Di Marco Freccero. Pubblicato il 23 ottobre 2018.
Ogni tanto queste (inutili?) domande tornano a fare capolino su questo blog.
La risposta, tra l’altro, è piuttosto semplice. Direi che è banale, perché ormai lo scrittore deve essere un professionista; o almeno avere una mentalità da professionista.
Perché ormai si sa che si tratta di un impiego, un lavoro (anche se ovviamente nessuno lo pagherà, e forse non troverà mai nessuno che lo pagherà davvero). Però lo devi affrontare come se ci fosse uno stipendio, con la stessa determinazione, passione e precisione che si applica al lavoro.
In questo articolo ecco che cosa troverai:
- Siamo tutti dilettanti
- Ma alcuni lo restano per sempre
- La parola è un’arma
- Quello che vediamo non è tutto
Prima di iniziare: un’immagine. A che serve? Boh!
Siamo tutti dilettanti
In realtà non c’è niente di male nell’essere un dilettante: lo siamo tutti, all’inizio, ma anche dopo, ben dopo l’inizio. Come dicono a Napoli: Nessuno nasce imparato. C’è dunque un tratto comune a tutti noi autori indipendenti: almeno agli inizi siamo dei perfetti dilettanti.
Non sappiamo nulla e per questo passiamo molto tempo a leggere. A documentarci. Spendiamo soldi per leggere questo o quel libro che ci spiegherà la “tecnica della scrittura”, oppure come si scrive un romanzo, o un racconto.
Cerchiamo una luce, una soluzione, che ci tiri fuori dalle incertezze e sbaragli i dubbi.
È sufficiente?
No ovviamente.
Dopo un po’ ci rendiamo conto che la tecnica è qualcosa che già vive dentro la storia che raccontiamo; che nessuno può sul serio spiegarci o insegnarci a scrivere storie, ma è affar nostro.
Un affare lungo, difficile, dove le soluzioni ai problemi devono essere elaborate da noi, e non da uno scrittore morto magari un secolo fa.
Ma alcuni lo restano per sempre
Però credo che ci siano dei tratti che separano queste 2 categorie. A mio parere il professionista:
-
- ha capito che deve spendere;
- non ha la presunzione di saper fare tutto (per questo si rivolge a un grafico, a un editor);
- considera gli altri autori indipendenti come una risorsa;
- sa che prima di tutto deve creare una conversazione con i lettori, affinché alcuni diventino, col tempo, i suoi lettori.
- ha capito che il marketing è uno strumento per arrivare a più lettori.
A questo punto sarebbe facile chiuderla qui e affermare che il dilettante è solo colui, o colei, che non fa le cose di cui sopra, oppure fa l’esatto contrario.
Credo che il suo tallone d’Achille sia qualcosa di più sottile, che lo circonda come una nebbia.
Chi considera gli altri autori indipendenti dei “nemici” (e magari va su Amazon e scrive una pessima recensione per avvantaggiare il suo libro); oppure l’editor un tipo che vuole stravolgere il suo perfetto capolavoro; o ancora il marketing una faccenda per idioti che scrivono schifezze e le vendono con i soliti trucchetti.
Chi pensa questo genere di cose non è un dilettante. Non saprei bene nemmeno come definirlo.
Però non è affatto qui la differenza tra un professionista e un dilettante, e i 5 punti che ho elencato qualche riga fa sono “solo” le buone abitudini che un autore indipendente di solito adotta per il bene delle sue storie.
La parola è un’arma (ma non serve a fare quello che pensi tu)
Il dilettante è una persona che ancora non si è reso conto di star maneggiando un coltello senza manico. La parola quello è: un’arma.
Non per rendere migliore il mondo (il mondo sarà sempre così perché si sceglie, consapevolmente, il male); ma per celebrare l’essere umano e il mistero che racchiude.
Fino a quando non si rende conto di questo, tenderà sempre ad affrontare la pagina scritta con il sentimento, e il modo, sbagliato.
Scrivere è un bel modo per ricordare verità terribili utilizzando lo strumento più banale che esista: la parola appunto. Ed è banale perché viene insegnata a tutti, democraticamente. Per questo andiamo a scuola: per imparare.
In realtà buona parte di noi a scuola impara solo a essere conformista; perché questo è lo scopo della scuola (tranne rare eccezioni: penso a don Lorenzo Milani). Buona parte degli insegnanti addomestica i giovani, insegna loro certe parole d’ordine da ripetere nei momenti giusti, e fare così in modo che possano entrare a far parte, con gioia, della mandria.
Il terrore della solitudine spinge gli individui a muggire tutti insieme. E se rompi con certe parole d’ordine stai pur certo che attorno a te si creerà un bel vuoto.
Basta dire che la cultura NON rende migliori; che un assassino o un razzista può essere (e lo è), un sublime artista, e nella mandria scatta l’allerta gialla. Si crea una frattura. A quel punto: o ti affretti a sanarla; oppure…
Quello che vediamo non è tutto (tranquillo: è una posizione minoritaria)
Nella testa delle persone che scelgono di scrivere resta l’idea di avere lo strumento perfetto per dire quello che vogliono; e di conoscerlo perfettamente. E con quello strumento si avvicinano alla realtà, e producono danni.
Come un chirurgo che immagina di avere a che fare con un manichino, costoro si avvicinano alla realtà come se fosse una materia da disporre liberamente.
Nel Medioevo i numeri non erano solo… Numeri. Ciascuno di essi aveva un significato ben preciso, e infatti Dante Alighieri nella Divina Commedia ricorre ampiamente a essi per comunicare (ma buona parte dei suoi messaggi non vengono raccolti. Ci siamo evoluti, ricordi?).
Lo stesso vale per la realtà. Quello che vediamo non è tutto. È quello che vediamo. Lo scrittore dilettante pensa che quanto gli occhi gli restituiscono, sia tutto ciò di cui deve parlare. Non c’è altro. Un numero è un numero.
Un uomo è un uomo: fine.
Un assassino non può essere migliore di me che difendo il diritto, e lotto contro le ingiustizie.
Un razzista non può fare delle opere d’arte; e se le fa occorre toglierle di mezzo perché l’ideologia possa occupare ogni spazio e proclamare la sua menzogna, al posto della verità.
Inutile aggiungere che la posizione ideologica garantisce successo: piace alla mandria, che muggisce di piacere. Ma è pur sempre una mandria.
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Mah!
Sono sicuramente un dilettante, però grandi professionisti mi hanno insegnato che se vuoi qualcosa devi lavorare sodo, imparare da ogni collega e studiare la concorrenza. Non andare in giro a screditare i collaboratori o le altre società. Nel nostro caso gli altri scrittori o, peccato mortale, gli stessi lettori.
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Il primo dilettante sono io 😉
Io però mi domando: perché commenti questi inutili post, e non scrivi, e non pubblichi? 😀
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sono un dilettante e fa l’unica cosa che gli riesce bene: fare l’allievo e assorbire tutto quello che gli serve senza smettere di imparare.
Il dilettante non è un improvvisatore ma cerca di mettere ordine nel suo mondo. Non diventerà famoso, né ricco, crescerà e maturerà ma alla fine resterà tale-
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Be’, pure io sono un dilettante.
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molto meno di me
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Non ne sarei così certo.
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io sì.
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Mi sento una dilettante, nel senso che considero la scrittura un hobby. Per forza, mica mi ci posso pagare le bollette. Eppure, a ben rifletterci, per certi aspetti mi comporto come se fosse un lavoro vero e proprio. Una buffa contraddizione, no?
Mamma che brutta piaga quella di chi considera i suoi colleghi dei nemici… 😦
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Eppure se dai un’occhiata in giro scopri cose che… Pure io tratto tutto questo come fosse un mestiere. Così mi illudo che un giorno, magari… 😉
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