Video – Il giocatore di Dostoevskij: non lo conosci?


 

Ma davvero non conosci “Il giocatore” di Fedor Dostoevskij? Che peccato. Ma c’è sempre un rimedio. Per esempio: puoi guardare questo video dove ne parlo.

Buona visione!

 

Un russo meschino, ubriacone, vigliacco e ladro, ma autenticamente russo, fedele alla sua terra e alla sua religione, sarà sempre superiore a qualunque francese scettico, ateo e onesto che si definisce “uomo” solo perché crede nel progresso e nella morte della religione.

C’è tutto questo e molto altro nel romanzo “Il giocatore” di Fedor Dostoevskij. Editore Garzanti, mentre la traduzione è a cura di Gianlorenzo Pacini e l’introduzione di Fausto Malcovati.

Ho detto Dostoevskij: giù il cappello!

La storia è narrata in prima persona da un giovane che fa parte di una specie di “corte”, che si trova in una immaginaria città tedesca, dove a spiccare è “il generale”. In questa città ci sono case da gioco e roulette e il generale spende e spande, si rovina insomma, come facevano molti possidenti russi di quell’epoca nelle case da gioco dell’Europa intera. Il giovane non conosce il gioco, ma imparerà presto.
Quindi il primo, superficiale livello di lettura è quello che spinge a dire:

“Ci troviamo di fronte a un’opera contro il demone del gioco!”.

No.
Dostoevskij ha altro per la testa perché quella situazione “estrema” gli permette di cogliere 2 piccioni con una fava. Ha insomma, altro da dire che le stupide denunce da rotocalco; per esse ci sono appunto le inchieste giornalistiche. Lui è uno scrittore, un romanziere. Punta molto più in alto.

Prima di capire che cosa voleva scrivere davvero Fedor, riflettiamo su quanto gli era accaduto.

“Il giocatore” viene pubblicato nel 1866. Nel 1849 Dostoevskij era stato arrestato, condannato a morte, graziato di fronte al plotone di esecuzione e quindi spedito a scontare la condanna in Siberia.

Per farla breve, quando scrive quest’opera lui da un pezzo ha detto “Addio” a quelle idee che lo avevano attratto e forse sedotto: le idee socialiste. Lì non c’è nulla di buono.

Ma in questo romanzo, astutamente, il buon Fedor non prende di mira e di petto esse; fa molto di meglio.
Perché mette alla berlina (e sotto accusa): l’Europa.

Ricordiamoci che Fedor ormai non guarda più all’Europa come faro di progresso e di civiltà. Lo fanno le élite russe (che lui disprezza, contraccambiato), che bramano a tutti i costi a una sorta di trapianto di Francia sul corpo moribondo e troglodita dell’uomo (e della donna), russi. Solo le idee che provengono dall’Occidente salveranno la Russia e la porteranno nel secolo della civiltà e del progresso.

Il resto? Il resto deve bruciare.

Dostoevskij adesso ha occhi solo per il popolo russo, la sua fede e la sua saggezza. Conosce i drammi della sua nazione, ma crede con forza che la salvezza non arriverà mai dall’Occidente (da lì solo rovina), che propala le idee socialiste, atee, e che considera la religione ortodossa un fardello di cui liberarsi al più presto per gettarsi, finalmente, nelle braccia del progresso che tutto risolve, tutto appiana, tutto consola.

La salvezza dice Fedor, è già in Russia, già agisce in terra russa: la salvezza è la Russia stessa, ma solo se saprà rivolgersi non a idee “esterne”, ma alla sua fede cristiana.

Dostoevskij con “Il giocatore” sposta il terreno dello “scontro” nel territorio del “nemico” (l’Europa); in quell’area geografica coi “polaccuzzi”; i “francesuzzi”; i tedeschi tra i più stupidi popoli del mondo.

Attenzione: questo suo “attacco” all’Europa è anche un attacco a quei russi, ricchissimi, che perdono tempo e sperperano denaro. Qualche riga fa avevo detto che con questo libro Fedor coglie 2 piccioni con una fava.

L’altro piccione è appunto il russo che se ne va all’estero a sperperare. Il russo ricco ma ottuso, che diventa agli occhi dei progressisti europei un clown, un pagliaccio che scialacqua; perfetto esempio della vecchia Russia che deve bruciare, morire, sparire dalla faccia della Terra. Ma: questi progressisti europei non possono fare a meno di scodinzolare di fronte a queste caricature: perché hanno il denaro. Lo gettano nella case da gioco certo, ma qualcosa finisce loro in tasca.

Questi russi “ridicoli”, che lui tratteggia con mano chirurgica e cattiva, hanno però un pregio che gli europei non hanno. Non è solo l’essere russi, (ovviamente).
Essi hanno il grande animo tipico dei russi. Il che è molto dostoeveskijano. Il russo che non perde mai il contatto con la sua terra è, nella sua bassezza, un gigante rispetto a qualunque altro miserabile che striscia sulla superficie del mondo.

Rispetto ai polacuzzi, ai francesuzzi con le loro idee socialiste, troneggia; ed è ancora più grande di quei russi che hanno rinnegato la loro terra e la fede per abbracciare l’ateismo e il progresso dell’Occidente.

Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane.


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14 commenti

  1. Io l’ho letto. In una scrittura collettiva di un romanzo di un laboratorio di narrativa a cui partecipai mi pare che ci consigliarono di leggerlo perché sull’incipit de Il giocatore dovevamo sviluppare lo scritto.

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