Un tempo l’autore di una storia interveniva pesantemente per indicare, spiegare, introdurre personaggi oppure situazioni. Questo era il modo di fare, anzi di scrivere, agli inizi del romanzo. Lo scrittore era una specie di “cicerone” che nei momenti salienti sbucava fuori per illustrare eventi cardinali all’interno dei una storia. Adesso tutto questo appartiene al passato. O quasi.
La storia è un ornitorinco
Sì perché alla fine una delle poche cose che ho compreso è che un autore fa un po’ quello che vuole. Io per esempio non faccio altro che rileggere i 4 romanzi di George Mackay Brown. Credo di averlo già detto in più di un’occasione. Adesso sto terminando l’ennesima rilettura di “Vinland L’ultimo viaggio”, poi riprenderò a leggere “Lungo l’oceano del tempo”.
Però ecco che cosa ho trovato in “Vinland”.
Una simile intromissione da parte dell’autore, che spiega e anticipa eventi che non saranno affrontati nel romanzo, appare un errore. Possiamo aggiungere che il romanzo è apparso nel Regno Unito nel 1992, e che l’editor, a quanto pare, non ha ritenuto doveroso intervenire. O forse è intervenuto, e questo è quanto è rimasto dopo?
Questione di lana caprina. Ennesimo post che allontanerà i pochi lettori (perché loro vogliono le storie. Ma hai letto “San Valentino”?), ma che ho scritto perché in fondo mi andava di riflettere un po’ sulla scrittura.
Questo esempio mi piace perché dimostra che ciascuno scala la parete di roccia come meglio crede. Certo, occorre attrezzatura di qualità e abbigliamento di un certo tipo (vale a dire: sintassi e grammatica). Ma quando sei faccia a faccia con la montagna: arrangiati. È affar tuo. Hai voluto arrampicare? Arrampicati.
Quindi tutto è consentito?
La risposta è: “Se funziona…”. Il che può apparire un modo elegante per sgusciare via; e infatti di quello si tratta.
Da sempre, o quasi, la storia è uno strano animale, un ornitorinco: mammifero che però cova le uova e ha zampe e becco da papera. Quindi secondo la logica un simile animale non dovrebbe esistere.
Dappertutto inoltre si leggono decaloghi o guide che spiegano come si dovrebbe scrivere una storia capace di vendere; come si fa un incipit vincente. Credo che George Mackay Brown non se ne sia mai preoccupato più di tanto. Aveva il suo metodo di lavoro; aveva un editor che lo consigliava, e di sicuro lui prendeva a cuore alcuni consigli. Ma solo alcuni; perché su tutto restava (e vinceva) la sua idea di scrittura.
Il bello è che al lettore tutto questo non importa un accidenti di nulla. Che sia un fenicottero, oppure un ornitorinco, desidera una storia. Dopo, se ci sarà il successo, arriveranno gli esperti di marketing che spiegheranno con cura come fosse inevitabile il successo (dopo però; prima erano impegnati a spiegare come l’ornitorinco non esistesse, anzi: non potesse esistere).
Si vede che sto cercando di trovare il bandolo della matassa? E il bandolo è il seguente.
Una storia funziona, a volte, grazie a un insieme di ingredienti che non dovrebbero nemmeno stare assieme (mammifero che cova le uova? Impossibile!). Nessuno a priori può dire che cosa funzionerà e cosa no. L’unico punto fermo è formato in realtà da 2 punti fermi: sintassi e grammatica.
Da qui in avanti è non dico nebbia, ma un percorso non semplice.
Ah, lo so.
Gli editori pubblicano roba che spesso nemmeno sa dove risieda la sintassi e la grammatica. Me ne rendo conto. Forse anche essi se ne rendono conto. Ma questo è la conseguenza di un progresso che ha permesso a tantissimi di avvicinarsi alla scrittura, e produrre il proprio ornitorinco. Che nella maggior parte dei casi non funziona affatto. Ma che cosa vogliamo fare: tornare a prima? Prima, lo ricordo, c’era Puskin (il grande Puskin adorato da Dostoevskij), che andava dallo Zar per mostrargli quello che aveva scritto. Se riceveva il nulla osta, poteva stampare. Ecco: questo è dedicato a quanti affermano che ci vuole “un filtro”. Ti piace questo genere di filtro?
Credo che sia meglio l’ornitorinco…
Ehi, hai letto: “Nei libri ci sono pistole”?
Mi piace tantissimo il paragone. E la tua riflessione sposa in pieno ciò che penso anche io. Mi accorgo di essere diventata parecchio intollerante di fronte ai “si deve fare così”. Alla fine conta quello che il lettore trae dalle storie, se si immedesima o no, se prova delle emozioni. La qualità della scrittura non sta certo nell’aderire a dei diktat. W l’ornitorinco, che è pure un animale simpatico 😀
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In effetti l’ornitorinco ha un suo fascino 😉
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è inutile guide, corsi e quant’altro creano sono confusione, almeno questo è la mia sensazione personale. In un certo modo si snatura quello che uno scrive. La scrittura diventa asettica, impersonale.
Hai ragioni da vendere quando ci compra un libro edito da una CE e si inorridisce per errori di sintassi, grammatica e refusi vari. Correttore di bozze sei estinto?
Tralasciamo altre amenità come incongruenze nella storia. Ho letto di recente un libro dove nello spazio di poche righe si passa dalla mattina alla sera senza che il personaggio di sposti.
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Io non ci provo neanche con le guide perché poi finirei col dire: “Arrangiati!”. E a ben vedere è il solo consiglio sensato che si deve dare 🙂
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del tutto d’accordo
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Eh già spesso certe storie “inconsuete” piacciono più di altre forse proprio perché diverse. Leggendo il tuo post mi è venuto in mente che l’oscar è stato vinto da La forma dell’acqua una storia d’amore piuttosto inconsueta…
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Ne ho letto in giro, chissà che film sarà. Io al cinema ci vado pochissimo.
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Non so perché ma l’ornitorinco mi sta simpatico. Ora vorrei dire qualcosa di intelligente riguardo la lettura che citi, ma che io ovviamente non conosco e quindi slitto sul tuo racconto di San Valentino che ho letto e apprezzato. Se quello è un esempio di racconto da ornitorinco direi che hai reso perfettamente l’idea!
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Anche a me piace come animale. 🙂
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Le famose regole con il commento standard: conoscile e poi stravolgile.
Io dico che esistono regole che si possono personalizzare, ma che se applicate nel giusto modo funzionano sempre: “mostrare” è più efficace del “raccontare”, non credo si possa obiettare; il dialogo è azione, anche qui non penso si possa dire diversamente. Poi esiste tutto nella scrittura: chi racconta senza mostrare, chi passa da pagina uno a pagina due con un dialogo fiacco, le storie ci sono e piacciono lo stesso. C’è pure chi diventa famoso in questo modo.
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Insomma: la regola è “Se funziona, facci un corso, un libro, un webinar, una carriera!”. 😀
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Tutto può funzionare, nelle mani giuste, oppure anche se le mani non sono poi tanto giuste, ma qualcun’altro al posto giusto decide che funziona. Lo stesso non ho l’impressione che tutto sia relativo.
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Possiamo “ragionevolmente” affermare che il caos governa anche (e soprattutto) le cose letterarie? 🙂
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Ehm… no, non credo nel caos, da nessuna parte. Mi sentirei di affermare che i fattori che concorrono alla riuscita di un testo – più o meno fondati – sono un groviglio inestricabile. 😉
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Ah, ecco. Peggio del caos, dunque! 😄
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Si potrebbe anche dire che la storia è come il calabrone, che vola sfidando le leggi della fisica. Ma questa leggenda non è vera, sono stati rifatti i calcoli e il povero calabrone non sfida nessuna legge, vola e ha diritto di volare. Ma nell’immaginario comune rimane più forte l’idea che il volo del calabrone sia il risultato di una magia. Dunque c’è da chiedersi se in realtà la storia che vende non sia assolutamente entro i canoni della fisica, e siamo solo noi a non conoscerli ancora. 🙂
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Io comunque, preferisco l’ornitorinco. 😁
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