Candele gialle per Parigi (Romanzo di Bruce Marshall – Video)


 

candele gialle per parigi

 

“Candele gialle per Parigi” è il titolo di un romanzo dello scrittore scozzese Bruce Marshall. È stato pubblicato nel 1996 da Jaca Book e la traduzione è di Margherita Santi Farina.

Un tempo piuttosto celebre (da un paio di suoi romanzi sono stati ricavati dei film), Bruce Marshall è di fatto caduto nel dimenticatoio. Prima di scendere nei particolari: è un buon romanzo, però non si tratta di un capolavoro assoluto.

Tra “Fontamara” di Ignazio Silone e questo: vince “Fontamara” “Cent’anni di solitudine” di Garcia Marquez e questo: vince Garcia Marquez. Io però vorrei essere in grado di scrivere un romanzo del genere.

La storia è ambientata a Parigi, tra il 1934 e il 1940. Sono anni tumultuosi per quel Paese, uscito sì vincitore dalla Prima Guerra Mondiale, ma con problemi che non sa risolvere. Il protagonista è un piccolo contabile con moglie (malata), e figlia, che deve aiutare i suoi capi a evadere le tasse, a spostare i soldi in Svizzera perché la situazione economica è seria e quella politica non è da meno.
Intanto in Germania Hitler si prepara…

Tutto è visto dalla prospettiva di un contabile che “vorrebbe”; ma non può. Vorrebbe dire quella cosa al suo capo; ma non può.
Vorrebbe essere più buono; ma non può.
Vorrebbe dire ai suoi amici del bar quello che davvero pensa; ma (tanto per cambiare), non può.
Attorno a lui, altri che vogliono, ma soprattutto persone che agiscono. Fanno e disfano, mentre quelli che vorrebbero si limitano ad assistere e ad assentire.

Fino a quando non arriva la guerra. Parigi è evacuata. La linea Maginot che avrebbe permesso ai francesi di “dormire tra due guanciali” non ferma l’invasione. Si fugge. Il Paese precipita nel caos. Petain, considerato da un po’ tutti un galantuomo che non era immischiato negli affari degli altri politici intrallazzatori, firma l’armistizio con le truppe naziste. È la fine (il romanzo si ferma al 1940: ci saranno ancora 5 anni di guerra).

Questo romanzo illustra la condotta dei diversi personaggi, che di fatto non muta nemmeno quando arriva la fuga dalla grande città. Soprattutto il protagonista, il piccolo contabile, pare come un fuscello in balia degli eventi. Dopo la morte della moglie, la figlia infine cresce, si sposa, sta per partorire quando si deve abbandonare Parigi e riparare in provincia. Ma lo Stato è saltato, nessuno sa più bene che cosa fare: lui deve rientrare in città perché il suo ruolo nell’azienda (coinvolta nella produzione di armi), è cruciale. Rientra a Parigi per sentire che i tipi come lui devono abbandonare in tutta fretta la città.

Ma che cosa rende Bigou (il protagonista), interessante?

Magari combina qualcosa di eroico? Nulla del genere. Il cuore di questa storia, probabilmente, è che le persone, tutte, trascinate volenti o nolenti nel conflitto, restano uguali a se stesse. Solo quando nel granaio la figlia partorisce, per qualche istante c’è una serenità tra le persone coinvolte, e tutte ormai decise a salvare la propria pelle, che è come un bicchiere di tè caldo in una fredda giornata invernale.

Bruce Marshall non intendeva affatto pontificare sulla bellezza della guerra. Semmai voleva constatare come tutte le difficoltà, e la più spaventosa tra di esse è di sicuro la guerra, mettessero in luce quello che per le persone conta davvero. Ma la rivelazione, se così possiamo definirla, non è straordinaria. Non siamo alle prese con un miracolo, una riscossa, o chissà cos’altro.
Quando tutto crolla, anche i frammenti di umanità, di bontà, che si trovano all’improvviso, in maniera inaspettata, sono essenziali. Questo romanzo, un po’ come Diogene, li recupera e li indica. In maniera sommessa, tranquilla.

Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane!

 

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