Ci sono un sacco di opinioni al riguardo. Vale a dire: sul serio occorre prendere appunti? Davvero è necessario girare con carta e penna e fissare su un supporto cartaceo o di altra natura quello che ci colpisce? Che si comunica qualcosa? Oppure è solo una sorta di ossessione che si adotta per apparire di quel tipo di persone lì. Sì insomma, come si chiamano? Ah ecco: scrittori (o scrittrici)?
Sembrerebbe una domanda banale, vero?
Memo vocali, taccuino o…
Io per esempio (e così soddisfo il mio egocentrismo), non lo faccio mai. Qualcosa mi colpisce? Mentre guardo qualcosa mi ricordo di un capitolo del mio romanzo ed ecco che si apre una prospettiva nuova?
Non faccio nulla perché parto da questa idea: se è qualcosa di valido, allora tornerà a visitarmi quando mi siederò davanti al computer. Se viceversa non succede e me ne dimentico, significa solo che non era poi così buona come mi pareva al primo istante. Pazienza. Io non vado affatto in giro con un taccuino e una penna. Né utilizzo qualche app di memo vocali per registrare una certa idea, o per fermare una frase, un’idea. Niente del genere.
Ma fermare un’idea, una frase, oppure uno sguardo, è utile a cosa? Perché alla fine è questa la domanda che conta, e che occorre considerare con la dovuta attenzione.
Dallo sguardo all’osservazione
Molto spesso quando si ha a che fare con la scrittura si crede che scrivere un libro sia un po’ come riempire una grossa cisterna di acqua. E deve essere riempita sino all’orlo altrimenti non si capisce quale potrebbe essere il senso della sua esistenza. Giusto?
Sbagliato.
Perché scrivere una storia non è riempire, ma scremare. Cancellare soprattutto. Ma questo dopo.
Prima ci deve essere una evoluzione. Lo sguardo deve imparare non a guardare (quello lo fanno tutti): ma a osservare (questo lo fanno in pochi). Tradotto in soldoni: vuol dire che non devi infilarci di tutto e di più nella storia.
Ma solo quello che è necessario.
Da leggere: Scrivere racconti: hai un buon paio di scarpe?
Infatti “osservare” vuol dire scegliere, fare la cernita. Occorre cioè stabilire una gerarchia perché non tutto ha lo stesso peso. Non tutto merita di finire sulla pagina.
Sì, lo so bene: le cose sono andate proprio così. E quindi bisogna scrivere proprio così.
No.
Anche se tutto si è svolto proprio così, la scrittura non è travasare. Trasporre in maniera notarile la realtà dentro la pagina. Tanto non ci entra. Non ci sta. E se sembra che ci stia, allora il tuo errore è di dimensioni ciclopiche.
Ricorda sempre che il trasferimento dalla realtà a questa stramba dimensione che è la scrittura prevede un lavoro tutt’altro che semplice di adattamento al mezzo.
È un concetto che ho già affrontato in passato, certo. La parola è un’invenzione recente (relativamente recente), e non può contare sulla ricchezza dell’oralità: tono di voce, ammiccamenti, gestualità… Non puoi contare su queste armi. La parola diventa potente solo se ci lavori su.
E come è possibile lavorarci su?
Semplice (non è vero, l’ho messo lì per rassicurarti e illuderti): cambiando lo sguardo, appunto. Osservando. Ovviamente non sto a ripetere che devi aver letto quei 500/600 libri perché è evidente che se vuoi fare il pianista devi esercitarti. Se vuoi scrivere devi leggere. Fine.
La scelta di scrivere parte innanzitutto dalla scelta di cosa mettere sulla pagina, e cosa tralasciare. Non ci sono ricette. Per questo devi leggere, ma leggere e soprattutto rileggere per comprendere come si costruisce un dialogo. Una descrizione; e via discorrendo.
L’importanza degli appunti
Prendere appunti ti costringe a scegliere. Non puoi passare il tempo della tua passeggiata scrivendo a tutto spiano quello che vedi; ma solo ciò che è importante. La precarietà dell’atto impone di stabilire velocemente una gerarchia, e la scelta delle espressioni migliori per catturare quell’idea, quella visione.
Non puoi e non devi spenderci troppo tempo, proprio perché si tratta di appunti. Qualcosa che altrimenti volerebbe via e che tu devi fermare in qualche modo. E dopo, con calma, è necessario rifletterci su, e capire se ci puoi ricavare qualcosa oppure no.
Io, come ho detto, affido tutto alla memoria. Mi piace perché è pericoloso. Se una volta a casa, dopo tre o quattro ore ricordo ancora quello che ho visto, o sentito, forse merita qualche attenzione in più.
Forse.
L’angolino del raccontastorie (cioè: io)
Quando scrivevo il racconto “Cinzia” (dentro la mia raccolta “Non hai mai capito niente”), d’un tratto è successo che il personaggio è comparso con un foulard attorno al collo. Se qualcuno suonava alla porta, se lo metteva: per quale ragione? Quale motivo la induceva a quel gesto? Forse solo un vezzo?
Una volta rientrato a casa (ero andato a Varazze dal mio oculista, ed ero in attesa dell’autobus per rientrare: forse vidi qualcuno che passava con un elegante foulard al collo e… Non me lo ricordo, questo), era ancora lì, questa immagine. E l’ho scritta; ma non sapevo ancora nulla. Ignoravo il significato di quel foulard, che ho scoperto solo dopo, scrivendo…
Siccome me lo sono ricordato, allora ho compreso che aveva un senso, un peso che poteva essere utile alla storia.
Tu come vedi sei libero di agire come meglio pensi e credi. Non sei obbligato ad ascoltare me o altri. C’è solo tanta pratica, tanto lavoro, tanta precisione nella scrittura.
Libri citati in questo post:
Né per fama né per denaro di Anton Cechov di Anton Cechov. Editore Minimum Fax.
Non hai mai capito niente di Marco Freccero di Marco Freccero (cioè l’autore di questo post).
Rubare dalla realtà per trasferire nella storia. Un filtro che renda veritiero ma non per forza vero ciò che si scrive.
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non prendo mai o quasi mai appunti. Però osservo quello che mi circonda per fissarlo nella memoria.
Al massimo mi appunto qualcosa. Una pagina, un pensiero se sono seduto alla scrivania.
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Io nemmeno quello, di solito…
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tutto nella zucca 😀
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Esatto! 😀
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bravo
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Questo post mi è piaciuto molto. Nemmeno io prendo appunti in ogni momento; magari lo faccio in giornata, se un’idea mi piace ma ancora non so se può diventare qualcosa. Mi è capitato di dimenticare uno spunto per non averlo annotato, ma sono convinta che l’umanità potrà farne a meno, e anch’io. Del resto, se è vero che scrivo, gli spunti non possono mancarmi, e lasciare che sia la memoria a selezionare è un buon modo per effettuare una prima scrematura. 🙂
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L’ho sempre pensato: se resta in mente vuol dire che c’è qualcosa di buono. Altrimenti: pazienza.
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Io invece gli appunti li prendo. Perché ho troppe cose che girano per la testa, visto anche il lavoro che faccio, e ho bisogno di scrivere su carta. Anche perché una volta che ce l’ho lì scritta su carta mi viene pure più semplice capire se è una buona idea o una cavolata. Viene anche dal fatto che la mia memoria è fotografica (io non ricordo un fatto come fatto stesso, ma con le immagini di quel fatto, come ricordo i numeri per come li ho visti scritti su un foglietto). 🙂
Ma come dici tu, ognuno deve trovare la sua strada.
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Eh, sì.
Ma quindi vai in giro con un taccuino? Un quaderno?
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Un taccuino mini della Moleskine, tutto stropicciato, dove scrivo in geroglifici… 🙂
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È essenziale scrivere in geroglifico! Se capisci quello che scrivi non sei una scrittrice 😀
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