Autopubblicazione e sperimentazione


trilogia delle erbacce

Uno dei punti di forza dell’autopubblicazione (e anche del blog), è che puoi provare. Sperimentare, o meglio ancora: pubblicare dei semplici racconti per vedere l’effetto che fa. Siccome sono racconti piuttosto brevi, non ha alcun senso pubblicarli altrove.

I pregi di pubblicare sul blog

Per esempio: non ha senso (a mio parere), ricorrere a Wattpad, una piattaforma dedicata a chi scrive (soprattutto), e a chi legge storie. Proprio perché si tratta di storie brevi che finiscono in poche righe.

Leggi: Wattpad la piattaforma degli scrittori?

Né ha senso pensare a una pubblicazione anche digitale. Troppo corti, non arriverei, raggruppandoli tutti, a 50 pagine. 

Si tratta solo del piacere di seguire un’immagine; che si tratti di un contadino, oppure della guerra nel nord dell’Iraq, sono sempre partito da un’immagine e mi sono “limitato” a seguirla, come sempre senza sapere come sarebbe andata a finire.

Leggi il racconto breve “Resurrezione”.

Naturalmente molte storie non finiscono qui; solo quelle che mi paiono più interessanti. In quelle (poche), che ho pubblicato da inizio anno su questo blog, hanno poco in comune con la Trilogia delle Erbacce. (Non è vero: in comune hanno parecchio, l’ho scritto solo per darmi un tono). Non ci sono affatto disoccupati o poveracci che se la passano di male in peggio. È che ormai credo che per un po’ non ci frequenteremo più. 

Qualche tempo fa la scrittrice Marina Guarneri su Facebook mi ha invitato a dire la mia su un post a proposito di Raymond Carver. L’ho letto e se devo essere sincero, non mi ricordo esattamente di che cosa si trattava. Però dovevo fare qualcosa (credo): non ho fatto nulla. In parte perché ho poco tempo; in parte perché: boh.

Hai presente “Il sosia” di Dostoevskij?

Hai presente “Il sosia” di Dostoevskij? Lui aveva scritto il romanzo “Povera gente” e i circoli progressisti di San Pietroburgo lo avevano eletto come nuovo, giovane e promettente virgulto della letteratura russa (prego notare l’uso del termine “virgulto”: segno inequivocabile che qui siamo alle prese proprio con un raccontastorie coi fiocchi, mio inclito pubblico. Ma pure “inclito”: non scherza).

Poi Fedor scrive “Il sosia”. Fa al circolo Belinskij (se non ricordo male), ne legge qualche estratto, e giù a elogiarlo, a battere le mano fino a spellarsele. Ma Fedor non era affatto soddisfatto. Perché lui sapeva di aver detto addio a certi temi e ambienti per passare ad altro. E quando infine uscire il libro, i membri del circolo Belinskij non sanno che pesci prendere. 

Che razza di roba è, “Il sosia”?

Qualcosa che inizia a frequentare i territori dove nascono i capolavori.

Qualcuno penserà che sia impazzito: mi credo Dostoevskij? Ma no, che razza di domande. Tutta questa tiritera solo per dire che ormai certi temi, se li affronterò, cercherò di farlo in modo differente. Non mi interessano più le storie di gente disoccupata; ma continuerò ad amare i racconti di Raymond Carver.

Leggi “Nei libri ci sono pistole”.

Non si tratta di tradimento (anche se al circolo Belinskij la pensarono così: consideravano la letteratura un piedistallo per ammaestrare il popolo); bensì di una evoluzione. 

Vent’anni fa non avrei mai letto un libro come “Controcorrente” di Joris Karl Huysmans. Il primo romanzo sul decadentismo europeo? Sarei scappato a gambe levate. Che roba è? Cosa ci può essere di interessante (utile), nella descrizione precisa, maniacale (bellissima), che lo scrittore fa a proposito della scelta dei colori di una stanza? La risposta è: occorre leggerlo. Ma leggere in un certo modo. Ovviamente se penso che la letteratura debba rieducare il popolo bue, detesterò questo libro non per le sue qualità (non arriverò nemmeno a coglierle); ma per quello che rappresenta. E mi troverò ad ammirare certe opere non perché davvero le comprenda; ma per convenzione. Perché Giotto, Caravaggio, Michelangelo, Raffaello piacciono, e quindi piacciono anche a me (anche se non rieducano il popolo bue). Ma è solo la convenzione che mi spinge ad annuire quando mi trovo di fronte a certe opere: un po’ come fanno i vitelli, insomma, che annuiscono a tutto. Non si sa mai, magari ne viene qualcosa di buono…

Ma è vera sperimentazione?

Buona domanda. Siamo davvero di fronte a una sperimentazione? Non credo proprio. L’ho scritto anche nel titolo del post per darmi un tono; di fatto, come ho già illustrato nelle righe precedenti, qui non ci sono vere sperimentazioni. Solo il proseguimento della scrittura con altri mezzi. O meglio: con ambienti e situazioni un poco differenti. Chi sceglie l’autopubblicazione (questo non mi lo tolgo dalla testa), ha più libertà; ma non deve rischiare di pensare che questa voglia dire pubblicare tutto e subito, e pubblicare sempre le stesse storie. 

Leggi: “Quanti racconti ho scartato, e perché”.

Uno degli aspetti che mi ha sempre lasciato perplesso (e forse per questo ho coniato il mio motto: “Prima la storia, poi il lettore”), è che nella quasi frenesia di seguire il pubblico e i suoi appetiti, ci si rinchiuda in una formula sempre identica. Vale a dire: se scrivo un certo tipo di storie, è meglio non rischiare e continuare a scrivere un certo tipo di storie, perché altrimenti…

Il punto debole dell’autopubblicazione infatti non è nel non avere un pubblico (se scrivi bene il pubblico ti scopre e arriva: non molto ma arriva); ma rinunciare a pensare a storie differenti per timore di giocarsi quel poco pubblico che sei riuscito a creare attorno al tuo nome. L’omologazione, insomma, che spinge a credere che prima devi studiare bene il pubblico, i suoi appetiti e inclinazioni, sondare per bene lo Spirito del Tempo; e poi sfornare quello che tutti stanno aspettando. Questo ripetono in tanti, e se guardo la classifica di Amazon posso dire che il loro scopo è stato raggiunto. Sanno fare bene il loro lavoro di omologazione. 

Avere la libertà e poi correre dietro al pubblico: boh! Lo so che funziona; lo so che Dickens faceva altrettanto. Ma con una differenza, a mio parere sostanziale. Lui seguiva certi gusti del pubblico ma non rinunciava a mostrare la durezza e la complessità della vita. 

Adesso si cerca solo di raccontare che tutto è molto semplice, che è tutto qui. Si propaganda un’idea dell’essere umano infantile: basta insegnargli e non farà più il male. Fa il male perché non conosce il buono e il bello, ma se glielo mostri… Continuerà a fare il male. Perché lo sceglie.

Alla fine di questo post mi tocca pure buttarla sui massimi sistemi. Ma di solito le storie contengono molto più di quanto appaia a prima vista. Di solito.

Alla prossima.


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9 commenti

  1. il blog in un certo senso è sperimentazione. Puoi affinare la tua tecnica di scrittura. Puoi capire se è gradito. Pure l’autopubblicazione è sperimentazione, perché puoi modificare copertina e contenuto a piacere senza dipendere dagli altri.

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  2. Sì, l’autoeditoria permette di sperimentare, così come scrivere su un blog. Io credo che sia una bella opportunità che in passato non c’era e che oggi bisogna cogliere.

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  3. Considerato che dall’altra parte (l’editoria tradizionale) si comincia a sentire di case editrici, agenti e editor che “commissionano” la storia su misura del pubblico… mi trovo d’accordo con te: auto-pubblicare è libertà. Poi come al solito c’è chi non sa usare tutta questa libertà, e si rimette nei paletti dell’omologazione.
    Occorre anche dire che uno scrive le storie che si sente di scrivere. Non so se sono omologata o meno (beh, blog a parte, non ho pubblicato nulla), ma non mi pongo nemmeno la questione: la storia la sento così? E allora la scrivo così. 🙂

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    • Sembra proprio che ormai buona parte delle case editrici si sia arresa alla logica “mercantile” e commissioni. Oppure vada a caccia dei “fenomeni” della Rete e attorno a essi e alla loro base di fan costruiscono il libro.
      Una domanda, però, sorge spontanea: perché non ci hanno ancora interpellati??? 😀

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