#progettoIOTA: prima riscrittura


 

Ebbene sì: il primo libro del #progettoIOTA è terminato, ma niente paura! Uscirà comunque nel dicembre del 2018. No, non ho alcuna intenzione di anticipare la sua uscita perché la faccenda è complicata, prenderà parecchio tempo ed energie. Ma il primo volume è finito, e lo sto rileggendo, e soprattutto sto tagliando un sacco di roba…

Non avere fretta

Come ho scritto sulla mia pagina Facebook, quando ho messo la parola “Fine” al file, avevo in mano qualcosa come circa 190.000 caratteri: troppi.
Troppi.

Quindi ho lasciato decantare il materiale. Questo è importante e fondamentale. Siccome SO che nessuno là fuori lo aspetta, e che nessuno tratterà il fiato per leggerlo, non voglio avere fretta. Ho scritto che uscirà a dicembre del 2018? E uscirà il dicembre 2018. Anche perché per dare unità al progetto vorrei riuscire a scrivere anche la seconda e la terza parte (la seconda ce l’ho in testa e mi pare scorrere bene…). In questa maniera immagino che dovrei riuscire a costruire un progetto omogeneo, ambizioso, e soprattutto dotato di una coerenza a prova di piombo.
Be’, lo spero.

Prima ho scritto che questa prima stesura aveva circa 190.000 caratteri. Adesso sono a 156.000 circa, e so che posso tagliare ancora. Il mio obiettivo è scendere sotto i 150.000, certo. Ma…

A lezione da Charles Dickens

C’è un problema. Riguarda il finale di questo libro.

L’incipit, e gli eventi che accadono nelle prime pagine, mi pare che nel complesso girino e tengano abbastanza. E non lo dico solo io. Qualcuno ha già buttato un’occhio al primo capitolo, e adesso sta facendo altrettanto col secondo. Che cosa intendo dire? Che il lettore è spinto a girare le pagine, a leggere che cosa accadrà in quelle successive.
Però non è sufficiente.

È essenziale che il finale sia capace di far venir voglia a chi legge di scrivermi per chiedermi quando arriverà il secondo. Deve cioè avere quelle caratteristiche tali da colpire, entusiasmare, e infine spingere il lettore ad attendere la seconda parte come se ne andasse della sua vita. O quasi.

Qui c’è un maestro in questo genere di tecniche: Charles Dickens. Lui, che scriveva per i quotidiani (come si sa, “Il circolo Pickwick” usciva a puntate), sapeva che per continuare a interessare il lettore dove chiudere la puntata con un fatto, un colpo di scena… Qualcosa insomma tale da indurre il lettore ad attendere con impazienza la puntata seguente.

Ho qualche idea al riguardo: ma come fare perché emerga e soprattutto sia in grado di scatenare tutto il suo potenziale?

Be’: tornando indietro. Rileggendo e riscrivendo la storia, depurandola di tutto il superfluo che ci ho infilato. E di roba inutile ce n’è parecchia.

Credo insomma che da qualche parte ci sia già l’ingrediente per rendere il finale di questo libro accattivante. Devo solo scovarlo, lavorarlo per bene, e infine depositarlo sulla pagina.

La domanda delle 100 pistole

Ma ce la farò?


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