Di solito quando uno scrittore viene intervistato, deve fare una bella impressione. Si sa, chi racconta storie è visto come un tipo originale: magari è ammirato (se ha un successo colossale), ma rimane pur sempre uno strano tipo. Per questo deve cercare di mostrarsi in un certo modo, al pubblico. Lo deve rassicurare inviando per esempio messaggi tanto buonini:
“Se comprendessimo che siamo tutti fratelli!”;
oppure:
“La cultura apre la mente!”;
o ancora:
“Se ci fossero più donne in politica vivremmo in pace!”.
Insomma: per continuare ad apprezzarlo dopo una tale grandinata di idiozie, occorre uno sforzo disumano…
Spesso un autore fa anche altre dichiarazioni. Per esempio che nella storia, racconto o romanzo che sia, c’è lui. C’è completamente lui. E non si tratta di autobiografia, attenzione. Però c’è lui. E se lo dice, per quale motivo non credergli? Non sarà mica così matto da dire una cosa, e farne, o pensarne, un’altra.
In realtà, chi parla così, o vuole essere amicone a tutti i costi del lettore, oppure sbaglia. Certo, l’editore fa la sua parte, magari allo scrittore dice:
“Senti un po’. Non tirartela troppo. Se la gente ti percepisce lontano, se non sente empatia, qui andiamo a sbattere.”
Perché, signora mia: senza empatia qui finiamo a gambe all’aria. E allora lo scrittore dice certe cosette in modo che chi lo ascolta, o legge, non si senta schiacciato. Lo deve percepire vicino. Uguale.
Poi ci sono certi scrittori (ma purtroppo sono una minoranza) che dicono le cose come stanno. Nel caso non fosse chiaro: prediligo la minoranza.
La parodia della realtà
Per esempio Flannery O’Connor aveva le idee ben chiare:
“Un racconto dove mi rivelo completamente sarà un pessimo racconto.”
A ben vedere, è una stranezza mica da poco. Una narrativa che fa della tomografia assiale computerizzata il suo credo, perché bisogna dire tutto, di tutto e di più, senza timori o pudori “da medioevo” (il Medioevo è come il nero: sta bene su tutto); perché così siamo davvero narratori coraggiosi, che dicono le cose come stanno… Ebbene, di fronte a cotanto coraggio, la narrativa sbanda e capotta.
(Ti faccio notare che uso “cotanto”, roba che nemmeno la Treccani…).
Certo: “la narrativa” vuol dire tutto e niente, me ne rendo conto. Avrei dovuto scrivere “una certa narrativa”, oppure la narrativa che va per la maggiore; perché poi c’è quella che va per la minore, ed è lì che si nascondono le perle.
La O’ Connor ha ragione, e per un motivo piuttosto banale. Chi scrive è al servizio della storia: mette a sua disposizione quel poco o tanto talento che ha, incrocia le dita e spera di riuscire a scrivere qualcosa che abbia senso, e valore.
Ce l’ha le sue idee, la sua visione del mondo? Ma si capisce. Tuttavia non deve usare quella visione per piegare la storia (il mondo) a proprio vantaggio.
Io immagino che Flannery O’Connor intendesse questo, quanto affermava ciò di cui stiamo parlando. Per lei era essenziale che il lettore vedesse, sentisse, la realtà attraverso i sensi. Questo era il primo e il più grande compito che si dava. Qualcuno potrebbe credere che non ci sia poi nulla di così straordinario. Se però viene considerata una delle più grandi scrittrici di racconti del Novecento, credo proprio che abbia azzeccato qualcosa che tanti narratori del Novecento, e di questi anni, hanno perso per strada.
La realtà, appunto. Sostituita da una sua parodia.
La domanda delle 100 pistole
Mai letto “Nel territorio del diavolo” di Flannery O’Connor?
e allora! per adesso sto leggendo i racconti, poi leggerò anche “Nel territorio del diavolo” 🙂
sono totalmente d’accordo con te, per questo i libri a tesi li trovo detestabili. la realtà è quella che è, trai tu le dovute conclusioni.
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Esatto! 😃
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Tra le mie scrittrici predilette 😉 Non mi ero accorta che nel blog ci fossero tante vecchie puntate dedicate all’analisi del racconto Greenleaf. Dovrò tornare a rileggerle con calma. Sarebbe utile raccoglierle in un pdf.
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Un PDF? Non credo che sarebbero molto utili. In fondo si tratta solo di mie riflessioni.
Sapevo di sfondare una porta aperta 😉
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Ciao, letto, sì. Oltre venti anni fa. Però non ho molto feeling con questa scrittrice, per quanto possa essere d’accordo su certi punti (non ricordo quali…).
Ad ogni modo ha una sua opinione precisa ed è determinata.
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Di certo aveva le idee chiare come pochi altri.
Ciao!
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Ancora non ho letto nessun racconto della O’Connor – lo so, da quando acquisto qualcosa per leggerlo a quando lo leggo possono passare anni – ma questa sua affermazione è molto, molto giusta (e verificata personalmente). Quando c’è troppo di noi in quello che scriviamo capita che a noi sembri meraviglioso, ma agli altri non piaccia, probabilmente perché siamo stati tanto ingombranti da ostruire la comunicazione.
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Esatto! Quindi non più indugiare, ma corri a leggiucchiare 😀
E mi hai fatto venire in mento anche Dino Risi, che a proposito dei film di Nanni Moretti diceva: “Vorrei dirgli, togliti, e fammi vedere il film”. 😁
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