Ebbene sì: persino in Italia il self-publishing ha ripreso a crescere. Nel 2017 sono stati oltre 30.000 i titoli auto-pubblicati, con un +5% rispetto all’anno precedente. A fare la parte del leone ovviamente: Amazon. E chi altri?
Ma siamo sicuri che questa sia una buona notizia?
È una buona notizia per chi?
Una buona notizia: ma per chi?
Si ripete: la marea alza tutte le barche. Il che è vero. Peccato che le barche non siano tutte uguali. La notizia della crescita del self-publishing anche in Italia è buona solo se tu non sei stato con le mani in mano. Se invece sei uno di quelli che preme il tasto “Pubblica” e poi aspetta (e mi pare che siano ancora una bella maggioranza), allora per te è una pessima notizia.
Qualcuno potrebbe osservare che se ci sono ancora delle persone, in questo giugno pazzerello A.D. 2018, che davvero credono che basti un nonnulla per pubblicare: peggio per loro. Vorrà dire che ci sarà più spazio per me.
Ti svelo un segreto: questo post non l’ho scritto per te. Come il 90% dei post presenti su questo blog: l’ho scritto per me.
Leggi: Autopubblicazione o casa editrice: cosa scegliere?
I bei tempi… Ma ci sono mai stati i bei tempi del self-publishing?
La realtà è che i libri costruiti abbastanza bene di solito hanno qualche possibilità di farsi notare. “Farsi notare” ovviamente non prevede il successo. Ma come si sa il successo non è indice di qualità, né l’insuccesso lo è di scarsa qualità.
Dumas vende a carrettate e per i critici è solo un imbrattacarte.
Melville scrive di caccia alle balene e per un sacco di persone è incomprensibile.
L’autopubblicazione è un’impresa
Quello che la mia dura cervice (mica male, vero, “cervice”? Dove trovi un altro blog che usa certi termini?), sta iniziando a capire è che l’autopubblicazione è un’impresa. Quello che mi sorprende abbastanza è notare ancora adesso un sacco di autori e autrici che non hanno la più pallida idea di quello che stanno facendo. Sul serio.
Ricordo che io all’inizio mi documentai. Amazon Italia non era ancora arrivata e io già pubblicavo le mie storie sullo store statunitense (e le vendevo pure).
Leggi: Vendere ebook su Amazon U.S.A.
Mi pareva ovvio cercare di capire il funzionamento, e condividevo quel poco che scoprivo perché mi pareva interessante per gli altri. Che poi avrebbero fatto da sé.
Con mia somma sorpresa vedo persone che candidamente dichiarano di essere sul punto di lanciare il loro romanzo e domandano che cosa fare: e il bello è che non hanno nemmeno un blog.
Altri che domandano lumi su Amazon e il suo funzionamento (avendo terminato la loro opera). Ora: capisco che per un sacco di persone la Rete è comoda e la concepiscono come:
“Ragazzi!!! C’ho bisogno!!!!!!!!! :))))))))))))”
E basta.
Però vorrei capire che cosa sperano di ottenere. L’autopubblicazione è un’impresa e nessuno può seriamente immaginare che possa avere un minimo di futuro (almeno la propria autopubblicazione) se prima non si hanno le idee chiare sui fondamentali.
Perché uno come me, vecchio, deve fare ‘ste prediche ai ggggiovani? Non sono loro il “motore” del Paese?
Ma mettiamo da parte queste inutili considerazioni.
La crescita del self-publishing non è la vera, buona notizia
La buona notizia della crescita del self-publishing non è nel fatto che sempre di più ci si affida a professionisti per l’editing, oppure per la copertina. A me pare che sia qualcosa di naturale: a un certo punto un bambino, dal momento che ha 2 gambe, inizia a camminare.
Nemmeno la sua crescita (del self-publishing, non del bambino!) merita applausi e squilli di tromba (vuol dire solo che più persone, con le idee poco chiare, “butta fuori” romanzi e guide).
La notizia quindi non esiste; o meglio, non è questa, quella buona.
Credo che la buona notizia sarebbe che un sempre più largo numero di autori sceglie di essere indipendente. Non che “ripiega” sul self-publishing in attesa del contratto con la casa editrice.
Niente del genere.
Parlo di persone che attorno a loro creano una rete di professionisti (grafici, editor, eccetera), ed escludono le case editrici dal loro percorso.
Ti domando: ha senso cedere i diritti delle tue opere per anni a una casa editrice (quando con l’autopubblicazione tutto resta in mano tua)?
Ha senso subire le decisioni in ambito marketing (quando tu con l’autopubblicazione scegli di rilanciare un tuo libro, magari vecchio di 3, anche 4 anni?).
Ha senso entrare a far parte di una realtà che spesso NON ti fa avere i resoconti delle vendite dei tuoi libri, e devi domandare per favore che te li forniscano, quando si tratta di tuoi diritti? (Con l’autopubblicazione sai in quali negozi online vendi, e quanto incassi).
Ha senso vedere il proprio cartaceo pubblicato dalla casa editrice sparire da tutte le (poche) librerie che lo hanno messo sugli scaffali, dopo appena qualche giorno che vi era approdato? (E se credi che questo non accada, o che non accada se hai alle spalle una casa editrice medio-grande: vivi su una luna di Giove).
Se tu rispondi “Sì” a tutte, o a una parte di queste semplici domande, probabilmente ritieni l’autopubblicazione un ripiego.
Per fortuna qualche autore risponde “No” e percorre la sua strada.
Che cos’è la Trilogia delle Erbacce
Negli Stati Uniti lo scrittore Joe Konrath è stato criticato qualche mese fa perché ha firmato un contratto con una casa editrice per distribuire alcuni dei suoi titoli nelle librerie. Queste critiche a me pare che siano mosse da invidia (io non lo critico ma lo invidio). Lui continua a essere un autore indipendente che si avvale anche di un nuovo canale di distribuzione. Siccome è libero (ed è libero perché vende, e vende perché ha difeso la sua libertà di scrivere un certo tipo di storie, infischiandosene di quanto dicono critici o lettori-chic), può trattare con una casa editrice da pari a pari.
Capisci il concetto?
Potresti affermare che lui fa quello che fa perché vende parecchio. Lo cercano, lui magari si prende tutto il tempo prima di rispondere, detta le sue regole, vengono accettate (in tutto oppure in parte); mentre tu e io…
Il nocciolo è nella libertà dell’autopubblicazione: fine. Non nel numero delle copie che si vendono. Se hai una certa idea di letteratura, e di scrittura: qual è l’ambiente migliore perché essa possa crescere e irrobustirsi sempre di più?
Probabilmente solo nell’autopubblicazione. Per questo pure Dostoevskij voleva autopubblicare, lo sapevi?
Come Dostoevskij si autopubblicò.
L’ho già scritto non so quante volte: senza l’autopubblicazione avrei mollato da tempo la scrittura. Se la Trilogia delle Erbacce è uscita non lo devo che alla tecnologia, ed è stata proprio la tecnologia a spingermi infine a modificare il mio modo di ragionare.
Chi scrive queste parole (per i distratti: io), ha concepito l’autopubblicazione come un ripiego per troppo tempo. Solo di recente ho compreso che era una fesseria.
Il self-publishing non è un ripiego
Ecco quindi l’autentica buona notizia (che verrà? Che sta arrivando?): il self-publishing non è un ripiego. Lo diventerà, semmai, la casa editrice. Se non è una rivoluzione copernicana, poco ci manca.
Ti propongo un affare.
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Io ormai sono meno entusiasta del self publishing. Tutto ciò che hai detto, è pienamente condivisibile. Fra buona parte dell’editoria piccola e media e anche molta parte della grande editoria, io continuerei a scegliere il self publishing. Soltanto credo che l’autopubblicazione italiana, non raggiungerà mai il grado di sviluppo ed espansione di quella americana. Perché quando avanzi nel fronte dei lettori e ti accorgi che la maggior parte di loro vorrebbe avere il tuo libro, ma in libreria, perché online non compra, ecco che si scopre di essere scesi in guerra con un fucile che spara un colpo su cinque.
I dati lo dimostrano chiaramente. Le vendite online di libri non raggiungono il 20%. Questo significa che quattro lettori su cinque, non potranno mai essere tuoi lettori. E anzi, diventeranno il tuo Tallone di Achille se saranno lì a chiederti: ma perché il libro non si trova in libreria? Ho girato tutte le librerie della città e non c’è. Se da un lato sei contento perché a te sconosciuto, qualcuno ti ha cercato manco fossi Ken Follet, dall’altro ti senti in colpa perché hai fatto perdere mezza giornata a delle persone, soltanto perché i limiti del self publishing sono un muro alto due metri.
Per tamponare questa falla, avevo trovato il servizio pubme. Loro riuscivano a permettere di far ordinare il cartaceo in libreria e tramite distributore stamparlo e spedirlo al librario. Non funzionava bene, il distributore scelto da pubme, era presente in poche librerie. Nella più grande libreria della mia città, non sono riuscito a ordinare il mio libro. Il libraio mi ha guardato in faccia e mi ha detto: mi spiace, ma questo autore non esiste. Cavolo, ho avuto il dubbio d’essere un fantasma.
Però il punto è quello, se non sei là dove la maggior parte dei lettori acquista libri, in fondo non esisti. Adesso pubme mi riporta che 43 persone (che considero i miei 43 eroici lettori) sono riuscite a ordinare il mio libro in libreria. E nemmeno il tempo di concepire questa nuova via, che il servizio di pubme chiude. O meglio, pubme viene assorbito da Streetlib e a quanto pare il servizio in libreria non sarà più presente con la fusione.
Il self publishing perde la possibilità di esistenza oltre l’enclave online. E questo mi ha sfiduciato parecchio. Perché l’unica possibilità concreta per un autore indipendente, a questo punto è fare ciò che ha fatto Konrath e le decine di autori americani prima di lui. La cessione separata dei diritti.
Kontrath mantiene i diritti online e l’editore quelli cartacei per le librerie. Un’ottima soluzione. In Italia è possibile? Sono molto dubbioso. Dalle mie indagini, i pregiudizi dell’editoria sul self sono tali, e il loro modus operandi è così chiuso alle innovazioni, che difficilmente si potranno cedere diritti separati. Riccardo Bruni c’è riuscito, ma lui parte da una condizione differente.
Essere un autore indipendente io credo che resti l’unica vera via nella modernità. Ma la verità è che ti lascia lo stesso, senza armi adeguate, per compiere il salto che ciascuno aspira.
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Eri finito nello spam! 😀
Che il nostro Paese sia arretrato, è purtroppo un dato di fatto. Quello che scrivi è esatto, solo credo che lentamente le cose andranno un po’ meglio: ma lentamente. Persino da noi il commercio elettronico, e pagare con la carta di credito, prende piede. Non mi illudo che si arriverà ai livelli statunitensi ma credo che questo possa aiutare anche il libro elettronico. Ci sarebbe da fare opera di convincimento: spiegare (ma soprattutto agli autori), i veri punti di forza dell’autopubblicazione, perché sono proprio essi i primi a esserne poco convinti. Il punto è che non ho alcuna idea di come fare. 😀
C’è da ricordare che siamo un Paese di vecchi, sempre più ancorato ai “Bei Tempi Andati” (e se sono Andati, un motivo ci sarà, o no?), e questo indubbiamente ci renderà arretrati per sempre, o quasi. Ma qualche margine di miglioramento lo vedo…
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il fatto che sia cresciuto il numero di opere attraverso il canale del selfpushing, secondo me, è una non notizia, come poi hai scritto anche tu. Sarebbe interessante conoscere i numeri delle vendite attraverso il self come sarebbe interessante conoscere i dati dell’editoria pura,. Dalle CE si dovrebbe togliere la parte derivata dall’acquisto dei diritti stranieri, lasciando solo quelli italisni e quanto questi vendono.
Però sarebbe troppo.
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Forse è possibile fare un lavoro del genere, ma non è un lavoro che posso fare io ovviamente 😉
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nemmeno io 😀
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No, il self publishing non è un ripiego, anche se può sembrare.
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Ma sono ancora in pochi coloro che lo hanno capito. Per la maggior parte solo la casa editrice può dare la “patente” di scrittore.
Per fortuna io sono un Raccontastorie 😉
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