Video – Tolstoj, dove sei?


 

foto marco freccero

 

Di Marco Freccero.

 

 

Dico: Lev Tolstoj, e tutti siamo persuasi di conoscere questo scrittore russo. Ma ne siamo certi? Che cosa sappiamo davvero di lui?

Buona visione.

 

 

Già, dov’è Tolstoj? Dove si trova, dove possiamo trovare uno dei più grandi scrittori russi e del mondo intero? Una domanda stramba, me ne rendo conto: lo troviamo nelle biblioteche, nelle aule universitarie, nei musei e nelle giornate di studio che sono dedicate a lui e alle sue opere in un po’ tutto il mondo. Ma lì non c’è Tolstoj; lì è presente la nostra idea di Tolstoj che ricaviamo da quello che lui, di volta in volta nel corso della sua lunga vita, ha lasciato trapelare.
Ma probabilmente anche Tolstoj non aveva ben chiaro dove fosse; e chi fosse quella persona che era ora qui, ora là.

Il conte Lev Tolstoj è il rappresentante di una Russia che vive di privilegi. È un nobile che fa parte di un sistema che necessita di una marea di poveri per perpetuarsi.

Mentre l’Europa elabora la grande illusione di essere in grado di creare qui e ora il paradiso in Terra, la Russia appare inchiodata a un passato che non passa mai (e pure adesso ha sempre bisogno di uno Zar).

Tolstoj inizia a riflettere; su di sé, sul mondo. La religione e il sistema che guida la Russia. Non è semplice riuscire a fissare un uomo, mai; figuriamoci Tolstoj. Lui e anche i suoi personaggi sono sempre qui, e altrove; in un altrove che col tempo si imporrà a lui (e lui tenterà di imporre, senza successo, alla sua famiglia), fatto esclusivamente di sottrazione.

In questa sua opera quasi quotidiana, farà a pezzi un po’ tutto: la religione ortodossa, per lui lontana dagli insegnamenti di Cristo e troppo vicino al potere. Il matrimonio, un’istituzione ipocrita che cerca di regolare la lussuria degli esseri umani, ma senza successo. La società tutta che fa del doppiogioco e dell’ipocrisia i cardini (cigolanti), grazie ai quali continua a vivere.

Eppure in questa sua furia iconoclasta il buon Tolstoj torna spesso e volentieri sui suoi passi.
Apre una scuola per insegnare ai bambini dei contadini a leggere e a scrivere; ma poi se ne allontana, come se gli fosse venuta a noia.

Odia la carne (non intesa come piatto), ma continua a tradire la moglie. Solo in un campo sembra perseguire con successo il suo scopo. Nella sua lotta contro la Chiesa ortodossa finisce con l’eliminare Cristo e sostituirlo… con se stesso. Sul serio. Verso la fine della sua vita usa le frasi di Cristo per descrivere la propria situazione familiare. Non è un caso che sia nato il fenomeno (per fortuna finito con la sua morte), del tolstojsmo.

Il punto è che nella sua quotidiana lotta contro la disuguaglianza lui non è riuscito a coinvolgere quelli che aveva accanto tutti i giorni. In un certo senso: usciva dal suo ruolo (di nobile, e conte); e ci rientrava.

Attenzione: non sto affermando che era ipocrita. Ma è un indizio importante per spiegare questo comportamento che appare schizofrenico. Ecco perché c’è un romanzo che forse ci spiega qual è il vero problema di Tolstoj. Per quale motivo non riesce davvero a trovare un equilibrio, e come un pendolo passa da un estremo all’altro; sino a fuggire quando queste contraddizioni appariranno definitive e quindi impossibili da risolvere.

La locomotiva.

Sono pazzo?

Se leggi “Anna Karenina” abbiamo questo mezzo che alla fine, tra l’altro, ucciderà la protagonista. Per il resto, che cosa vediamo? Una società immobile, ferma, con le sue pochissime virtù, le sue ipocrisie, le sue ricerche di senso. Mentre in Europa si fanno avanti idee, e forme di economia e di governo del tutto nuove, la Russia continua la sua vita di sempre. I contadini, massacrati di fatica e tasse; e una minoranza di nobili che vive alla grande.

Per Tolstoj c’è qualcosa di più pericoloso delle idee: vale a dire il progresso. Tecnico, tecnologico, rappresentato in modo tangibile e potente, dalla locomotiva. Perché quel progresso è una leva formidabile per rovesciare tutto; e per rendere tutto solo maledettamente più complicato.

Se le cose si complicano, le persone reagiscono in due modi: scelgono la semplificazione. Oppure prendono atto che tutto si sta facendo più complicato, e magari studiano. Tolstoj sceglie la prima strada.

Taglia. Decapita. Fa, appunto, tabula rasa e al centro del suo nuovo mondo mette: Lev Tolstoj. Tornare alla semplicità, alla terra è solo il tentativo (fallito), di respingere il mondo che si fa più complicato.

Tolstoj aveva compreso che il progresso conduceva con sé non solo delle idee. Perché la locomotiva era un portale attraverso il quale la Russia tutta, o quasi, sarebbe stata spinta. C’era davvero da rifare tutto da capo, da scegliere, da selezionare. E lui non lo fa. Non può permettersi di effettuare la cernita. Tutto è troppo complicato; meglio restare semplici.

La fuga di Tolstoj dalla famiglia non è una fuga da un mondo che impone i compromessi. Semmai è la dichiarata incapacità a scendere a compromessi che lo spinge a scappare, a preferire la morte in un’oscura stazione senza nemmeno vedere la moglie. Invece di mettere in discussione se stesso, preferisce mettere in discussione il mondo, arrivare alla conclusione che tutto il mondo sbaglia, e che solo lui ha la soluzione (una soluzione con al centro Lev Tolstoj, certo).

Si fa fotografare; filmare dalle prime cineprese. Fuggirà da casa proprio usando il treno e morirà in una stazione ferroviaria.
Ma questo serve solo a rendere più evidente e senza soluzione il suo problema con il mondo che cambia. Tolstoj è un uomo che vede arrivare il progresso in un Paese ingessato, ma non è in grado di ricavare una sintesi tra vecchio e nuovo, finendo per adottare un’utopia capace di soggiogare solo quanti si considerano eletti. Come lui.

Alla prossima e… Non per la gloria, ma per il pane!


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