Nel 1995 in Francia usciva il romanzo di Maurice G. Dantec dal titolo “Les Racines du Mal”. Nel 1999 la casa editrice “Hobby & Work” lo pubblicava per la prima volta in Italia col titolo “Le radici del male”.
Nell’aprile del 2018 io lo acquistavo su IBS con uno sconto del 50%. Perché ne parlo? Continua a leggere e lo scoprirai.
Le radici del male e La Follia del Mondo
All’inizio di questo romanzo di quasi 600 pagine (piccola anticipazione: sono troppe) ho trovato questo brano:
“C’erano dei campi di concentramento, da quelle parti. Camuffati da cittadine di passaggio ed enormi quartieri residenzial-popolari. I grandi casermoni della zona Balzac, dei Morroniers, di Couzy e della Comune di Parigi. Schaltzmann sapeva bene che si trattava di campi della morte lenta, dove si marciva piano piano, e gli capitava di chiedersi quando i detenuti si sarebbero rivoltati per davvero, come a Mauthausen e a Sobisor.”
Bene.
Il brano mi ha fatto venire in mente questo.
“Dopo una ventina di minuti il mezzo sbucava dalla galleria e attraversava il quartiere dai marciapiedi sbriciolati, l’asfalto bucato, e ai lati palazzi di edilizia popolare come penitenziari.”
È tratto dal racconto “Intelligenza” che apre la raccolta di miei racconti dal titolo “La Follia del Mondo”.
Be’, non so se pure tu: ma io ci trovo una bizzarra affinità tra me e questo scrittore francese morto circa 2 anni fa in Canada.
Se qualcuno avesse letto il suo romanzo, e per caso si fosse imbattuto nella mia raccolta di racconti che chiude la Trilogia delle Erbacce, avrebbe potuto pensare che Maurice G. Dantec aveva influenzato Marco Freccero.
E invece no.
Non solo perché i temi sono radicalmente differenti. Soprattutto perché come ho spiegato all’inizio di questo post, io sto leggendo ho letto in questo periodo il suo romanzo. E “La Follia del Mondo” è uscita nel dicembre del 2016.
Forse esistono delle visioni che ci appartengono, ma non sono completamente nostre. Osserviamo, e in realtà questo atto che ci pare individuale, condotto in solitudine, in qualche modo è in realtà comune ad altri: pochi? Tanti? Chi può dirlo.
Poi, per puro caso si scopre questa bizzarra forma di comunione; oppure no, e resterà celata per sempre.
Chissà.
Il romanzo, tra l’altro, è come ho scritto qualche riga fa, troppo lungo. So che in Francia all’epoca ebbe un grande successo, collezionò premi, confermò agli occhi degli intellettuali francesi la nascita di un romanziere capace di spostare i confini della letteratura là dove nessuno prima di allora era andato. Fondendo crimine, speculazione filosofica, teologia, cabalistica, tecnologia, in una nuova forma che Oltralpe chiamavano “Cyber-Polar”. Non mi è piaciuto moltissimo, in realtà; anche se gli riconosco una buona capacità di costruire intrecci e svilupparli poi in giro per il mondo in modo convincente.
Adesso che mi ricordo, volevo parlare di questo: ma l’editor come agisce?
Il romanzo come detto, è di 600 pagine, ma a parere mio sono troppe. Non sono in grado di indicare cosa tagliare e perché, ovviamente; qui ci vorrebbe un editor. Verso la fine, quando si apre la “caccia” a questa famiglia di assassini seriali, la storia acquista un po’ di brio. Probabilmente in origine era di… 1000 pagine? È possibile. Ed è probabile che abbia proposto all’autore ulteriori tagli: respinti al mittente.
Di sicuro un autore per quanto “obiettivo” non può riuscire davvero a capire cosa tagliare: è necessario non solo un paio di occhi esterni. Ma un paio di occhi esterni e una mente capace di tenere assieme i cardini della storia, e sfrondare tutto quello che impedisce di svolgere bene il loro lavoro. E questa è una capacità che pochi hanno.
Il libro è del 1995 ma si spinge alle soglie del Terzo Millennio, provando a immaginare la Rete e le tecnologie che ci sarebbero state. Adesso noi cominciamo a dare del tu a espressioni come “machine learning”; lui nel romanzo parla (e fa parlare), una neuromatrice di nuova generazione. Una forma di intelligenza (o coscienza?) artificiale che impara velocemente, ingoia milioni di informazioni, impara, e costruisce la consapevolezza di sé.
Ma come ho scritto qualche riga fa: troppo lungo. Troppa roba.
E di certo non è mia intenzione cambiare temi. Quello che però volevo usare come tema di questo post era invece tutt’altro: come, a volte, certe intuizioni (ma forse non sono affatto intuizioni), si “accendano” nella testa di due persone distanti non solo un migliaio di chilometri. Ma questa illuminazione si verifica, e si manifesta, in due tempi differenti. L’unica cosa che forse ci accomuna è l’idea che il buco nero creato da Hitler (che non era pazzo) non è stato chiuso, né sconfitto.
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Sì è vero ci sono delle affinità tra scrittori che non si sono mai incontrati prima o sono di epoche diverse come nel tuo caso. Ti racconto un episodio che mi è accaduto quando stavo scrivendo Fragile come il silenzio dove c’è un serial killer che uccide uomini violenti con le donne. Ero a due terzi del romanzo quando mi ritrovai a una specie di anteprima di una scrittrice che stava per pubblicare con Mondadori, il romanzo doveva uscire il mese dopo e lei riveló soltanto che era un giallo che trattava di una donna che uccideva gli uomini violenti. Insomma l’idea era davvero molto vicina alla mia, però contesto e ambientazione erano diversi, per fortuna. Secondo me ci sono dei temi importanti di cui chi scrive vuole parlare e spesso si finisce per trattare argomenti analoghi in modo simile, ma se vi fai caso tutto ruota intorno all’uomo e alle sue paure o ai suoi sogni.
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Ah, però. Deve essere stata una sorpresa mica da poco! E perché non ce lo hai mai detto? 😉
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Beh, io non pubblicavo con Mondadori 😉
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😄
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gli argomenti e il modo di scrivere porta a queste affinità. E’ un po’ come la musica dove si usano sette note.
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Vero, succede anche nella musica. Io comunque sono stonato 😉
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pure io 😀
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