenti, sono finiti in un angolo.

Ma il punto non è questo, in realtà. Il problema, come accennavo all’inizio, è l’alleanza che si è creata tra chi racconta storie, e chi (il potere), plasma la realtà. Alla fine lo scrittore è diventato un esponente certo interessante, da ammirare, ma estraneo alle persone. Un corpo distante, forse intelligente, ma che non era affatto espressione della società; ma di una parte di essa.

Quella ricca, certo.

La terza via

D’accordo: è inevitabile, mi dirai. Infatti è quello che penso pure io. O ti rassegni a startene in un angolo, e se vendi poco te ne infischi (perché le tue miniere di diamanti e oro lavorano per te).

Oppure prima o poi finisci comunque al soldo di qualcuno.

Oppure… Be’, credo che esista una terza via. Eccome se esiste. Io la sto cercando, e credo che per adesso l’autoeditoria sia appunto la celeberrima terza via. Attenzione: tra 40 anni temo che non lo sarà più. Dopo che un po’ tutti avranno capito il suo valore, saranno ben pochi gli autori che decideranno di restarci per sempre.
Preferiranno, giustamente, andare nella scuderia di una casa editrice: perché è più facile.

A certe condizioni lo farei pure io, ma a certe condizioni, certo. E magari scriverò un post su queste mie, folli condizioni…

La domanda delle 100 pistole

È o non è un mestiere come un altro?


Non conosci la Trilogia delle Erbacce? Rimedia all’istante!

29 commenti

  1. Se ne può ricavare un guadagno? Si.
    C’è chi lo fa gratis? Si.
    Con l’esercizio e l’esperienza si migliora? Si.
    Ci si potrebbe campare? Uhm… (ma pure con altri lavori non è che ci campi sempre)
    Ci vuole passione per riuscire bene? Si.
    Può diventare un lavoro meccanico? Anche, ma con scarsi risultati.
    …sembrerebbe che sì, sia un mestiere come un altro. Anche se molti di noi ancora lo praticano come hobby o come volontariato, purtroppo.

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  2. Sì lo è, un bel mestiere e resta tale sino a che ci si ricorda che proprio di mestiere si tratta, fatto con passione e impegno. È per questo che ho molta ammirazione nei confronti degli scrittori, li vedo però inarrivabili.

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  3. È un mestiere come un altro e, come ogni mestiere, si può fare bene oppure male. Se vuoi scrivere e farlo bene (soprattutto da auto editore) devi fare un sacco di fatica, impegnarti, dedicarci tempo e sudore se vuoi offrire un buon risultato (non dico un capolavoro, ma almeno un libro scritto in forma corretta) insomma ci si prova. Poi però siccome non ti permette di viverci bisogna farlo nei ritagli di tempo libero, sarebbe più comodo vivere di rendita…

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    • Infatti: la rendita! Mai che ci sia un pozzo di petrolio quando serve 😉
      Non ho mai desiderato scrivere capolavori (non è vero: l’ho desiderato una volta, ora non più), a me basta raccontare le mie storie, e l’autoeditoria me lo permette.

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  4. è un lavoro quando ti permette di vivere con i suoi proventi. Altrimenti è un hobby. Un mestiere? Entro certi limiti, sì. Un mestiere s’impara. Scrivere sono capaci tutti o quasi, puoi imparare qualche trucco ma serve un pizzico di bravura.

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  5. “Che differenza c’è tra costruire un tavolo, fare del buon pane, o scrivere delle storie? Non c’è nessuna differenza.”

    Può darsi che non ci sia nessuna differenza. Bisognerebbe provare a costruire un tavolo da zero. Ci si accorgerebbe della fatica e delle difficoltà da affrontare. Dopo il decimo tavolo (o la decima storia) avremo abbastanza esperienza e stile per dire che non c’è nessuna differenza tra il costruire un tavolo e il costruire una storia.

    Quindi, sì: alla fine (ma solo alla fine) si potrà dire che non c’è nessuna differenza tra costruire un tavolo, fare un buon pane e scrivere storie. Nel frattempo, non ci si può svegliare la mattina e costruire tavoli perfetti al primo tentativo.

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    • Vero: occorre molto tempo, molta applicazione, sia a costruire tavoli che a costruire storie. Credo che questo scrittore delle Orcadi intendesse anche togliere l’alone che circonda chi scrive, e che viene a torto considerato un essere superiore, che vive in un luogo appartato, nella solita torre d’avorio. Lui al contrario pensava che fosse, appunto, solo un artigiano.

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  6. Marguerite Yourcenar diceva che scrivere è come fare il pane, e lei era una grandissima scrittrice. Quindi mi sembra che siete sulla stessa lunghezza d’onda. Per quanto riguarda il tuo pensiero sullo scrittore che negli ultimi tempi si è distaccato perché allineato col potere, non mi trovi completamente d’accordo. Da che mondo è mondo, molto spesso gli scrittori (chiamiamoli anche bardi, aedi, trovatori, commediografi ecc.) hanno vissuto vicino al potere, hanno avuto dei mecenati e dei protettori, hanno cantato le imprese dei loro signori e via discorrendo a seconda delle epoche storiche. Stessa cosa per i grandi compositori, di recente ho scoperto questo compositore di origine italiana, Lully, alla corte del re Sole, che sbranava i rivali con i suoi intrighi pur di mantenere la posizione. Anche se la persona è meschina, questo non toglie nulla alla grandezza del lavoro.

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    • Sì, è vero. Knut Hamsun è stato un grande scrittore, ma ha scritto il necrologio di Hitler. Oltre ad aver regalato la medaglia del Nobel al gerarca nazista Goebbels. Diciamo che l’arte ha bisogno di serenità d’animo per esprimersi in maniera compiuta. Anche se a volte ci riesce comunque.
      Quello che mi premeva dire è che molti autori non si occupano né preoccupano di produrre arte, ma solo di usare il loro talento (reale o presunto), per pontificare.

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  7. Ehm… no. Intendo lo scrivere in sé, non i vari rapporti che si creano con il potere eccetera. Secondo me le arti sono tutte composte da una dose non piccola di artigianato – e qui il tavolo ci sta – e da una dose di “altro” non definibile – e qui al tavolo ci si salta sopra e si danza. In un lavoro normale hai tutto sotto il tuo personale, umano controllo. Nell’arte non è così.

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      • In realtà no, oppure non nel significato che comunemente si dà al termine “talento”. Credo che l’impulso creativo metta l’artista in contatto con una dimensione che va oltre se stesso e la realtà quotidiana. Con il Divino nel senso più ampio, secondo me, ma gli si possono dare tanti nomi. In fondo anche “talento” va bene. 🙂

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  8. Tutto è iniziato quando lo scrittore ha voltato le spalle alla gente, e ha iniziato a considerarsi chissà chi.
    Purtroppo lo specchio che riflette il volto di alcuni presunti scrittori non risponde come quello della Regina di Biancaneve: basta un primo edito (a volte nemmeno quello) e ci si crede già appartenente ad un’élite. Si inizia a parlare diversamente, dare sfoggio di “cultura”, mostrare i risultati dell’ultimo vocabolario mangiato, frequentare circoli di propri pari riconosciuti o invidiati anche per presunta superiorità e prezzemolate varie.
    Tutto questo a scapito di una cosa “leggermente” importante: i contenuti.
    Qualcuno, anche in queste pagine, ha detto che tutti sappiamo scrivere, chi meglio, chi peggio e che tutti hanno un romanzo nel cassetto. Concordando con l’analogia estesa di Darius, il risultato è che ci si dimentica anche di chi è giudice del proprio operato: il pubblico, i lettori, che, in maniera assolutamente naturale, possono sentirsi “respinti” dai modi di fare degli autori con la puzzetta sotto il naso.
    E cosa si ottiene con tale atteggiamento? La dimostrazione è lasciata allo studente 😛
    Per fortuna alcuni non perdono il loro status di “persona uguale alle altre che fa un mestiere come un altro”, la speranza è che non si perdano con il passare del tempo… o magari dopo aver cambiato Casa Editrice. Da qui la mia domanda delle 100 pistole: come cambierebbe uno scrittore esordiente vedendosi catapultato nelle vetrine di tutte le librerie d’Italia con un bel marchio importante in copertina?

    PS: sarebbe bello domandarlo (magari scrivendolo meglio :P) in qualche futuro articolo in queste lande 😉

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    • Ma io infatti aspetto Mondadori! Mi sacrificherei per la scienza (ah no? Non è la scienza? Be’, è la stessa).
      Cogli il punto: purtroppo molti autori rispondono alla perfezione alla battura di Flaiano (credo): “L’insuccesso gli ha dato alla testa”. Prima ancora dell’apparizione della casa editrice certa gente si monta la testa, e si crede chissà chi.
      Però ripeto: per la scienza io mi sacrifico, eh! 🙂

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