Perché Charles Dickens spacca ancora, mentre gli scrittori di oggi no?


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Può uno scrittore dell’Ottocento vendere ancora a carrettate, essere ancora un magnifico esempio di scrittura, e ammaliare un sacco di lettori, giovani e vecchi? Eccome se è possibile, soprattutto se si chiama Charles Dickens. E vuoi sapere come ci riesce?
Come sia possibile che uno scrittore che andava in carrozza e prendeva il tè alle 4, ancora adesso si mangia a colazione un sacco di scrittori?

Dickens era più giovane di (tanti) giovani d’oggi

Nell’Ottocento i giornali iniziarono a vendersi con la pubblicità. Prima che qualcuno si indigni e strepiti: fu un semplice colpo di genio. Lo scopo era quello di rendere la lettura più alla portata di tutti. 

Charles Dickens e Alexandre Dumas colsero al volo l’occasione. E iniziarono a scrivere per i giornali. Anche Dostoevskij scriveva per i giornali (come si sa a lui andò un po’ peggio; non aveva il senso degli affari del francese e dell’inglese). Ma lui avrebbe desiderato pubblicare da sé i suoi libri, e ci riuscirà solo con “I Demoni” e grazie all’intraprendenza della moglie. Sì: “I Demoni” furono autopubblicati, ma non lo sa quasi nessuno.

Leggi: Come Dostoevskij si autopubblicò (non è uno scherzo)

“Il circolo Pickwick” di Dickens non nasce affatto come romanzo; ma a puntate su una rivista o giornale che fosse. Dopo, dopo il successo riscosso, diventerà libro. E Dumas si fa le ossa proprio con le riviste.

Ti starai chiedendo a questo punto che cosa voglio affermare con tutta questa tiritera. Adesso arriverò al punto.

E il punto è che mi pare che buona parte dei giovani scrittori di oggi di fronte alla novità (l’autoeditoria, di questo voglio provare a chiacchierare), preferiscano il vecchio. Vale a dire l’editoria tradizionale. La cara e vecchia casa editrice che prende i diritti della tua opera, e pensa a tutto lei. E tu devi solo aspettare i compensi.
Come no.
Tu credi all’ippogrifo, quindi non ti sarà difficile credere anche a questo.

Che io, ormai canuto, creda ancora a questo modo di fare, ci sta tutto.
Sono vecchio.

Ma scorgere tanti (non tutti), che cercano disperatamente l’editore, io lo trovo bizzarro assai. Perché a difendere lo status quo non sono solo gli scrittori affermati; è quasi ovvio che lo facciano. È quasi da contratto che attacchino Amazon e non dicano nulla di certi editori che appaltano tutto a liberi professionisti sottopagati. Traduzione, editing, correzione di bozze (anche se in pochi frequentano questo genere di pratiche): tutto a prezzi di saldo. Tanto, se uno si stanca ci sarà un altro a prenderne il posto, e avanti così. 

Però è Amazon il cattivo, eh. L’imperialista goloso di potere e denaro è Jeff Bezos. 

Sei sempre quello dell’ippogrifo, giusto?

Il punto è questo: pure le “Nuove leve” sognano il botto solo con l’editore prestigioso.

Per quale motivo una tale scelta così contraria all’innovazione, quando tutto attorno a noi, quasi ogni giorno, sembra urlare “Innovazione! Innovazione!”? 

Bella questione.

Forse la scrittura è diventata solo la ricerca di un impiego come un altro. Non si cerca nemmeno di sbattersi leggendo, per esempio. Si sogna il colpo di fortuna, il contatto che permetterà di trasformare quella storia lì, nel prossimo best-seller e campare alla grande per il resto dei propri giorni. 

L’idea di sbattersi, di impegnarsi, di darsi da fare, di tentare mille strade, sbagliando tanto e tutto, e poi ricominciando da capo ancora una volta: non viene presa in considerazione che da pochissimi.

Qualcuno alza la mano, lo vedo.
Come? Ah, certo. È troppo complicato, duro, meglio cercare di percorrere le care, vecchie strade. Come no.
Farò finta di nulla ed eviterò, con lo stile che mi è universalmente riconosciuto, di chiederti: “Se la scrittura non ti spinge a osare, che razza di scrittura è?”. Infatti non te lo domando affatto, e procedo.

Ma suvvia: davvero pensi che uno si metta a scrivere storie perché poi arriva l’editore e quindi…

Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!

Sei proprio un burlone. Sì, sì, parola mia.
Questo accade per puro caso (spesso), e grazie alle giuste conoscenze (e non c’è nulla di male, e se pensi che lo sia è solo perché a TE non è ancora successo. Quando accadrà, non criticherai più questa buona costumanza).

(Intanto in questo post ho infilato pure “costumanza”. Roba per palati fini, eh!).

Ah, adesso dici che per arrivare al maggior numero possibile di lettori è bene avere un editore che…
Senza che tu te ne sia accorto sei finito nel mio caruggio, come si dice dalle mie parti. Perché senza una buona dose di conoscenze giuste (una costumanza che ritengo ottima), non arriverai da nessuna parte. E non perché c’è il grande complotto contro di te. È che non è possibile.

Ogni giorno gli editori buttano fuori decine di libri nuovi di zecca. Decine. Escludo l’autoeditoria, bado solo a quella “ufficiale”. Ogni tanto qualcuno lancia un appello per chiedere alle case editrici di pubblicare di meno. E subito qualcuno sposa l’iniziativa e vai con le firme…
Inutile.

Questo è il panorama. Molto meglio dare un’occhiata all’innovazione. L’autoeditoria appunto. In molti scrivono che ha raggiunto il suo massimo, e di più non potrà mai crescere. Io qualche dubbio ce l’ho. Credo al contrario che il libro elettronico abbia ancora margini di miglioramento.
Credo che l’autoeditoria persino in questo Paese possa dare qualche bella soddisfazione: ma solo se ci saranno persone che ci proveranno davvero. E non per fare i soldi a palate.

I grandi innovatori (partiamo di persone che dopo hanno fatto i soldi), hanno iniziato perché desideravano creare qualcosa di mai visto prima. Che permettesse alle persone di realizzare determinate cose, ma in modo più semplice e democratico.
Ci hanno provato.
Hanno sbagliato.
Ci hanno provato, e riprovato, e riprovato ancora.
Alla fine ci sono riusciti e sono diventati ricchi. Ma il denaro non era il motore.

Dubito che in questo Paese l’autoeditoria possa davvero permettere a qualcuno di fare soldi a palate.
Credo che possa garantire un sano divertimento. E in questa palude italiota di intellettualoni che parlano, parlano, parlano… Di tutto senza sapere un accidente… Ti pare poco?

(Questo che vedi qua sotto lo metto per ricordarti che racconto storie in compagnia di altri. Pubblicate in forma di romanzi).

copertina l'ultimo giro di valzer


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16 commenti

  1. In qualche altro blog questa settimana, un professionista dell’editoria tradizionale ha affermato che l’editore ti fa arrivare alla cara vecchia libreria fisica (e i supermercati, e gli autogrill, e le edicole), l’autoeditoria no. Perché, sempre teoria sua, i lettori vanno a curiosare i libri in libreria anche se poi li comprano via internet per risparmiare. (io per la verità le librerie qui di zona le vedo sempre vuote e se ci entro io, cavolacci non ci trovo mai niente di quel che cerco, che faccio decisamente prima con due click sul mouse…) Del resto, l’unica cosa chiara è: nessuno sputa sul piatto dove mangia! 😀

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  2. «Ma suvvia: davvero pensi che uno si metta a scrivere storie perché poi arriva l’editore e quindi…

    Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah! Ah!» Fantastica 😀 . Siamo sulla stessa lunghezza d’onda.

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  3. Non riesco darti torto, non che volessi trovare lo spunto per farlo, sia chiaro 😀 Per usare la definizione di Barbara, dico che non voglio sputare nel piatto dove mangio, ma… eh, c’è un ma. Anzi, un MA: l’editore di me se ne fotte, non pubblicizza, non diffonde, non distribuisce (non mi ha ancora mai dato un dindino). Quindi? Quindi, tutto sommato, quelli come me rientrano nella categoria dei pigri che si sbattono poco. Essere pubblicati è comodo. Fare quello che fai tu, caro Marco Freccero, attiene alla passione pura, vera, verace, inesorabile, implacabile, immarcescibile. Molti di noi, autori pubblicati, forse non meritiamo nemmeno questo privilegio. Alcuni di voi, auto editori, per capacità, competenza, doti narrative, li vedo come qualcosa di apodittico (:D belin, tu provochi con i tuoi “costumanza e rutilante 😀 ), eppure spesso bistrattati.
    Mo’ aspetta che ti tiro fuori altre parole desuete, dammi tempo 😀
    Tu ti diverti, talvolta fatichi e soffri, ma ti diverti, sperimenti e ti metti alla prova. Molti di noi, esclusi i grandi autori, quelli veramente bravi, si ritagliano il ruolo del culaccino dell’editoria italiana. Poi, nei vari social, blog o quant’altro, capita di incontrare autori aspiranti guru pubblicati da questa o quest’altra casa editrice, che si dimostrano tronfi, misoneisti, solipsistici. Qui, però, voglio fare sfoggio del mio essere un fine dicitore e aggiungo “stronzi” 😀
    Belin, io stesso ho capito la metà delle cose che ho scritto, perdonami 😉
    Adesso, scherzi a parte, credo che alla fine l’impegno paghi. Spesso i risultati non sono quelli sperati, ma alla fine raggiungere una qualche sorta di consapevolezza è sempre una vittoria.
    Resta il fatto che negli ultimi cinque anni il numero degli auto pubblicati nel mio Kindle è aumentato stratosfericamente. Un motivo ci sarà. Tieni duro Marco

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    • Ah, io tengo duro ancora un po’ dai. Ma io ti capisco e credo che pure io farei quello che fai tu.
      Hai un lavoro, una famiglia: quindi è inevitabile fare certe scelte. Io se facessi ancora l’operaio non mi sognerei di sbattermi così tanto. Probabilmente non avrei scritto nulla di quanto invece ho pubblicato in questi ultimi 3/4 anni. Bisogna anche osservare il tempo che si ha a disposizione. Io mi destreggio, non faccio più 50 chilometri all’andata e 50 al ritorno per stare 8 ore in una cella frigo a 3 gradi centigradi. (Infatti ho male alle mani, ma questa è un’altra storia). Se avessi continuato quella vita non avrei ripreso a scrivere.
      Comunque: ad maiora! (col latinorum vai sempre sul sicuro 😃

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      • Cavoli, anche io da giovane ho lavorato nelle celle. Ero alla frigogenova. Ci toccava uscire ogni venti minuti perché altrimenti si spaccavano i polmoni. 25 sotto zero, tutti bardati come gli esquimesi.
        ad maiora semper

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  4. Io credo che diventare ricchi con i libri sia uno specchietto per le allodole.Conosco qualcuno che dopo anni di investimenti, e intendo pagarsi l’editor, poi l’agente, alla fine può dire di avere un buon contratto con una buona casa editrice e di essere seriamente promossa. Ma se è diventata ricca scrivendo libri proprio non me lo dirà mai. Conosco altri scrittori, seri e con un ricco passato e buone prospettive che per sopravvivere tengono corsi di scritture, le cui cifre non sono a pochi zeri. Ecco dove fa guadagnare la scrittura, vendendola a chi vuol scrivere. Chi legge cerca di risparmiare. Usa il kindle dove un libro lo trova a 0 fino a spendere un massimo di 4.99€; ne vogliamo seriamente parlare? Nessun contratto serio fa diventare ricchi perché si deve tenere conto dei margini di ognuno che lavora nell’ambito, al limite ci si può concedere uno sfizio in più… Essere autoeditori, come garanzia fornisce di certo quella di non dover dividere in troppi passaggi il guadagno, ma di ricchezza non credo neppure qui si possa parlare. Perché funziona meglio all’estero? Perché i numeri di chi legge sono forse maggiori? Perché altrove esistono meno tasse? Di fatto noi si vive in Italia…

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    • Meno tasse, più lettori. L’inglese è lingua madre è conosciuta in un botto di terre. USA, UK, India, Spagna, Ucraina ecc ecc, ma… c’è un ma. Troppa concorrenza. O spacchi o resti nessuno. Qui non fai nessuna delle due cose.

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    • Belin Nadia. Come sempre cogli il punto: “Ecco dove fa guadagnare la scrittura, vendendola a chi vuol scrivere”.
      Purtroppo esiste questa realtà come esiste la realtà delle case editrici a pagamento. Cavoli, piuttosto meglio non pubblicare, oppure tanto vale auto pubblicarsi.

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    • All’estero è come qui, in realtà. Il 95% raccoglie briciole, e stop. I più fortunati riescono a tirar su qualche migliaio di dollari all’anno (niente di stratosferico), che però permette loro di togliersi qualche sfizio. E poi se parli inglese hai aperte un sacco di porte che noi, italiani, non abbiamo. Anche se il digitale in Italia può ancora crescere…

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  5. è vero che l’editoria tradizionale sforna a getto continuo libri ma la qualità rimane scarsina. Autori esteri strapagati – perché quelli voglio i soldini prima – per edizioni da urlo – non per la meraviglia per per l’orrore di quello che c’è scritto – autori italiani che finisco al macero dopo due mesi e se va bene tra i remainder, che tradotto in italiano vuol dire gli scarti.
    Concordo con Barbara, in una libreria non trovi mai quello che cerchi.
    Dunque vale la pena cercare l’editore? Boh!

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