Il sosia di Fedor Dostoevskij – L’opera della svolta (Video)


foto marco freccero

di Marco Freccero.

 

 

Conosci l’opera “Il sosia” di Fedor Dostoevskij?
No?
Peccato.
Allora facciamo così: guardi il video così ne saprai un po’ di più.

Buona visione!

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“Il sosia” di Fedor Dostoevskij

ho detto Dostoevskij, giù il cappello!

rappresenta forse il caso più interessante di “evoluzione” di un autore. È con questa storia che il buon Fedor “svolta”. Cambia drasticamente modo di affrontare la realtà, saluta le élite progressiste di San Pietroburgo (per farsele poi nemiche nel giro di pochi anni), e inizia la sua personale riflessione sull’essere umano.

Tutto era iniziato con un romanzo: “Povera gente”. Un romanzo che ha un successo enorme, clamoroso, e che gli apre le porte dei circoli progressisti di San Pietroburgo. Viene considerato lo scrittore dei poveri, delle loro “istanze”.

Tutti (tutti quelli che hanno letto quel romanzo, ovviamente), si sperticano in elogi per questo giovane scrittore russo (ha attorno ai 25 anni, se ricordo bene), che è arrivato a dare alla esausta letteratura russa nuova linfa e vita. E il buon Fedor non perde tempo: mette mano a una nuova storia. Che gli creerà un bel po’ di problemi…

Fedor si reca più volte al circolo progressista Belinskij e legge qualche frammento della nuova storia alla quale sta lavorando. E l’entusiasmo è ancora alle stelle. Incoraggiamenti, elogi: nessuno sa, oppure non vuole sapere, né si rende conto, che Dostoevskij ha detto “Addio” a una certa visione del mondo, per andare alla ricerca di un’altra. A lui non interessa essere il portavoce dei senza voce. Non è lì lo scopo di uno scrittore.

Se il protagonista di questa storia è un impiegatuccio mediocre, e l’ambiente in cui si muove è il suo riflesso perfetto, Fedor sposta la sua indagine dalle condizioni, al cuore dell’essere umano. Alle sue idee. È questo che suona inaudito alle orecchie dei progressisti che infatti si sentiranno traditi dal loro rampollo tanto vezzeggiato e coccolato, e vivranno questa storia come una specie di pugnalata alle spalle (e di quello si tratta, per fortuna).

Per Dostoevskij non sono le strutture, l’ambiente o l’educazione che storpiano l’essere umano. Fa tutto lui: l’essere umano. Tutto è racchiuso nel suo cuore. Mentre i progressisti sognavano di bruciare la Russia dalle fondamenta sino al tetto per creare l’uomo nuovo e la donna nuova (dopo aver sepolto gerarchia, religione, Zar), Dostoevskij riflette; non sono questi elementi esterni che creano l’infelicità dell’individuo.
I progressisti di fatto lo scaricano: ha tradito la causa. La loro causa.

Lo stesso Fedor ne è scontento. Alla fine dichiarerà di aver avuto senz’altro un’idea geniale, ma di averla sviluppata di male in peggio, e affermerà che si tratta di un’opera fallimentare. Che cosa è andato storto?

Non era adatta allo “Spirito del Tempo” che raccontava già allora la favola che l’essere umano fa il male perché le strutture sono cattive e bisogna annientarle per sostituirle con altre (buone, ça va sans dire). Era quindi impossibile che venisse ben accolta una storia che puntava la sua attenzione su quel “sottosuolo” che anni dopo Dostoevskij descriverà così bene.

Per Belinskij & Co. non esiste nessun sottosuolo, perché esso è semmai il risultato del Medioevo in cui la Russia viene tenuta incatenata da Zar e Chiesa Ortodossa. Spezzate queste catene, l’individuo sarà libero e felice.
Dostoevskij SA di avere ragione. Da una parte c’è una realtà da raggiungere e osservare (e lui usa “Il sosia” con questo intento, e tutte le sue opere saranno un cammino di avvicinamento alla realtà).

Belinskij & Co. viceversa sostituiscono la realtà con l’ideologia. C’è un sistema di idee infallibile che deve essere applicato in modo ferreo perché il solo che renderà “felice” l’essere umano; anche se non lo vorrà (e chi non lo vorrà sarà punito).

Il cammino che Fedor inizia a tracciare con questa storia è uno schiaffo formidabile a quello che sta mettendo radice in Russia.

Fedor scrivendo questo libro non solo saluta le élite; ma inizia il suo percorso di libertà. Comprende che in quei circoli si respira una falsa aria di libertà. Tutti sono amici e si spalleggiano fino a quando si accetta l’ideologia; basta distaccarsene e si viene accompagnati alla porta. La realtà per queste persone è una malattia da curare anche a costo di uccidere. Tutto si deve conformare alla loro ideologia.

Fedor viceversa scrive una storia dove la pazzia prende il posto della realtà (esattamente come nei circoli progressisti che per un po’ ha frequentato, l’ideologia sostituisce la realtà), ma nella sua storia la realtà vince (ancora), perché il protagonista viene rinchiuso in un manicomio.

Purtroppo nella storia della Russia l’ideologia andrà al potere e per circa 70 anni quell’immenso Paese ne subirà le conseguenze.

Dostoevskij con “Il sosia” mette alla berlina proprio il modo con il quale le idee socialiste intendono “curare” l’essere umano.
Perché è un’ideologia che si nutre del dissolversi della realtà, che ha bisogno di annientare la realtà; esattamente come la pazzia di Goljadkin fagocita il suo mondo.

Alla prossima e: Non per la gloria, ma per il pane.

 

4 commenti

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