di Marco Freccero – Pubblicato l’8 ottobre 2018
Molti pensano che sia un’esagerazione. Eppure autopubblicazione vuol dire sacrificio e duro lavoro. Naturalmente già immagino qualcuno pronto ad alzare la manina per ricordarmi che il lavoro “vero” sta da un’altra parte.
Il lavoro “vero” l’ho fatto per anni. Per anni ho sentito degli ometti e delle donnette che “Ma io la domenica non posso lavorare perché c’ho la partita / il ragazzo/la ragazza”.
Le stesse persone, probabilmente, che se la prendono con albanesi e senegalesi perché loro sì sanno che cosa è importante: il lavoro. E poi (dopo), tutto il resto.
Però questi ometti e queste donnette fanno la loro bella figura nelle piazze a suonare tamburi e a sventolare bandieroni chiedendo “lavoro”.
Certo.
Auguri.
Adesso passiamo all’argomento di questo post.
Ecco cosa leggerai in questo articolo:
-
Intanto… Gradisci un dolcetto? Quanto tempo puoi dedicare all’autopubblicazione?
Devi solo rispondere a questa semplice domanda del titolo. Molte persone credono ancora alle favole e pensano che tutto sia piuttosto semplice. Basta scrivere e poi pubblicare. Per questo ti dicono:
“Beato te che hai anche il tempo per scrivere. Io invece…”.
No, spiacente.
Io non ho il tempo per scrivere. Siccome voglio scrivere il tempo me lo cerco. Me lo ritaglio. Lo trovo. Ma questa ricerca passa per forza di cose attraverso una rigida operazione di selezione. Vale a dire: elimino parecchie cose.
- Non guardo la televisione (o la guardo pochissimo). Le serie? E che roba sono?
- Non vado in ferie (da anni).
- Non vado al cinema o al teatro.
- Riduco la navigazione sul Web allo stretto indispensabile.
- Niente uscite serali, mai (il mattino dopo devo carburare bene)
- Leggere (sempre tanto, e un po’ di tutto).
Eccetera eccetera.
Tutto viene fatto per la scrittura. Ogni decisione viene presa in suo favore (ma prima c’è il lavoro, ovviamente).
La “qualità” della tua volontà di scrittura si può misurare con una certa approssimazione da un solo elemento. Ed è questo: che cosa sei disposto a sacrificare. Quanto della tua vita (e per quanto tempo. Cioè: per quanti anni?) sei pronto a immolare (mi piace questo verbo!), sull’altare della scrittura.
I risultati (forse), arrivano solo col sacrificio e il duro lavoro; ma non c’è alcuna certezza. Non è che il sacrificio automaticamente ti consegna dei diritti; proprio per niente.
Molti dicono che l’autopubblicazione è una maratona; devi resistere. Tenere duro e perseverare. Il traguardo non si sa bene dove sia, non è esattamente al termine dei 42,195 chilometri (la distanza che c’è tra Maratona, comune dell’Attica, e Atene); ma da qualche altra parte. Là davanti. Se hai costanza e perseveranza, alla fine qualcosa ottieni. Forse…
L’autopubblicazione è un mestiere per professionisti
So bene che ci sono un sacco di autori che si autopubblicano e facilmente (qualunque cosa voglia dire), riescono a ottenere grandi vendite. Adesso ti svelo un piccolo segreto di Pulcinella.
Non siamo tutti uguali, per fortuna.
Questo vuol dire che (per fortuna), non scriviamo tutti le stesse storie e dello stesso genere (letterario). Quindi alcuni scrivono un certo tipo di storie e ottengono delle enormi soddisfazioni e successo; e se lo meritano (oppure: no).
Altri scrivono delle storie e NON ottengono un fico secco; mi dispiace ma non vuol dire che non sono delle ottime storie.
Forse non hanno curato… La copertina? Le parole chiave? La sinossi? Oppure lo hanno fatto: ma non vendono comunque.
Non hanno curato la base di fan? Non hanno un blog, non partecipano ad alcuna rete sociale? Forse queste sono alcune delle cause. Oppure fanno tutto questo ma nel modo sbagliato.
Oppure lo fanno nel modo giusto: ma ottengono pochi risultati.
Leggi: Creare un blog a cosa serve?
Mi spiace ma è così. Non c’è nessuna garanzia. Se chiedi a un editore medio/grande delle “garanzie”, lui (se è serio), ti riderà in faccia. Perché non ci sono garanzie. Nemmeno loro sanno bene perché certi libri diventano best-seller, o lo diventano da un certo momento in poi.
Ecco perché gli editori devono per forza essere ricchi: perché solo buttando i soldi alla fine riesci ad azzeccarne una.
Per anni la piccola casa editrice Iperborea non riusciva a ingranare. Per anni. Aveva un bel catalogo, un mercato potenzialmente interessante (la letteratura del nord Europa: in Italia nessuno se ne curava, non c’era concorrenza); ma ciccia. Poi hanno azzeccato un paio di libri “L’anno della lepre” (che la signora Lodigiani non era nemmeno certa di voler pubblicare; fu un lettore esterno alla casa editrice che la convinse), e “La vera storia del pirata Long John Silver”. E prima? Prima anni di soldi che uscivano e non rientravano. Però intanto le bollette le devi pagare, gli stipendi pure, i traduttori pure.
La signora Lodigiani è figlia di uno dei più importanti costruttori d’Italia. Hai presente la società Impregilo? La “lo” finale sta per Lodigiani. Fu una delle imprese massacrate da Mani Pulite: oltre 60 inchieste, zero condanne.
Ma pure l’autopubblicazione ha un suo “modus operandi” strano, blslacco e imprevedibile. Vale a dire: non si sa se e quando funzionerà.
Quando scrivo che l’autopubblicazione è un mestiere per professionisti, affermo 2 cose.
La prima: siccome è un mestiere (dopo il mestiere che svolgi per guadagnare il pane quotidiano, ovviamente), devi affrontarlo seriamente. Devi sacrificare, tagliare, creare il tuo spazio e i tuoi tempi.
Niente televisione.
Niente cinema.
Niente teatro.
Niente ferie.
Solo scrittura.
Non scrivo “lettura” perché immagino che non serva ribadire che occorre leggere in quantità ciclopiche vero? Lo so io, lo sai tu, lo sappiamo tutti.
Che cosa vuol dire professionista?
Essere un professionista dell’autopubblicazione vuol dire un mucchio di cose. Costruire attorno a sé una rete di altri professionisti che ti possono aiutare, innanzi tutto.
- Editor
- grafico (per la copertina);
- una base di fan;
- altri autori che si autopubblicano (c’è sempre da imparare qualcosa dagli altri).
Tutto questo richiede tempo, ovviamente. Non lo fai in un giorno, o una settimana. Né commentando una volta al mese su questo o quel blog.
Perché un blog inizia a farsi notare seriamente, raccogliendo commenti e simpatia, credo che sia necessario un anno. Un anno di contenuti di alta qualità. Magari anche solo un post ogni settimana; ma devi fare questo per un anno.
Leggi: Da cosa dipende il successo del tuo blog?
Credo che il professionista sia una persona che affronta il “problema” del tempo come se fosse un imprenditore. E quello che in tanti non comprendono se non molto tardi (alcuni mai), è che chi autopubblica è un imprenditore. Nessuno glielo chiede. Le case editrici sono lì.
Ah, già. È difficile pubblicare. Sul serio? Ma davvero?
Deve essere difficile. Se fosse facile dove sarebbe il divertimento?
Eh sì. L’autopubblicazione è qualcosa che ti spinge sempre a fare qualcosa di più. A cambiare, migliorare, imparare dagli errori, azzerare e rifare tutto da zero, o quasi. E i risultati, dove sono? Arrivano? Boh.
Però la verità è tutta qui: zero certezze. Forse per questo è un mestiere per pazzi. Ma pazzi veri, non per finta, o per modo di dire. Ed è per questo che tanti alla fine, mollano.
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Guardare serie TV, e pure ben fatte, mi stimola, mi fa venir voglia di scrivere di più. Ti illumina su certi meccanismi della costruzione della storia, di come mantenere la sospensione dell’incredulità e mille altre cose… Se stai vedendo una serie TV fatta con arte. Altrimenti si perde tempo. Sto scoprendo che gli spagnoli si stanno danno con arte e coraggio a questo genere in modo professionale molto interessante. Per il resto ci sono persone che fanno finta di non capire che quando si parla di autoproduzioni non si può generalizzare con percentuali ridicole sui numeri. A volte questa gente qui ti fa venire il disprezzo per la scrittura, perché non vuoi essere come loro. Persone che hanno finte certezze e che alla fine disprezzano le autopublicazioni senza nemmeno sapere di cosa esattamente si parla, però sembrano quasi capirne ed essere molto convinti. Sembra, appunto. Gente che non potrebbe autopubblicare nemmeno una poesia. Noi autori indie siamo soggetti a molte difficoltà e a volte ci si diverte a raggiungere un risultato, altre volte dopo tanti attacchi vorresti ritirarti completamente. Esausto.
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Abbiamo voluto la bicicletta? Allora: pedaliamo! Siamo un po’ l’avanguardia, quindi ci tocca spalare… 😉
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Non so, forse nel 2012 eravamo avanguardia. Sei anni dopo non saprei 🙂
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Ma siamo sempre all’avanguardia 😉
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🙂
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Sante parole. Non posso dire nulla aull’autopubblicazione, di cui non ho esperienza diretta ma concordo che a voler consegnare un testo di qualità richiede duro lavoro. Posso dirne di scrittura e blogging: se vuoi risultati tangibili, c’è da sbattersi parecchio. Stavo testé guardando le statistiche, il 2018 dovrei chiuderlo a circa 110mila visite, raggiunte sì in soli 3 anni, ma chiedi agli amici quanto ho sacrificato! La televisione la guardo, film per lo più, non so nulla di Masterchef, Grande Fratello o XFactor. L’unica serie che seguo è Outlander, 13 puntate da un’ora ogni anno e mezzo. Sono andata 1 volta al cinema dopo… 4 anni credo! In ferie ci vado, ma per leggere e scrivere. Leggo (e studio) di più. Che tre anni fa non sapevo nulla, ma davvero nulla, di wordpress, social media e seo (non è quello il mio campo informatico, io lavoro su documentali, workflow, fatturazioni e conservazioni). Per quanto continuerò ancora? Finché c’ho il fisico! 😀
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Io invece se guardo le visite mi metto a ridere (o a piangere). In picchiata. Fa nulla. Continuo perché per adesso mi diverto 😀
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Non sapevo che il successo di Iperborea fosse dovuto in particolare a quei due romanzi.
Ottimi entrambi, fra l’altro. Larsson, poi, è uno dei miei autori (viventi) preferiti.
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Larsson è bravo. Conosce perfettamente l’italiano, ha insegnato il francese e ha scritto, in francese, un romanzo. Non ricordo il titolo però…
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Ho letto dei saggi sui libri sul mare, di Larsson. Ho annotato qualcosa anche nel blog…
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A parte gli ultimissimi, di lui ho letto tutto.
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p.s. Vive molto del suo tempo in barca a vela…
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E so che l’aveva comprata in un cantiere di Marsiglia…
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ne ha avute più di una, ne racconta in uno dei suoi libri sul mare (mi suscita una discreta invidia…) 😉
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Vero. Anche se a me il mare non piace molto.
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Per il resto condivido.
A parte il fatto che, per la mia esperienza, nemmeno il blog “aiuta”. Se continuo a tenerlo è perché mi piace farlo. 🙂
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Il blog non aiuta a vendere una sola copia. Crea la conversazione, che è il carburante per chi scrive. Ma pensare che… No, non funziona affatto così. Diciamo che è una specie di “gancio” che il lettore a volte accetta, segue, e poi forse, magari, chissà: diventerà il “tuo” lettore.
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L’ha ribloggato su Antonella Saccoe ha commentato:
Un articolo che spiega molto bene le difficoltà e le fatiche di un autori/trice self…
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Eh sì, hai proprio ragione. L’autopubblicazione è un duro lavoro, ci pensavo sabato scorso quando ho passato la giornata a scrivere (non ho neanche prodotto troppo) mentre il mio compagno era fuori (era andato a vedere il giro dell’Emilia, io l’ho lasciato andare da solo per poter scrivere, ogni tanto mi chiedo chi me lo fa fare). Però le serie TV le guardo, soprattutto se sono gialli, mi servono per avere spunti sulle trame, non sempre accade, ma ogni tanto un’idea mi viene…
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Io nemmeno quelle! Pure io mi chiedo: “Chi me lo fa fare?”. E rispondo: “Io!”. Questo è segno di instabilità mentale 😉
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È bello questo tuo post, perché in effetti è tutto condivisibile, dalla prima all’ultima parola.
Io so che tenterò la strada di un editore che voglia dare un’opportunità al mio romanzo, devo farlo perché non posso lasciare intentata questa possibilità. Poi penso che l’autopubblicazione sarebbe perfino stimolante. Curarne ogni aspetto, occuparsi della promozione, crederci.
Troppi autopubblicati invadono il web, ma un buon libro non può non farsi strada.
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Concordo. C’è del buono ma ovviamente bisogna cercare con cura. Ma chi decide di autopubblicarsi dovrebbe capire che ormai deve cercare di essere come un editore. Certo, l’editore (o meglio: alcuni di essi), ormai non garantiscono più molto. Ma è indispensabile lavorare in un certo modo. Non si scappa: professionalità, e basta.
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[…] vuol dire sacrificio e duro lavoro marcofreccero.com/2018/10/08/aut… di @Marco_Freccero […]
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Io mi immolo un po’ meno sull’altare della scrittura, ma ti do ragione su tutti i fronti. Solo mi piacerebbe, per citare Luz, credere ancora che un buon libro non possa non farsi strada. Purtroppo o per fortuna, non ci credo più, ma è anche vero che non ho ancora scritto il romanzo del secolo. (Il potere delle illusioni umane!)
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Nemmeno io ho scritto il romanzo del secolo, e non lo farò mai, probabilmente. Mi basta continuare a raccontare le mie storie 😉
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del tutto d’accordo. L’auto pubblicazione è un sacrificio e non un divertimento.
A volte mi chiedo se serve o perché lo faccio.
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Secondo me non serve a nulla. Io lo faccio perché mi piace.
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di certo ti piace come a me. Altrimenti faresti altro.
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Questo è poco ma sicuro.
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ciao
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Indubbiamente l’auto pubblicazione ma anche la scrittura in generale richiedono un sacco di lavoro e dei sacrifici. Di fatto anche io ho cominciato a tagliare un sacco di attività a cui tenevo per avere il tempo di fare il necessario per scrivere/promuovere/pubblicare/bloggare.
Se ci si sofferma a pensare, ci si dice che poi i risultati non valgono tanti sacrifici, eppure è come se non si avesse scelta. Non sei d’accordo? E’ un po’ come aver preso un impegno con noi stessi.
Su una cosa non sono per d’accordo: le serie tv. Secondo me guardare quelle fatte bene aiuta anche la scrittura. Ci scriverò un post, anche se immagino tu non sia convincibile 🙂
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Ormai le serie tv non le guardo per il tempo. Ne richiedono, e non voglio perderlo. Gli spunti non mi mancano affatto, anzi: ne ho troppi. Ma di certo leggero il tuo post: e chissà! 😉
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