Ogni tanto ci sono autori che hanno un discreto oppure un ottimo consenso, ma non sono considerati interessanti da parte della critica. Qualcuno potrebbe osservare: “Ottimo!”, perché per la critica Charles Dickens era uno scrittorucolo che seguiva il pubblico, ma ben presto sarebbe stato dimenticato.
Questa incomprensione, se vogliamo definirla così, succede perché chi scrive preferisce seguire la propria visione invece di adattarsi a certe regole, o linee guida che siano.
Per esempio…
Dal locale all’universale
Esatto: Flannery O’Connor. A un editor lei scriveva:
“Insomma, sono aperta alle critiche ma sono nell’ambito di quanto cerco di fare; e non c’è verso di convincermi a fare diversamente.”
Ho già scritto qualcosa a proposito, in un post del 2012 che si intitolava “Idee chiare e pedalare”. Tuttavia mi pare che in questa frase della scrittrice statunitense, ci fosse la chiara intenzione di scrivere non quello che il mercato (qualunque cosa sia), richiedeva.
Né di seguire i consigli di un editor affermato che “sa quel che dice”.
A ben vedere, un autore dovrebbe avere (almeno lui), delle idee capaci di entrare in rotta di collisione con quanto la critica ufficiale richiede, o che vorrebbe che si scrivesse.
Non è obbligatorio, si capisce.
Perché succede questo? Che cosa induce una persona che scrive a prendere una direzione, e quella e sola precisa direzione? Mica facile rispondere.
Certo: la personalità di chi scrive. E un sacco di altri elementi. E poi? E poi un radicamento fortissimo col territorio in cui si vive. Ma nello stesso tempo anche la capacità di superarlo, di renderlo perfetto palcoscenico di drammi, storie insomma, universali.
Se ambiento una storia a Londra o San Pietroburgo, è facile essere universali (non è vero: anzi). Se invece vivo nelle isole Far Oer la faccenda si complica: ma solo se sono un mediocre scrittore.
Ignazio Silone non faceva che scrivere di cafoni e Abruzzo. Eppure parlava al mondo intero, e Albert Camus, Heinrich Boll e Thomas Mann lo ammiravano.
Ma attenzione.
Quello che c’è sotto
Non c’è niente di folcloristico nel “locale”. Se osserviamo (meglio: se leggiamo) con la dovuta attenzione le storie di Flannery O’Connor, siamo calati in una realtà perfetta, costruita a regola d’arte. È tutto vero, reale. Accade in quel momento. Non è importante che piaccia o meno: è reale. La scrittrice si guardava attorno, osservava (quindi: faceva la cernita), e poi scriveva.
Ma scrivere non è solo pestare le dita su una tastiera. È riflessione, discernimento, capire cosa c’è dietro quello che succede.
E quello che c’è dietro…
Non avere fretta
Quello che c’è dietro è roba per pochi. Sì, a questo punto entra in scena LUI. Vale a dire il talento.
In fondo possiamo dire che il talento è qualcosa che spinge la persona a guardare un po’ oltre le apparenze. Per vedere che cosa si muove nelle profondità. E pensarci su, meglio: rifletterci.
Ecco perché certi romanzi pretendono tempo per essere scritti; come per “Delitto e Castigo”. Se non ricordo male, Dostoevskij ci impiegò 3 anni. E scrivendo questo mi torna in mente un sacco di titoli che su Amazon vanno per la maggiore: come scrivere un best-seller in un mese. O in 3 settimane. O un libro in una settimana.
Certo che è possibile. Credo che lo sia eccome. Ma non c’è nulla da fare: alcune opere pretendono tempo. Non possono essere liquidate in poche settimane.
Lo so bene: la scrittura è quel settore dove affermi una cosa, e dopo circa quindici minuti arriva la smentita. Quindi sono certo che qualcuno ha scritto un romanzo in un mese. Dostoevskij per esempio, scrisse in un mese “Il giocatore”, ma aveva con sé una dattilografa (che poi sarebbe diventata sua moglie). Ed è un ottimo testo, ma vuoi mettere con “I demoni”?.
Però ribadisco la mia idea. Se hai fretta, e tutto sembra spingerti ad averla, rischi di bruciare le tue idee migliori. Frena e rilassati e ricorda sempre che là fuori, nessuno ha bisogno delle tue storie. O delle mie.
La domanda delle 100 pistole
Ma davvero riusciresti a scrivere un romanzo in un mese?
Io faticherei a scriverlo in un anno 😦
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Be’, sì, in effetti…
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Per carità! Tra focalizzare l’idea e la storia, superare vincoli di Autostima, poca fiducia e stesura, controstesura, revisione, trovare un editore, il primo romanzo ha visto la luce dopo 6 anni. C’è da dire che purtroppo la scrittura non è la mia priorità ma il lavoro, che mi occupa spazi che travalicano le ore canoniche. Ma al di là dell’esperienza personale, penso che chi propone certi manuali sa che sta solo cercando di vendere facendo leva sul narcisismo che è il vero nemico del buon scrivere..
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Pure io a volte ho l’idea di fare uno di questi strabilianti manuali… Però mi passa! 😉
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Scrivere un romanzo in un mese? Credo di sì. Ma dovrei fare solo quello, scrivere dalla mattina alla sera. Senza problemi di lavoro, rate del mutuo, bollette da pagare, fare la spesa, la lavatrice, lo stiraggio, le pulizie, le riunioni condominiali, il pieno all’auto, le visite mediche, i parenti, ecc. ecc.
Fosse un mese in un paesino sperduto della Scozia ci riuscirei.
Oh, se qualcuno mi paga un mese in Scozia possiamo anche scommettere eh?! 😛
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Non ci sono più i mecenati di una volta! 😉
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Come ogni persona è un mondo a sé, così lo è ogni scrittore: c’è Donna Tartt che ci offre un capolavoro ogni dieci anni circa, e c’era Balzac che, incalzato dai debiti, sfornava un best-seller in tempi record 😀
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Vero, Balzac! Ma lui, appunto, era sempre indebitato! 🙂
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Un mese? Forse in un mese riesco a scrivere un racconto… Forse, eh!
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Pure io. In un mese forse riesco a finirlo. Forse.
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Macché, proprio non fa per me scrivere in fretta, un mese non mi basta neanche per mettere a fuoco la trama. E sono più che d’accordo che scrivere richiede tempo, riflessione. Però in verità mi piacerebbe accelerare un pochino…
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Accelerare. Se ci riesci fammi sapere come fai 😉
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In un mese impossibile! Forse un racconto, ma breve. Un lavoro fatto bene richiede tempo e riflessione. La fretta non va bene in molti campi, ancor più nella scrittura.
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Questa è vero. Però poi ci sono sempre i fuoriclasse, come Balzac, che riescono a produrre grandi libri anche in poco tempo, o in condizioni di grande stress.
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Sono d’accordo con te, in particolare sul concetto finale. Nessuno ha ancora rinunciato a mangiare, respirare e proliferare in attesa delle nostre storie; se ci facciamo venire la fregola di “arrivare” ci freghiamo con le nostre mani… arrivare dove, poi? Non è una domanda così banale.
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Arrivare dove: sul tetto del mondo? 😉
Il punto lo hai azzeccato: nessuno smania per le nostre storie. Ce ne sono già a sufficienza.
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