Esiste una bibliografia piuttosto ricca che parla di un argomento quale “l’arco di trasformazione del personaggio”. Esiste anche un libro con un titolo del genere, che io però non ho mai letto né acquistato. In pratica…
In pratica il personaggio (il protagonista) del romanzo, lungo l’arco della storia, si trasforma. Cambia. Muta. Per questo si scrive il romanzo. Succede qualcosa e questo qualcosa ha delle ripercussioni sul protagonista.
O no?
3 capitoli in questo articolo
La trasformazione che non c’è
Anche sulla Rete basta cercare per incappare in post e siti che illustrano quanto sia indispensabile creare empatia e coinvolgere il lettore. E questo coinvolgimento avviene perché… Al protagonista accade qualcosa e deve per forza reagire.
Se per esempio prendiamo il buon Raskolnikov di “Delitto e castigo” di Dostoevskij, possiamo assistere alla “trasformazione” di questo personaggio. All’inizio abbiamo questo studente che pensa e agisce in un modo, attua il suo piano, ma poi scopre che tutto era menzogna, e accetta di espiare la sua colpa (il suo peccato), in Siberia.
Leggi: Come Dostoevskij si autopubblicò (non è uno scherzo)
E non è certo l’unico esempio. La letteratura sia dell’Ottocento che più vicina o noi, o contemporanea, propone sempre questo schema.
O no?
Prima che tu ti decida a mandarmi al diavolo con tutti questi “O no?” con cui dissemino il post, passiamo all’argomento che contraddice questa impostazione.
Ho letto un libro di un interessante e poco conosciuto (in Italia) scrittore francese di origini olandesi: Joris Karl Huysmans. Ci sono arrivato grazie al romanzo “Sottomissione” dello scrittore francese Michel Houellebecq (qui il mio video su Youtube), dove il protagonista è un grande conoscitore di questo autore.
Nato nel 1848, morto nel 1907, amico di Emile Zola (ma poi i loro percorsi si separeranno), dei fratelli Goncourt (esatto: quelli del celeberrimo premio), Huysmans nel suo percorso esistenziale (come mi piace quando scrivo ‘ste cose: percorso esistenziale), si avvicina anche al satanismo. Infine, si converte al cattolicesimo.
Il libro che ho letto è “Controcorrente” (in francese: À rebours). E non succede assolutamente niente.
Nulla.
Ciccia.
Ma come: e l’arco di trasformazione del personaggio?
Puoi provare con una balestra, forse sarai più fortunato…
Il protagonista di questo libro è un nobile che, esasperato dalla mediocrità di Parigi (del mondo), irritato dalla stupidità dilagante, dall’inesorabile ascesa di una società conformista anche nel vizio e nella depravazione (che lui ha adottato alla grande), molla tutto e si ritira in una villa un po’ isolata. Con lui i 2 vecchi servitori che si occupano delle sue necessità. Ma qualcosa succederà, no?
Be’: lunghe descrizioni a proposito della scelta del colore da verniciare sulle pareti. Riflessioni dottissime e anch’esse lunghe sulla cultura latina e i libri classici. Digressioni sui profumi, elenco delle piante acquistate per arredare la casa (mica le banali rose: niente del genere).
E poi?
E poi: niente. Non succede niente.
Lo scopo di Huysmans
Lo scopo di questo scrittore geniale e bravissimo, era quello di scrivere un’opera assolutamente nuova. Tutte quelle dei suoi colleghi, su cosa vertevano? Su un lui e una lei, e di solito la trama era: lei cederà all’amore?
Criticava come banale (se non ricordo male), anche “Anna Karenina” di Lev Tolstoj. Ecco perché scrive questa storia: un solo protagonista, e zero trama. Non succede nulla.
Leggi: Lev Tolstoj: la bellezza è precisione
La sfida (a mio parere vinta alla grande), era di riuscire a rendere interessante uno sfinito uomo che niente e nulla riesce a scuotere. Il protagonista trova per strada un giovane (scappato di casa?), e lo porta al bordello, e gli offre la donna che preferisce.
E lo rifarà altre volte con uno solo scopo: indurlo al delitto. Pur di tornare tra quelle braccia, tra quelle cosce, il giovane (secondo la sua idea), ruberà, ucciderà per procurarsi il denaro e soddisfare l’appetito che lui, il protagonista, gli ha instillato.
Ma allora succede qualcosa? Ma no; è solo un bagliore che il nobile Des Esseintes (il protagonista appunto), crea per dare un fremito alla sua vita che si avvita sul nulla. Non succederà niente del genere, e lui si dedicherà ad altro. A incastonare gioielli sul carapace di una tartaruga (che poi morirà).
Trent’anni da mi sarei rifiutato di procedere oltre pagina 4 di questo libro.
“Ma come? E l’impegno? Perché costui non fa qualcosa? Non rende il mondo migliore? Perché sperpera in questo modo denaro e risorse?”.
Adesso per fortuna lo leggo e lo apprezzo. È un gran libro.
Innanzi tutto, non è alla portata di chiunque riuscire a essere comunque interessante per pagine e pagine dove (lo ribadisco), di fatto non accade nulla. Non c’è conversione, presa di coscienza, sussulto: nulla.
Ha qualche nostalgia per il tempo lontano nella scuola dei gesuiti; ma è un attimo e poi la nevrosi riprende il sopravvento, come sempre. Però mi rendo conto che un sacco di lettori scapperebbero a gambe levate da questo libro. Lo definirebbero “noioso”, e io concordo con essi; però questo non è un autentico difetto.
Proverò a spiegare, ma non garantisco nulla.

La prima opera del decadentismo europeo
Questa è, a quanto pare, la prima opera del decadentismo europeo. Se qualcuno vuole capire dove inizia l’indolenza, l’indifferenza che intossica tante esistenze, questo romanzo è probabilmente quello che ci vuole.
Adesso l’indolenza viene forse imbevuta di rabbia e violenza, di eccessi che in questa opera ci sono ma appena sfiorati. Il punto è che si tratta di un’opera straordinaria e soprattutto: alla fine c’è della logica in questa sorta di follia.
Des Esseintes ha orrore di una modernità che pialla e rende tutti uguali: stessi appetiti, lordure, eccessi. Lui ci è passato, se li è goduti, ed è passato oltre. Almeno è passato oltre, si potrebbe dire, anche se per lui non esiste alcun oltre. Poca letteratura, pochissima arte riescono per poco tempo a emozionarlo; e si tratta sempre di eccellenze per pochi.
Huysmans ha un sincero e reale disgusto per un’umanità che produce, per quel capitalismo che getta le basi del proprio trionfo. Ha una altrettanto forte ripulsa per quella letteratura, di cui Zola è il capostipite e che lui ammira, ma che si limita riportare le cose come stanno.
La scuola del Naturalismo non solo gli va stretta (credo). Perché immagina l’essere umano come un insetto, stretto tra educazione e ambiente, in balia di essi e incapace di metter davvero mano alla propria vita. Ma la considera inadatta a metter mano a quella materia mai doma e imprevedibile che è l’essere umano.
Perciò scrive questo romanzo, che non piacerà molto a Zola. E che tra l’altro darà invece l’avvio al Decadentismo.
Il mondo sembra crollare secondo Huysmans, e non ci sono soluzioni, almeno non ne vedeva una mentre scriveva quest’opera. La cercherà per poco nel satanismo, nell’arte (fu un acuto critico), infine si convertirà alla religione cattolica diventando oblato benedettino e morendo di un tumore alla gola, dopo atroci sofferenze.
Sto leggendo, cioè provando a leggere, Delitto e Castigo, ma è pieno di pensieri eccessivi. Un delirio. Confondo i nomi dei protagonisti come se nulla fosse e mi perdo. Viola parecchie regole di editing moderno. Una infinita serie di puntini sospensivi nei dialoghi, ripete la stessa parola in un paragrafo anche 4-5 volte senza usare un sinonimo, non so se sia colpa di chi lo ha tradotto, e poi ci sono troppi ragionamenti cervellotici. A volte una battuta di dialogo che impiega pagine. Non so se lo finirò. Ho letto Il giocatore ed era meno criptico. Lo alterno con titoli meno elaborati. Mi sono per esempio letto L’agente segreto di Conrad ed era molto più leggibile.
Per quanto riguarda i romanzi in cui il personaggio non muta ho i miei dubbi se mi piacerebbe, però chissà. Io scrivo tutti testi in cui il personaggio protagonista cambia. Adoro i romanzi di formazione. Nemmeno sapevo fossero di formazione finché non mi è stato dato il termine da una lettrice che legge molto.
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Lo so, Dostoevskij è così: spesso impiega pagine per un concetto che starebbe in 3 righe. Ma era anche assillato dai debitori, dal figliastro che batteva cassa, dai parenti che volevano soldi… Forse bisogna evitare di vedere i difetti (che sono come cespugli), e provare a vedere la costruzione che ha prodotto. Ma non è semplice, me ne rendo conto. La parte del commissario che gioca con Raskolnikov come il gatto col topo è superba.
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Sulla trasformazione o meglio evoluzione dei personaggi ho ragionato molto per i miei ultimi due romanzi, non ancora editi, e mi è sembrata una tappa obbligatoria a questo punto del mio percorso, quando, precedentemente, non è che ci avessi badato poi tanto (la trasformazione era implicita e istintiva non tanto ragionata da me, la narrazione non tendeva necessariamente a ciò.)
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Forse succede perché si scrivono romanzi. Non so. Nei miei racconti non c’è nulla del genere, nel senso che non mi sono mai posto il problema della trasformazione. Assisto a quello che accade, registro quello che “vedo”.
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non mi sono mai posto il problema del trasformismo dei personaggi. Certo qualcuno si modifica o forse mostra quello che aveva nascosto all’inizio. Però devo ammettere che a volte questo mi produce fastidio.
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Nemmeno io. Nel senso che inizio a scrivere e proseguo. Non mi sono mai messo a pianificare: “Adesso a questo gli succede questo, così poi fa quello”. Niente del genere, mai.
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nemmeno io.
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C’è una scarsa evoluzione del personaggio anche ne La nausea di Sartre, forse quello che accade in un romanzo in cui il personaggio non si trasforma è proprio mostrare la società nella sua decadenza. A proposito ho notato anch’io che nei romanzi classici la punteggiatura va spesso contro l’editing moderno.
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Era un altro mondo, un altro periodo storico, quindi anche la punteggiatura segue regole sue. E poi Fedor era Fedor: o lo si odia, o lo si ama 😉
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“e l’arco di trasformazione del personaggio? Puoi provare con una balestra…”
Adoro quando Freccero scrive stè cose! 😀
E comunque non è vero che l’immagine non c’entra nulla con l’articolo, è un arco, suvvia!
Che poi, se non c’è l’arco di trasformazione del personaggio, ci sarà almeno Il viaggio dell’eroe di Vogler, no? viaggio non necessariamente geografico (anche se qui si sposta da Parigi alla villa isolata, più che un viaggio un trasloco…)
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Mmmm… un viaggio? Direi di no. Forse si tratta più di un discesa…
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Non conosco il romanzo di Huysmans, ma confesso che non mi attira. Non per la noia, che reggo bene se un libro mi piace, ma perché provo una certa avversione per le storie che fotografano la realtà così com’è (secondo l’autore, naturalmente). Mi piace seguire la crescita dei personaggi, invece. Certo è che tanti ottimi autori non rispettano i consigli dei maestri di scrittura… ma poi di loro si dice che sono dei geni, giusto? Quelli che geni non sono, forse non li sentiamo nominare… 😉
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Anche a me non attirava… 10, 15 anni fa. Non lo avrei nemmeno sfiorato. Mentre adesso, la faccenda è cambiata 😀
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