di Marco Freccero. Pubblicato il 30 ottobre 2018.
Se faccio questa affermazione: La scrittura è un pessimo affare. Non lo scrivo perché qualcuno si precipiti nei commenti ad affermare il contrario. Non cerco alcuna consolazione.
È una semplice e del tutto banale constatazione. Io parlo di… Fatti, non impressioni, oppure chiacchiere. E tutti coloro che affrontano la scrittura con il giusto piglio, sanno che ho ragione; e mi daranno ragione.
Questo blog l’ho aperto nel dicembre del 2010 (il primo post con il quale annunciavo la nascita di questa creatura), per iniziare a “fare sul serio” dal gennaio 2011. Quasi sette anni quindi.
Nel frattempo c’è gente che ha messo al mondo dei figli (che vanno a scuola); ha cambiato 2 o 3 lavori; ha viaggiato. Ha cambiato casa, automobile, città, regione o addirittura Nazione.
Sette anni.
Hai presente la regola del “Chi la dura la vince”? Ecco: con la scrittura questa scricchiola assai…
Il 97% dei dattiloscritti merita il cestino
Sul serio: capisco quelli che mollano. Che a un certo punto smettono di scrivere perché l’editoria nemmeno li considera, mentre con l’autopubblicazione non cavano un ragno dal buco.
Oppure continuano a farlo, ma senza più curarsi di reti sociali, blog, e cose del genere. Quando hanno qualcosa di pronto, pubblicano, e basta.
Zero marketing, forse solo un post per annunciare l’uscita del loro libro, e basta.
Attenzione: non mi riferisco a quanti scrivono un romanzo alla settimana perché “Essi” sono bravi. Niente del genere.
Concordo con le case editrici: il 95% dei dattiloscritti meritano il cestino; probabilmente anche i miei, se spedissi ancora qualcosa.
Molti affermano che le case editrici dal cestino spesso e volentieri riescano a pescare qualcosa, confezionino questo “qualcosa” con una copertina decente, e lo vendano con un certo successo; ma è un argomento che esula da questo blog, giusto?
Giusto.
Parlo invece di quella manciata di persone che sanno che la scrittura è una brutta bestia. Ma davvero brutta. Perché hai una storia, ci lavori per settimane, mesi, anni, e questa storia si infila sempre dappertutto.
Occupa ogni spazio, ogni momento libero. Ti tiranneggia, la storia. C’è solo lei, vuole tutte le tue attenzioni.
Il seguito? Vuoi pure sapere il seguito?
Ma è evidente: boh. Nel senso che il seguito spesso è appunto un “boh”, o un punto interrogativo; oppure un bel niente.
Anche quando riesci a ottenere qualcosa: sarà sempre troppo poco. Sarà inferiore a tutte le energie spese.
E non è detto affatto che tutto questo succeda alle opere mediocri. Ormai bazzico l’ambiente dell’autopubblicazione da un pezzo (ammesso che si possa davvero “bazzicare” qualcosa di tanto esteso), e so che ci sono persone che hanno talento, ma che non riescono a emergere.
E mi sento di dire: forse non ci riusciranno mai (anche se non si dovrebbe affatto affermare questo: ma è così).
Tenacia, tenacia e ancora tenacia: a che pro?
Sempre più spesso si legge in giro che dopo il talento la qualità necessaria per l’autopubblicazione è la tenacia. Probabilmente è proprio così; ma non vale solo per l’autopubblicazione in realtà, bensì per un po’ tutte le cose.
Riempire il proprio tempo libero di scrittura invece che di sole (o di neve); rinunciare alla vita per starsene seduti alla scrivania a rifinire un dialogo, una descrizione. O a eliminare mezzo paragrafo: è da suonati, si capisce. E a qualche metro, in strada, c’è qualcosa che richiede meno impegno e regala parecchie soddisfazioni in più.
Volontariato, per esempio.
Credo che poche persone siano disposte a un simile sacrificio per la scrittura. Ma se a costoro si chiedesse qualcosa di analogo in un altro ambito (“Lavora per anni senza alcun compenso; rinuncia alla vita sociale; vivi solo per questa missione”): rifiuterebbero.
Parliamoci chiaro: tutto questo lavoro (e tempo, ed energia, eccetera eccetera), completamente gratis, e con scarsissime probabilità di ottenere i soldi persino per una semplice pizza?
Perché?
Quale tara, o malattia mentale spinge certi individui a un simile comportamento? Dappertutto è un sabba di:
“Ottimizza!”;
“Pianifica!”;
“Monetizza!”.
E costoro se ne infischiano?
L’armata degli scrittori indipendenti
Non ho la risposta a questa domanda.
Perché io faccio parte di questa armata perduta che racconta storie; forse da troppo tempo.
Buona parte di noi si è buttata sull’autopubblicazione perché sembrava qualcosa di relativamente semplice (“Nessun cattivone della casa editrice mi dirà: No”). Cliccavi il pulsante “Pubblica” ed era fatta; ma la semplicità è morta, hai notato?
Sempre più autori indipendenti; sempre più libri.
Agli inizi se eri tra i primi, avevi qualche probabilità di emergere, di farti notare senza troppi sforzi. C’era curiosità attorno al fenomeno dell’autopubblicazione, e i lettori erano più disposti a rischiare.
A dare una possibilità al perfetto sconosciuto (adesso mi pare ci sia più prudenza da parte dei lettori: il 95% delle opere autopubblicate sono spazzatura).
Adesso un po’ tutti concordano che è estremamente arduo riuscire a vendere più di 30 copie.
Ci vuole tempo (io aggiungerei “molto” tempo), e una strategia ad ampio raggio (come dicono quelli bravi) per riuscire a ritagliarsi una fetta di pubblico che ci segua. Tutto questo richiede 2 ingredienti fondamentali: Tempo, appunto; e risorse.
Denaro.
In pratica l’autopubblicazione di fatto sta subendo una inevitabile(?) mutazione. Da spazio libero dove chiunque poteva accedere e proporre la sua opera; ad ambiente organizzato, complesso, dove leggi e dinamiche si modificano e cambiano a grande velocità.
Certo: non sei obbligato a star dietro a questi argomenti. Se li ignori, probabilmente sarai escluso e avrai scarse possibilità di emergere.
L’innocenza dell’autopubblicazione (se mai è esistita), è finita. Di fatto si sta trasformando in un ambiente dedicato a quanti si possono permettere di investire tempo e soldi.
Però mi rendo conto che tutto questo non serve a nulla. Se arrivi a leggere anche queste righe (complimenti!), non credo proprio di averti convinto a mollare; o forse sì?
Ma se ti ho convinto è solo perché in fondo per te la scrittura è solo un passatempo, un modo per dimostrare agli altri, ai parenti, agli insegnanti, che “loro” si sbagliavano.
Se non ti ho convinto è perché già da tempo sai che la scrittura è un pessimo affare; e continuerai a scrivere.
Ti sento molto pessimista. Lo so che scrivere da autore indipendente è una gran fatica, occorre dedicarvi tanto tempo e poi alla fine non si ottiene il risultato sperato, che fare? Nulla, continuare a scrivere se c’è la voglia di farlo. È poi vero che ormai tutti scrivono, c’è rimasto qualcuno che legge? Ogni tanto me lo chiedo anch’io…
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Anche io però continuo, e credo che lo farò ancora per un po’ 😉
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Beh, leggere questo articolo alla vigilia della mia nuova pubblicazione mette una angoscia che non ti dico 😀 . Sono cose che so benissimo. Cerco di non pensarci ma boh…
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Tanto non ti fermerai 😀
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Lo farò. Questo già è in ballo da troppo tempo per fermarlo ora. Dopo di questo arrivederci e grazie a tutti.
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Tanto non ci credo…
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😀
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che dire? Nulla di più di quello che hai scritto. Zero soddisfazioni – forse sono pessimista io che per natura vedo positivo – ma no. La sensazione di aver animato una cosa inanimata. Non vendi? Spendi soldi? Fai fatica? A quale pro? Ma chi se ne frega, scrivere per me è un passatempo.
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Alla fine credo che sia il modo giusto per affrontare la faccenda.
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ricchi non si diventa almeno questa soddisfazione
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Caro Marco, è lo stesso anche per chi non è un autore indipendente. La tenacia serve anche per noi, che abbiamo un editore e magari ne cerchiamo un altro che ci faccia volare più in alto e lontano. Tenacia e tempo, tempo e tenacia e sacrifici, nel senso di sacrificare momenti con i cari, ore di sonno, e ognuno si organizzi poi come può o come crede per scrivere senza garanzie. Ma come dici tu la storia ormai è dentro di noi, intorno a noi, la assecondi, la ami e continui semplicemente e quando con quella storia avrai finito il percorso, probabilmente ne arriverà un’altra e si ricomincerà da capo.
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Eh sì. Perché in effetti avrei anche un’altra storia e… Ma è meglio non parlarne affatto 😉
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Mi sono praticamente ritirato dalla discussione pubblica sulla questione della scrittura (per tanti motivi, tra cui aver capito che in questo ciascuno è solo), ma ogni tanto torno a leggere il tuo blog perché mi trovo spesso d’accordo, e questo aiuta quando mi sento un po’ folle nelle decisioni che prendo.
Da autopubblicato, ci sono due obiezioni che ho maturato all’autopubblicazione: ci vogliono i soldi. Devi investire in altri specialisti per trasformarti in una specie di start-up. Non è affatto una soluzione per tutti. Anzi, è una soluzione elitista e per niente rivoluzionaria (anche la Woolf cominciò a stamparsi i libri da sé, ma perché poteva).
E da lì una seconda obiezione: ti voti alla scrittura solo se smetti di chiederle un ritorno, un guadagno, un “ehi guardatemi”. Quale persona, con questa sincera mentalità, si metterebbe poi “in affari” per cercare un riscontro? Che genere di chimera è questa persona? Non riesco a immaginarmela.
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Giusto. Anche a me non piace il discorso dell’autopubblicazione “libera” ma se vuoi vendere devi andare a rimorchio delle mode. Oppure, bisogna investire o non c’è speranza. Il punto è che non c’è speranza a prescindere. Piaccia o no, adesso come prima (prima: prima del fenomeno dell’autopubblicazione), il successo, il consenso, sono frutto del caso, della fortuna, di Ciccio Formaggio. E allora? Allora è meglio scrivere e basta. E sarà quel che sarà.
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Ehi, siamo sintonizzati! In pratica il mio post di oggi offre dati per le tue affermazioni. Credo comunque di rientrare nella categoria degli ho-capito-che-è-un-pessimo-affare-ma-scrivo-lo-stesso. 😉
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Eh già! Ho visto. Ho letto. 😉
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“Occupa ogni spazio, ogni momento libero. Ti tiranneggia, la storia. C’è solo lei, vuole tutte le tue attenzioni.” Sono parole che condivido appieno. Proprio questo rende la scrittura qualcosa di diverso da un “affare”. Quindi la scrittura è un pessimo affare? Sì. Però non è di questo che si tratta. Lo fai per amore, non perché da tutto questo darsi da fare se ne ricava un profitto. Amore per la storia, per la scrittura stessa. Certo, ci sono quelli che riescono a farne pure un buon affare, ma abbiamo capito già di non far parte di quella categoria, giusto?
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Eh sì, lo abbiamo capito!
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Ah, ma io l’ho capita sa, signor Freccero. La sua è una strategia fine. Un articolo qui, un articolo lì, sempre a dire che la scrittura è difficile, la scrittura è un pessimo affare, la scrittura è lacrime e sangue… per cercare di dissuadere quanti più lettori possibili da intraprendere questa strada. O meglio ancora per cercare di convincere neo autori ad abbandonarla questa strada.
Così alla fine ne rimarrà soltanto uno, l’ultimo immortale… ehm, scrittore. E chi sarà?! 😀
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Acc! Mi hai smascherato. Quindi devo passare al piano “B”. Eliminazione fisica dei concorrenti 🤣
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