Pubblicato su YouTube il 12 aprile 2017.
Ripubblicato su questo blog il 12 ottobre 2018.
Tutti più o meno hanno sentito parlare di “Delitto e castigo”, uno dei romanzi più celebri di Fedor Dostoevskij. Bene: ma che cosa ha da dire al giorno d’oggi? Che cosa insegna questa storia ambientata nell’Ottocento, in una Nazione che pare così lontana da appartenere a un altro pianeta?
Per scoprirlo guarda il mio video.
Se io adesso dico
Delitto e castigo
tu fai un sospiro profondo e nella tua testa probabilmente si forma l’immagine di un mattone. Che errore!
Delitto e castigo è un romanzo di Fedor Dostoevskij
E quando dico Dostoevskij giù il cappello!
e trae ispirazione da un fatto di cronaca: un giovane commette un omicidio perché non si ritiene come gli altri uomini, ma si considera parte di una umanità superiore, che può fare qualunque cosa. In fondo, Giulio Cesare e Napoleone fanno ammazzare migliaia di uomini e donne, e a questi condottieri sono dedicate vie, piazze, libri e studi.
In realtà il tema in origine era anche un altro, e nella stesura definitiva rimarrà, anche se non così centrale: l’alcolismo. Il titolo di questo romanzo infatti doveva essere: Gli ubriachi. La prima stesura viene bruciata da Fedor, e ricomincia.
La storia più o meno la si conosce: un giovane povero, solo, anche malato, s’ingegna ad ammazzare una vecchia usuraia allo scopo di derubarla e poi trascorrere il resto della vita a fare del bene e a vivere degnamente. La faccenda si complica subito perché pure la sorella della vecchia viene assassinata, ma per il resto tutto sembra filare liscio come l’olio.
Non è certamente un giallo, perché sappiamo chi è l’assassino e seguiamo Raskolnikov, il protagonista, mentre esegue il duplice omicidio. Come dice lo stesso Dostoevskij, si tratta del resoconto psicologico di un delitto. Quello che gli sta a cuore non è smascherare il colpevole, e neppure scrivere un giallo.
C’è un aspetto di questo romanzo che merita una riflessione. Quando Dostoevskij scrive questa storia, è lontano anni luce dalle proprie idee giovanili, socialiste. Ha riscoperto la religione ortodossa, in particolare la figura di Cristo. Ma ecco l’aspetto interessante: invece di lasciarsi andare, di attaccare quelle idee che non condivide più, mettendole alla berlina, Dostoevskij riesce a renderle in maniera limpida e convincente.
Sia chiaro: è evidente il suo pensiero, cosa pensa del mondo, della Russia e dell’Occidente. Ma egli riesce a fare spazio al pensiero altrui, non usa la sua fede come una clava per dare una lezione a questi scimuniti senza Dio che infestavano la Russia. Tra gli atei più convincenti della letteratura moderna, ci sono quelli di Dostoevskij, credente.
E a ben vedere il finale del romanzo, è fin troppo scontato. Certo, Dostoevskij mentre era imprigionato in Siberia riscoprì la fede, e questo evento finisce per essere travasato nel romanzo. Ma per Dostoevskij la fede è una faccenda complicata, perché rende più difficili, e non più facili, le cose. Infatti tutto il resto della sua produzione letteraria non farà che cercare una risposta a una domanda. Chi è Gesù Cristo? Ed è per questa ragione che scriverà ancora e ancora.
Questo cosa insegna?
Molti ritengono che la narrativa sia un piedistallo sul quale salire per dare al mondo delle lezioni. E non sono pochi i lettori che credono che la narrativa esista per fornire delle risposte. Niente di più sbagliato: il suo scopo è quello di porre le giuste domande.
Dostoevskij aveva eccome una sua visione delle cose, ma questo non risolveva affatto i problemi. Ecco perché è un grande autore: usa le sue idee, le espone, ma ha l’intelligenza di non farsi imprigionare da esse, e riesce a dare spazio a idee che sono distanti anni luce dalle sue. Consegnandoci storie e personaggi credibili e onesti.
Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane!
“Molti ritengono che la narrativa sia un piedistallo sul quale salire per dare al mondo delle lezioni. E non sono pochi i lettori che credono che la narrativa esista per fornire delle risposte. Niente di più sbagliato: il suo scopo è quello di porre le giuste domande.”
Dissento. Nel senso: non credo che la narrativa abbia un UNICO scopo ma, a seconda del genere, o del singolo romanzo o autore, a volte la narrativa sembra inseguire una lezione (racconta come potrebbe andare a finire se…; sta al lettore capire se vuole intraprendere la stessa azione, rischiando lo stesso risultato); altre volte la narrativa fornisce delle risposte, ALCUNE delle risposte, mica tutte (e dovrebbe essere il lettore a capire quanto sono plausibili o meno); altre volte ancora la narrativa pone le domande giuste, come dici tu, fornendo magari un diverso punto di vista dello stesso fatto. Ma la narrativa è bella proprio perché varia, no? 😉
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La narrativa è bella perché è varia. Poi c’è la narrativa che pone le giuste domande: la migliore letteratura. 😃
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PS: (al solito mi fai perdere il filo del discorso…) Delitto e castigo l’ho letto, non lo ricordo affatto come un mattone, anzi. Continuavo a girare le pagine chiedendomi “E adesso?”, indecisa se parteggiare per la vittima o l’assassino, perché il buon Fedor alla fine ti porta quasi a scusarlo, quell’assassino! 🙂
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