Uno degli strumenti di scrittura più popolari, nel senso che un po’ tutti lo hanno adottato, almeno durante gli anni dell’adolescenza, è il diario. Siccome è popolare, è anche poco apprezzato e di solito ignorato. Una persona che vuole scrivere seriamente si deve cimentare con bel altro: questo è quanto si dice.
Cosa insegna il diario?
D’accordo, però il diario ha dalla sua delle qualità che è bene ricordare (ma nel 2017 si tengono ancora i diari?).
Il diario insegna, quasi all’insaputa di chi lo tiene, a scegliere.
Alla fine della giornata è difficile riuscire a far stare tutto sulla pagina: forse agli inizi si tenta di farlo, ma ben presto si decide cosa scrivere (cosa è importante), e cosa non scrivere (e quindi non merita lo spazio sulla pagina bianca). Già il passaggio da “scrivere tutto” a “scrivere quello che è importante” mostra un salto di qualità, seppure ancora minimo.
Esiste, anche se ancora debole, la consapevolezza che non si può scrivere tutto e di tutto, ma qualcosa deve restare per forza fuori. In un certo senso rappresenta un passaggio fondamentale: è la perdita dell’innocenza (sì, è una parolona).
Prima si pensava che la parola scritta servisse a dire tutto, poi ci si rende conto che occorre stabilire una gerarchia. Questo starà dentro (la pagina), questo starà fuori.
Un altro aspetto positivo del diario è che non è asettico. Non lo può essere.
Quando si decide di tenerne uno, si è in un periodo della vita dove, di solito, le esperienze “intellettuali” non esistono. Si è al contrario molto “vivi”, ferocemente affamati. Perché poi dopo tutto questo si affievolisca, scompaia, potrebbe essere l’argomento di un altro post, ma di certo tante scritture di oggi sono solo chiacchiere prive di vita. Esperienze intellettuali, appunto.
Cosa manca di solito a un diario per fare il salto definitivo? Forse chi scrive un diario è certo di vivere quelle cose per la prima volta, di essere unico. Di essere al mondo il solo che ha vissuto proprio quello.
Chi scrive sa solo di vedere le cose che vedono tutti, ma sotto una luce diversa. Di scovare in esse aspetti che gli altri non sanno o non vogliono vedere.
La domanda delle 100 pistole
Hai mai tenuto un diario?
Chissà cosa staranno preparando Morena Fanti e Marco Freccero… Appuntamento a settembre (be’, ormai ci siamo).
Sempre avuto un diario e tutt’ora ne ho uno dove almeno le cose più salienti che riguardano la vita dei miei figli le annota. L’ho anche usato come voce di una mia protagonista nel libro. Insomma ci vado proprio a nozze con il diario!
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Ah. È raro, credo, che il diario ci accompagni… Di solito lo si abbandona dopo (o durante) l’adolescenza.
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Sì, avevo un diario, bei tempi andati!
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Eh! Ma non tornano più, quei tempi 😉
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Appunto 🙄
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Si, quand’ero bambina io, a ogni compleanno capitava un diario con lucchetto (che si apriva da solo però…) L’ultimo diario è ancora nel cassetto, niente lucchetto ma nastro in seta, niente righe ma pagine bianche, dei tempi dell’adolescenza che, proprio come dici tu, sono i più fervidi per tutti. Poi si smette perché ti impegni di più a vivere che a scrivere. Poi si ricomincia annotando solo i sogni più strani. Poi ti manca così tanto il diario, ma non hai niente di eclatante da scrivere che decidi di inventare. E lì sei finito…. 😀
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mai tenuto un diario. Mi è sempre sembrato patetico. Per il libro a quattro mani seve altro – O.T finito. mi è piaciuto. A presto quattro note su amazon e anobii.
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Grazie!
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Ho sempre scritto quando qualcosa che avevo dentro doveva per forza uscire, quindi non quotidianamente o con regolarità. In questo modo, se qualcuno dovesse leggere i miei pseudo-diari mi immaginerebbe sull’orlo del suicidio! Ma non ci trovo alcun legame con la scrittura vera e propria. Sono sfoghi che servono a confortare me stessa, non a confortare e/o intrattenere gli altri.
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Io a parte una parentesi credo attorno agli undici anni, ho smesso. Ma credo che sia durata poco, meno di un anno. Fu una specie di infatuazione.
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