Giornata storta – Contest “Leggere non è peccato”


 

Credevo che durasse di più! Insomma, non mi sono accorto che il contest: “Leggere non è peccato 2017: le contraddizioni femminili” scadesse il 2 settembre!
Mea culpa. Ma il racconto è qui. Buona lettura.

Giornata storta

 

Quando svoltò l’angolo dell’edificio, Massimo sentì una mano che si stringeva attorno al colletto della blusa, e lo tirava. Gli ricordò il rinculo di un fucile da caccia quando si preme il grilletto, e la forza del proiettile prima di sfogarsi, rifila una gomitata a chi spara. Era accaduto mesi prima, quando lo zio gli aveva permesso di imbracciare la doppietta, ed esplodere un paio di colpi contro i castani del bosco. Aveva tredici anni, ormai. Però lì non era nei campi sotto casa dello zio, ma in via Pisa. E c’era una voce che diceva:
«Spia. Cos’è che hai raccontato al professore?»

Massimo si ritrovò schiacciato contro il muro del palazzo dalla grossa mano di Roberto. Era un compagno di classe di un paio d’anni più grande, ripetente. Quella mattina lui era venuto a scuola con un tablet, e durante la ricreazione aveva navigato su dei siti porno, e attorno a lui si era creata la folla delle grandi occasioni. Poi Roberto aveva preso di mira un ragazzino timido, gli aveva fatto vedere degli amplessi e quello si era messo a piangere.

Adesso Massimo ce lo aveva di fronte; c’era pure Alessandro che diceva:
«Lascia perdere, dai.» E lo tirava per la maglia rossa, si guardava attorno.
«Deve pagarla.»
«Sei tu che sei scemo.»
«Scemo lo dici a un altro.» Spinse Massimo contro il muro del palazzo: «Per cominciare mi chiedi scusa. Per cominciare.»
Massimo aveva avvisato il professore di matematica di quanto accadeva durante la ricreazione, nei bagni.
«Aspetto le tue scuse.»

Massimo rifletteva; rifilargli un calcio e scappare poteva essere la soluzione. Ma doveva essere veloce e preciso, e in quel momento aveva lo zaino ad appesantirne i movimenti, era tenuto schiacciato contro una parete e non poteva muoversi.
«No.» Disse.
Quello gli si fece più vicino: «Ora ti faccio male.»

Accadde qualcosa di strano. Si udì uno schiocco e la testa di Roberto di piegò di lato, come se fosse stata collegata al corpo da una molla. Lui lasciò Massimo, si voltò di scatto, fece un balzo indietro.
«Smettila.»

Era Lucia. Aveva quattordici anni, frequentava la prima media e pesava settanta chili. Nessuno osava prenderla in giro, perché picchiava. Roberto diede un’occhiata ad Alessandro, ma quello già indietreggiava con lo zaino sulla spalla sinistra.
«Non succede niente. È uno scherzo.» Disse Alessandro.
Lucia fissava Roberto: «Piantala.»
«Siete fidanzati?»
Lei sferrò un pugno, ma lui si scostò e lo colpì alla spalla.
«Ho capito.» Disse Roberto. «Ce ne andiamo. Non te lo tocchiamo il tuo amico.»

Massimo fece un sospiro, si passò una mano sui capelli. «Grazie.» Disse. La ragazza continuava a dargli le spalle, a guardare quei due allontanarsi a passo spedito.
«Grazie.» Ripeté Massimo.
«Non ti sopporto.» Disse Lucia. Senza fretta si girò verso di lui.
«Eh?»
Lei per tutta risposta stirò ad una ad una le dita delle mani, facendole scricchiolare; senza fretta. «Non ti sopporto. Quelli come te. I primi della classe. Coi bei voti. Adesso ti picchio. Io.»
Massimo pensò che aveva ragione suo padre: certe giornate cominciano storte, e non c’è verso di raddrizzarle.
Prese a correre.

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