Come Dostoevskij si autopubblicò (non è uno scherzo)


Marco Freccero logo

Molto spesso si scrive e si ripete che chi si autopubblica se la canta e se la suona. Siccome non c’è il vaglio di nessuno, pubblica tutto, a ogni istante, senza andare troppo per il sottile.

E infatti possiamo affermare che buona parte del materiale autopubblicato su Amazon o altrove è di scarsa qualità.

Tuttavia…

Per la prima volta, auto-pubblicammo “Gli ossessi”

Ho terminato di leggere: “Mio marito Dostoevskij” di Anna Grigoriewna Dostoevskij delle edizioni SEM. E a un certo punto mi sono imbattuto in questo.

“L’inizio del 1873 mi è rimasto impresso nella memoria, perché, per la prima volta, auto-pubblicammo “Gli ossessi”. Cominciò così la nostra attività editoriale, che in seguito, dopo la morte di Dostoevskij, diventò la mia e durò 38 anni”.

 

Interessante, vero?

Alcune precisazioni. “Gli ossessi” è conosciuto da noi col titolo de “I demoni”.
Le case editrici in Russia erano a quel tempo delle trappole. Più volte il buon Fedor aveva rischiato di venire “strangolato” dalle condizioni capestro che gli imponevano. Se ne uscì, fu solo grazie alla moglie: nessuno, né parenti o “amici” mosse mai un dito per aiutarlo, benché avessero ben chiara la situazione tutt’altro che rosea. (Hai presente: “I parenti sono come le scarpe: più sono stretti più fanno male”? Ecco, appunto).

La moglie, ben più giovane di Dostoevskij, decide di osare. Contatta tipografie, acquista la carta. Non solo: tratta con le librerie. Una filiera completa, dalla produzione alla vendita, e che di fatto permetterà a Dostoevskij di tirare un poco il fiato. (Lui sin da giovane aveva sognato di vendere direttamente le proprie opere).
Non solo. Altro dettaglio non da poco che occorre considerare prima di gettarsi a pesce nell’autopubblicazione, e/o farne l’elogio sperticato. Lui era uno scrittore ben conosciuto.
Benché fosse regolarmente attaccato e criticato dagli esponenti progressisti della società russa, non passava certo inosservato. Quindi quel passo era sì rischioso, ma tutt’altro che folle. La moglie sapeva del seguito che aveva Dostoevskij, e benché parecchi cercassero di dissuaderla (altri scrittori avevano provato quella strada, rompendosi le ossa), fece di testa sua.
Dostoevskij era un nome che in tantissimi in Russia apprezzavano; un’ottima produzione di titoli alle spalle. Un talento fuori del comune anche perché andava decisamente controcorrente.
Una volta che gli aspetti pratici sono a posto, lei e il marito si metteranno all’opera. Anna rivede le bozze, Fedor fa le ultime correzioni (niente editor); quindi si stampa.
In una mattinata venderanno 115 copie de “Gli ossessi”, per un guadagno di 300 Rubli.

Quindi?
Quindi nulla. Però mi andava di farvelo sapere.

Niente entusiasmi

A questo punto dovrei lanciarmi in lodi sperticate: viva l’autopubblicazione, abbasso l’editoria. Be’, no.
Non possiamo prendere questo esempio (fortunato), applicarlo automaticamente a noi, e dimostrare che è meglio l’autopubblicazione.
Qualche riga fa ho scritto per esempio che Dostoevskij non fece uso di editor: e si vede. È stato un gigantesco scrittore, ma era anche consapevole lui stesso dei limiti in certe sue opere. Era costretto a scrivere in condizioni disperate, sotto la minaccia dei creditori, coi parenti e il figliastro che pretendevano da lui soldi, soldi, soldi. Molti lo criticavano proprio per la sua scrittura confusa, le sue idee poco sviluppate, ignorando completamente in quali condizioni era costretto a scrivere.
Un editor gli avrebbe fatto molto bene.
Altro elemento da non dimenticare. Era già celebre. Grazie a quegli editori-capestro, poteva contare su un pubblico che attendeva le sue opere. L’azzardo dell’autopubblicazione poteva contare sulla forza evocativa di un nome che rendeva quel passo non completamente folle.
Possiamo ricavare una qualche lezione da tutto questo?

Costruisci il tuo pubblico, se desideri autopubblicare. Come?
Qualche consiglio sparso.

“Costruisci il tuo pubblico”. Sembra facile!

Evita di parlare di marketing: attireresti solo altre persone che, come te, cercano di emergere; non lettori. Certo, se il tuo scopo è di diventare un guru del marketing libresco allora andrà benissimo. Se il tuo scopo, in un secondo tempo, è creare un’attività capace di produrre entrate con tanto di webinar (a pagamento) durante i quali illustri tecniche innovative segretissime per scalare la classifica di Amazon: ottimo.
Viceversa se desideri vendere le tue storie: lascia perdere.

Evita anche di parlare di programmi per la scrittura. Idem come sopra. O di dove trovare immagini per le copertine, o come scrivere sinossi e via discorrendo. Idem come sopra. Si tratta di argomenti che al lettore di Carver, Yates, King, Dickens, eccetera eccetera: NON interessano. Lui è un lettore e non gliene importa un beneamato fico secco di come si scrive una sinossi, oppure come si scrive un incipit. È affar tuo, ricordi?
Lui è un lettore, oppure una lettrice: e vuole leggere storie. Mettere le mani su un prodotto finito. Stop.

Anche questo post, per esempio, è sbagliato. Non avrei dovuto scriverlo perché al lettore di come Dostoevskij pubblicasse le sue opere non importa un accidente. E io sbaglio 2 volte: perché oltre a questo, non parlo delle mie opere.

Lascia perdere gli ossessivi annunci sulla tua opera appena pubblicata. Dopo che hai scritto un post in cui è presente l’annuncio: bene, il messaggio è stato recepito. Hai pubblicato un libro. Passiamo ad altro, grazie!

Lascia perdere amici, parenti, conoscenti: devi costruire un TUO pubblico, e quelle persone lì nella maggioranza dei casi non ti aiuteranno affatto. Non perché siano cattivi, ce l’abbiano con te. Innanzitutto hanno altro a cui pensare. Poi, perché tutti scrivono e il tuo arruolamento in questo fantasmagorico esercito non li farà cadere dalla sedia.
Per “PUBBLICO” si intende un numero di persone sconosciute. Che alla fine ci mettono la faccia: comprano, e recensiscono le tue opere. Ma non ti hanno mai conosciuto. Non ti hanno mai stretto la mano.
Mai.

Questo è il pubblico che devi agguantare, conquistare. Come? Con quali argomenti? La faccenda è meno semplice di quel che appare. Molti invitano a parlare del “dietro le quinte” del romanzo. Questo può in effetti incuriosire. Perché in questa maniera il lettore, se capita sul tuo blog, si rende conto che sì, sei un altro che scrive. Ma se riesci a infilare un paio di opinioni sensate nel tuo post, magari tornerà quando ne scriverai un altro. E si affezionerà, insomma.

Forse pubblicare brani, o brevi racconti sul blog, invece di annoiare il lettore con tecniche di marketing, aiuterà a capire come scrivi.
Per esempio io il prossimo lunedì 5 marzo pubblicherò un racconto dal titolo: “San Valentino”.

20 commenti

  1. Anche se non avresti dovuto scriverlo (ma questo lo hai detto tu), è un post interessantissimo. Prima di tutto per la storia di come i Dostoevskij abbiano preso in mano la situazione, caspita un’intraprendenza simile è davvero notevole. Mi ha colpito anche il fatto che anche a quei tempi c’erano editori che proponevano contratti capestro, insomma non è cambiato niente, che tristezza.
    Quello che dici per il resto lo trovo più che giusto. Io sto cominciando a pensare che di qualsiasi argomento si parli, si finisce comunque per scontentare qualcuno. Alla fine quindi meglio cercare di seguire i propri interessi, senza troppi calcoli.

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    • In realtà è lei, la moglie, ad aver preso l’iniziativa. Lui non ci sarebbe mai riuscito.
      Lui doveva scrivere in un mese un romanzo (“Il giocatore”), o avrebbe perso ogni diritto sulle opere passate e futuro. Così si incontrarono, e Fedor dovette andare alla stazione di polizia e farsi rilasciare una ricevuta per dimostrare che aveva consegnato in tempo il lavoro. L’editore infatti in quel giorno, l’ultimo, si era assentato dalla città (guarda caso).

      Piace a 2 people

  2. Che il buon Fedor si sia autopubblicato (grazie a sua moglie, le donne sono sempre intraprendenti e appassionate) è una notizia straordinaria e ti ringrazio di averla condivisa con noi con questo tuo post. Secondo me hai fatto bene a pubblicarlo, per me è davvero interessante. Poi cosa deve fare uno scrittore per farsi conoscere non é sempre scontato. Io penso che sia importante essere se stessi e seguire i propri interessi anche nella gestione del blog, come suggerisce Maria Teresa…

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  3. Non mi chiamo fuori dalle pratiche più diffuse – e non necessariamente utili – per farsi conoscere, perché sono del parere che poco sia meglio di niente, sia nelle azioni, sia nei risultati. Secondo me è importante capire quanto cuore si mette in ciò che si fa. Se scrivi sul blog di un argomento che attirerà solo altri scrittori, certo non stai mirando al centro del bersaglio; ma se lo fai con gusto offri lo stesso qualcosa di te che crea rapporti, e indirettamente fa sì che qualcuno in più ti legga. Se invece hai in mente solo di vendere copie, tutto suona fesso, anche alle tue stesse orecchie, e allora è molto meglio fare altro.

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      • Qualunque cosa tu stia facendo, su di me funziona, perché ti seguo di più ora che in passato; ma c’è anche il fattore affezionamento progressivo. 😉 Nemmeno io sono portata per natura verso l’autopromozione, ma visto che nessuno se ne occupa per me… tanto più che si tratta di cercare più persone che mi leggano, non solo di soldi e “successo”. Il blog però non è il posto giusto per il marketing puro.

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  4. Quindi Dostoevskij viveva di scrittura, ma non ci viveva benissimo… E anche sua moglie dovette sobbarcarsi un bel po’ di lavoro. Come oggi non è sufficiente mandare online un ebook e fine lì.

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