Autoeditoria: Intervista allo scrittore Giovanni Venturi


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Nuova intervista a un autoeditore. Questa volta tocca a Giovanni Venturi con cui ho scambiato qualche parola su autoeditoria e dintorni. Come ho già avuto modo di spiegare, è mia intenzione mostrare che chi si “autopubblica” ha ben chiaro che solo la qualità e la professionalità gli permetteranno di distinguersi e alla lunga, di emergere.

Buona lettura.

Da un po’ di tempo si sente parlare sempre più sovente di “autoeditore” invece che di “autore che si autopubblica”. Concordi, o si tratta di uno sciocco cambiamento di definizione?

Se sei attento alla realizzazione di una copertina, a tirare fuori un titolo originale e rispetti altri canoni per me va bene definirsi “autoeditore”. Col titolo ti presenti, con una copertina ti presenti, con una impeccabile formattazione di un testo cartaceo e di un ebook ti presenti. Naturalmente dando per scontato che la storia che stai raccontando sia interessante e ben scritta. Se in un ebook, per esempio, ci trovi tutte le vocali accentate in un carattere diverso da quello usato per il resto della parola, se non trovi il rientro di inizio paragrafo, se sono presenti spazi prima e dopo di ogni paragrafo, se non esiste un indice interno, io, sinceramente, avrei molta difficoltà a identificare in generale un autore così come “autoeditore”. La definizione di autoeditore la userei con parsimonia. Darei questo titolo a un autore che fa da solo se ha curato e bene ogni aspetto del libro: storia, stile, personaggi, editing, copertina del libro, grafica della copertina, titolo, formattazione. Per tutti gli altri lascerei “autore che si autopubblica”, soprattutto se si prende il file in formato Microsoft Word e lo si spara in KDP, con la prima immagine, il primo titolo e la prima grafica qualsiasi che ne viene fuori.

Naturalmente, se usassimo i miei criteri di valutazione anche alcuni editori smetterebbero di essere chiamati editori. Ben conoscono tutti il modo in cui alcuni grandi editori presentano alcuni loro ebook: pieni di refusi, mal formattati, senza indice interno. Fare un ebook fatto bene non è impossibile. Bisogna saperlo fare, dedicarci tempo, evitare programmi che fanno tutto in automatico, o comunque evitare che si veda che sono stati usati programmi di conversione automatica.

Per te che cosa significa essere un autoeditore? O meglio: come è cambiato il tuo modo di affrontare la Rete, il tuo lavoro di autore, quando hai deciso di rendere la scrittura parte della tua vita?

Affronto la pubblicazione in rete sforzandomi un po’ di più nel realizzare la copertina. Mi sforzo molto di più sull’editing, sul curare lo stile, la divisione del testo in modo da spingere il lettore a leggere pagina dopo pagina (non sempre è facile e nemmeno è sempre possibile), mi concentro per evitare l’uso di espressioni abusate e per la soppressione quanto più possibile di verbi come “disse”, “rispose”, “domandò” quando affiancati alle battute di dialogo. Quello che invece non sono riuscito a migliorare nel mio lavoro di autoeditore è il rendermi scopribile. Cioè non so in che modo far arrivare i lettori a me. Si è spesso parlato in rete di farlo attraverso i blog, ma, almeno in Italia, i blog fanno paura. Puoi trovare molti blog che sono decisamente contrari all’autoeditoria. Magari se ti presenti come autoeditore iniziano a pensare: “questo è un pazzo esaltato. Vuoi la recensione? Ora te la faccio io una recensione”. E iniziano a sfregarsi le mani. Alcune esperienze negative con alcuni blog mi hanno fatto desistere col tempo nel mettermi alla ricerca di blog a cui chiedere recensioni. Non sai mai a casa di chi vai a bussare. Il fenomeno del selfpublishing/autopubblicazione/autoeditoria è ancora una strana e brutta cosa in Italia. E se osi sfidare qualcuno ti fai male solo perché sei un autoeditore.

Quali sono, a tuo parere, i miti da sfatare attorno all’autoeditoria?

Il mito numero uno è che l’autoeditoria è tutta perfetta o è tutta uno schifo. È come dire che tutti gli editori sono uno schifo o sono tutti bravi. No. Direi proprio di no. A volte tra un autoeditore e un grande editore ne esce persino vincitore il primo. E poi ci sono casi eclatanti che è vero il contrario.

Gli autoeditori sono tanti editori diversi che gestiscono un testo in modo diverso, non è pensabile che gli errori di uno solo rovinino una intera categoria o che la bravura di un solo autore voglia convincere gli altri che sono tutti migliori dell’editoria classica. Ma, purtroppo, per le persone che conosco, l’autoeditoria o è nera o raramente bianca, ma la visione è molto più nera dell’editoria classica, anche se io vedo un fenomeno paritario che migliora sempre di più dal lato autoeditoriale.

Altro mito da sfatare è che si avrà grande successo. Nel 95% dei casi un autoeditore non è nessuno prima di pubblicare e non è nessuno anche dopo che ha pubblicato. Molto spesso non cambia davvero nulla tra il secondo prima di pubblicare e la settimana o il mese dopo che hai pubblicato.

Ci sarebbe da sfatare anche il fatto che perché un libro è autopubblicato deve essere gratis o costare 99 centesimi, ma in genere è diventata una vera è propria regola scritta non detta.

Il problema più grande per un autoeditore è quello della discoverability: farsi trovare dai lettori. Secondo te, qual è la prima mossa da fare: blog? Gruppo Facebook? Twitter? Google AdSense? (Oltre ad avere scritto un’opera almeno interessante, è ovvio). 

Avere un blog, anche perché è con la tua voce personale sul tuo blog che forse qualcuno può imbattersi nelle tue opere, magari parlando di un argomento completamente diverso dal tuo libro. Google+ ce l’ho, ma non lo uso più. I gruppi Facebook non servono a un granché perché portano via tanto tempo se ci si vuole impegnare e in genere chi sta su Facebook lo fa per perdere tempo e non ha interesse nella lettura, figurarsi nella lettura di un autore sconosciuto che non ha nemmeno pubblicato una casa editrice. Facevo parte di alcuni gruppi di lettura, ne faccio parte, ma spesso è un continuo spam di link a offerte di libri gratis che molto spesso io nemmeno gratis prenderei, alla fine diventa un non senso. Twitter non saprei. Lo uso, ma non so se serva. Non esiste una ricetta valida in assoluto. Se trovassi un autore che è diventato un famoso autoeditore potrebbe anche dirmi come ha fatto (non lo farà mai e poi mai, ma ammettiamo che lo faccia), la strategia non funzionerebbe nello stesso modo con me. E ammettiamo anche che un libro di un autoeditore lo renda “famoso”, questo non vuol dire che lo stesso successo ci sarà anche per il libro che pubblica la volta successiva. Si parte sempre da zero, o quasi. Promozioni sponsorizzate per vendere un ebook su Facebook non ne parliamo. È inutile. La sponsorizzazione può essere usata per aumentare i fan alla propria pagina nella speranza che qualcuno si interessi ai libri, ma di più non credo.

Puoi rivelarci, se ti va, quali sono gli errori che hai commesso nella costruzione della tua piattaforma di fan?

L’errore numero uno è che non ho mai pensato di costruire una piattaforma di fan. L’errore è stato commesso perché non ho alcuna idea di come si possa costruire una piattaforma dedicata alle mie opere. Non mi piace fare il piazzista, anche se a volte scrivo articoli su quelle che sono le mie opere non lo faccio con l’intento di vendere, ma solo per condividere il lavoro dietro le quinte.

“Studiare il mercato, individuare il pubblico, e poi scrivere di conseguenza la storia”. Concordi con questa strategia, oppure la consideri una strada che porta a produrre libri tutti uguali?

È una strategia che con me non funziona. I libri che “funzionano” oggi sono quelli che non leggerei mai. Spesso, per l’appunto, ripetitivi oltre la nausea. Qualcosa di originale può pure venirne fuori, ma poi c’è la quasi certezza di produrre cose identiche, cambiando lievemente i nomi dei personaggi e i luoghi in cui sono ambientati, poi trama più o meno uguale:

1. lui ama lei, lei lo odia, litigano sempre, alla fine anche lei ama lui;

2. lui è bellissimo, ricchissimo e famosissimo, lei lo incontra per caso, lui è superficiale con tutti e pure con lei, ma lei non riesce a resistergli, lei se ne innamora e alla fine anche lui se ne innamora.

Pensi che sia necessario frequentare dei corsi di scrittura creativa (oltre a leggere tantissimo)?

Dipende. Nel 99% dei casi direi di no. Se siamo affascinati dalle storie, basta trovare anche online un corso minimale che ti dice, molto nel succo, che la trama deve evolvere nel dialogo, nell’ambientazione, nella caratterizzazione di un personaggio, attraverso l’uso di trame e sottotrame parallele mostrando gli eventi. Poi è chiaro che magari se approfondisci è meglio. Io l’ho fatto con il corso “Scrivere” uscito in edicola un secolo fa. Era della Rizzoli. Non sono riuscito mai a finirlo. Ben 10 volumi, ma le regole fondamentali sono sempre le stesse. Le presentarono nella prima lezione del primo volume. I corsi tanto blasonati li eviterei. Una addetta ai lavori mi disse che coi corsi di scrittura creativa si fanno davvero i soldi, più di pubblicare un autore, poi non lo so. Ma ci credo. Il corso di scrittura a pagamento può essere utile a chi lo organizza, non a chi lo segue. Se paghi il corso 3000 euro e poi mi dici: “Sì, ma poi ti pubblicano”. Io poi ti dico: “Se pago 3000 euro, essere pubblicato da un grande editore è il minimo”. Però poi che facciamo, paghiamo per pubblicare?

Le cose che un autoeditore deve fare assolutamente

Non saprei. Magari deve continuare a scrivere finché sente che le storie hanno bisogno di essere rese pubbliche. E in genere fare un buon ebook come contenuto e come formattazione. Sempre se c’è una storia interessante e ben narrata, altrimenti nulla può tenere, nemmeno cambiare la copertina a tutti i propri libri almeno 10 volte in 2-3 anni, come ho visto fare ad alcuni. Se il testo è quello che è, e non supera la fase di lettura di dieci pagine, puoi pagare anche 1000 euro un grafico, ma non ti resuscita un libro.

Quali sono i libri di formazione alla scrittura da leggere a tutti i costi?

Il corso “Scrivere” della Rizzoli. C’era anche un corso completo pubblicato sul sito “Internazionale”, ma lo hanno rimosso. Magari “On Writing” di Stephen King. Altre cose le eviterei.

Parlaci un po’ del tuo ultimo libro “Sai correre forte”, in vendita su Amazon.

Non è facile. È un libro molto diverso dal mio solito. Nasce come una sorte di omaggio alle storie narrate intorno a una tazzina di caffè. Poi, già dal secondo capitolo (ne sono solo 5) evolve verso le storie della città, Napoli, che travolge. Sono cose che non trovi in altri libri, cose che nessuno vorrebbe sentire. A volte angoscianti. Tutte concentrate.

Salvatore è il protagonista del romanzo. Fa il barista, non è felice della sua vita, sempre al servizio del cliente e sotto l’occhio vigile del nipote del proprietario, pronto a contestargli qualsiasi cosa. Ma quel lavoro è l’unica possibilità che ha per vivere per conto proprio, lontano da una famiglia non tanto piacevole.

In questo testo ci incammineremo per vie orribili dell’animo umano, per storie allucinanti quotidiane, storie in cui Salvatore cerca in tutti i modi di restare a galla anche dopo aver scoperto delle cose orribili su suo fratello piccolo Sergio e sulla sua famiglia. Saranno proprio Sergio, e suo nonno Salvatore che alla fine riusciranno, con l’amore che ha per loro, a farlo restare a galla.

Non è la classica storia su Napoli. È una storia meno superficiale che ti porta nei bassi fondi, ma che ti spinge anche verso il mare e il sole che questa bella città ha, ti porta verso i buoi sentimenti che il male non riesce a spegnere, verso la speranza, perché Salvatore sa correre forte!


giovanni venturiGiovanni Venturi ha sempre imbrattato fogli bianchi nella speranza di trasmettere emozioni vivide e vere, ha pubblicato diversi racconti in varie antologie per conto di un editore e on-line sul suo blog. Si occupa anche di e-book. È un ingegnere Informatico che usa/ama/odia Linux. Windows lo ha abbandonato 15 anni fa, una notte che era stanco di soffrire per vedere un banale DVD mentre il sistema si riavviava di continuo sempre nella stessa scena del film. Esprime emozioni viscerali, forti, molto emotive, cambia spesso idea, vorrebbe pubblicare per un grande editore, ma dati i fatti che si verificano quotidianamente crede che la miglior cosa sia scrivere per non pubblicare, come il pittore pazzo del film “Il mistero di Bellavista”, di Luciano De Crescenzo, l’arte non si vende, ma si distrugge. Dice continuamente di voler smettere di scrivere e di lasciarlo fare a chi lo sa fare meglio, ma poi si imbatte in pessime storie trovate in libreria e si redime, torna a scrivere e poi se ne pente di nuovo. In bilico tra amore e odio per la scrittura ha pubblicato 8 racconti per un editore romano, senza pagare nulla, e un capitolo di un romanzo a più mani.

17 commenti

  1. bello il mestiere dell’autoeditore. Convengo che si può chiamare così solo chi fa le cose con professionalità. E gli altri? lasciamo perdere.
    Ormai ti sei specializzate nelle interviste veraci come le vongole. Complimenti a entrambi. Tu per le domande. Venturi per le esaurienti risposte.

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  2. Dal basso della mia modesta esperienza personale, tendo a concordare – auto-pubblicarsi non significa necessariamente narcisisti, illusi o cattivi autori; si tratta di una possibilità in più offertaci dalla Rete, ecco tutto.

    Per quanto riguarda la promozione, per ora la comunità dei blogger è stata benevola – in ogni caso, un profilo Twitter dedicato può essere una buona idea.

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  3. Mi ha fatto sorridere il commento di Giovanni sul fatto che chi ha successo non dice come ci è riuscito. La verità è che non lo sa esattamente. Sa cosa ha fatto, e magari lo dice pure (ovviamente dietro pagamento: cioè ti vende il suo metodo tramite un corso, per esempio), ma non ha idea in che misura ciò che ha fatto abbia determinato il suo successo. Il 99,9999% delle volte dipende dal fare qualcosa di banale nel momento giusto, solo che non si sa mai qual è il momento giusto, ma lo si capisce solo a posteriori, in altre parole bisogna avere fortuna. Per questo motivo nessun “metodo” è ripetibile.

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  4. “Puoi trovare molti blog che sono decisamente contrari all’autoeditoria.”
    Vero. C’è un’acredine assurda contro l’autoeditoria, che non riesco nemmeno a spiegare (Invidia? Si odia ciò che ci assomiglia? Si ha paura di quello che non si comprende?). Come nella goliardica partita scapoli-ammogliati, dove gli scapoli dimenticano che un giorno potrebbero cedere al matrimonio e gli ammogliati ritrovarsi scapoli senza volere, anche nella diatriba editoria-autoeditoria tutti dimenticano che il futuro è incerto. I più accaniti però sono coloro che disprezzano l’autoeditoria, ovviamente “forti” di un lavoro nel settore editoriale (basta essere usciere o stagista) o di una qualche fortunata selezione. Solo recentemente mi è capitato di leggere un testo pubblicato, selezionato, consigliato, osannato dalla schiera pro editoria e trovarci dentro refusi ed errori grammaticali da terza media. E allora ghigno. Mi piazzo nell’albero del paese delle meraviglie e osservo ghignando questi personaggi che hanno pure il coraggio di scagliarsi contro l’autoeditoria, oramai a secco di pallottole.
    Che io non ho mai trovato un errore che sia uno sui testi di tal Marco Freccero, per dire.

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