di Marco Freccero. Pubblicato il 19 novembre 2018.
Il tema del successo non è mai stato così popolare come in questi anni.
È un’ossessione che attanaglia tutti. Basta fare un salto su Amazon, digitare il termine nel campo di ricerca per ricevere una lista lunghissima di titoli che ti spiegano come conseguirlo, conquistarlo, conservarlo, e magari pure incrementarlo sempre di più.
C’è questa ideologia che blatera di quanto sia facile raggiungerlo; basta impegnarsi, crederci, lottare!
Sembrerebbe che il successo si sia reso democratico, ma non si è ben capito per quali ragioni. Che cosa cioè lo abbia indotto a scendere dal piedistallo (o dalla montagna?) per distribuire i suoi beni un po’ a chiunque.
Tuttavia…
Ma quale armonia…
C’è un errore colossale che continua a essere selvaggiamente coltivato.
Ciascuno di noi desidera qualcosa di diverso, meglio però se enorme: più soldi, una casa più grande, un’automobile più lussuosa, feste, donne (e in questa categoria ci sono io).
E in parte questo è del tutto ovvio perché è un ingrediente del nostro essere umani. Se ci fossimo accontentati dell’armonia, non saremmo mai scesi dagli alberi. Siccome ci siamo rotti le scatole dell’armonia, siamo (per fortuna), scesi dagli alberi ed è iniziata un’avventura che è ben lontana dalla conclusione.
Sì, ma: che c’entra questo discorso con l’autore indipendente?
Buona domanda…
Errore fondamentale
L’autore indipendente sceglie l’autopubblicazione perché immagina che la tecnologia e il proprio talento (se c’è, e quando c’è: ricordiamoci che è ferocemente antidemocratico, per fortuna), lo renderanno… indipendente. Cioè, gli regaleranno il celeberrimo successo.
A occhio e croce questo termine racchiude al proprio interno elementi quali:
- guadagnare (davvero molto) dalla vendita delle proprie opere;
- stipulare un contratto con una casa editrice (Mondadori);
- vendere al cinema i diritti della/delle opera/opere;
- andare in televisione da Fabio Fazio;
- avere la posta intasata dalle mail;
- essere la stella del Salone del Libro di Torino;
- Avere una lunga coda di lettori in attesa di ricevere la propria firma sul libro, alla libreria Hoepli di Milano (o altrove);
- eccetera eccetera.
Questo atteggiamento perde completamente di vista l’elemento più fondamentale.
La tecnologia (vero demiurgo di questi anni) si limita a offrire a tutti una serie di strumenti: uguali per tutti.
Per esempio un’interfaccia semplice e intuitiva del programma di videoscrittura in modo da produrre un testo senza difficoltà; funzioni per esportarlo in più formati (.doc; .odt; epub; eccetera); un sito che, sempre con grande facilità, consente di pubblicare. Oltre a questo una serie di funzioni piuttosto elementari per gestire entrate (di solito scarse, ma facciamo finta di nulla), creare promozioni, modificare velocemente la copertina, sinossi, parole chiave.
Quello che la tecnologia (meno male!) non può fare, e nessuno lo farà mai, è di renderci uguali.
Ci sono libracci che hanno grande successo. Ci sono libracci che non hanno alcun successo.
Esistono buoni libri che hanno un grande successo.
Esistono buoni libri che non hanno alcun successo.
Quindi: di che cosa parliamo, quando parliamo di successo?
Come guarire dalla malattia del successo?
A scuola personaggi come Leonardo, Raffaello, Dante Alighieri, vengono additati come esempi sublimi, da venerare. Che si tratti di uomini fuori dall’ordinario, è evidente. Ma dove sta scritto che:
Aut Caesar, aut nihil?
Da nessuna parte.
Però tutti noi o quasi, agiamo obbedendo a essa.
Aut Caesar, aut nihil
Ecco perché alla fine rischiamo di danneggiare il nostro talento. Lentamente, quasi a nostra insaputa, il centro della nostra attenzione (la scrittura: e cos’altro?), si sposta verso il successo. Il suo ottenimento. Diventa, appunto un’ossessione, peggio ancora: un dittatore. Siamo quasi comandati a bacchetta da quel “Cesare” che noi dovremmo diventare perché… Ci spetterebbe di diritto. Ci facciamo o no il mazzo? E allora: Successo, a ME!
Ognuno di noi vorrebbe passare le giornate a bordo di una Jaguar sulle strade della Costa Azzurra, in compagnia di una ereditiera in là con gli anni (questo sono ancora io, esatto). Ciò non è possibile: ma non perché c’è il complotto delle case editrici.
O il pubblico è composto per l’80% di idioti patentati.
Non siamo tutti uguali, ricordi? Ed è una fortuna.
Credo che un autore indipendente debba leggere, debba difendere il suo talento (che ne abbia tanto, oppure poco), e compiere tutta una serie di “gesti” che conosciamo e che non ho voglia di ribadire su questa paginetta.
Soprattutto, deve sempre ricordare che al centro della sua opera c’è la scrittura. Siccome questo termine però è un po’ vago (secondo me), aggiungerei: i personaggi e i loro diritti. Al centro del lavoraccio di un autore indipendente ci sono loro; non noi.
Il successo è (anche) una lieve brezza
Lo so, sembrerebbe poca cosa. Quasi un contentino; una ritirata strategica.
In realtà è sufficiente mettere al centro la scrittura (cioè i personaggi e i loro diritti), e usare la tecnologia alla portata di tutti, per avere già un grande successo.
Questo “successo” non lo si può misurare coi soliti parametri; denaro, interviste, altro denaro e altre interviste, eccetera eccetera. Per quale motivo? Se non fosse (ancora) abbastanza chiaro: se la bussola diventa il successo (e non la tua scrittura), finisci con lo scrivere obtorto collo (quanto mi piace usare queste espressioni: ti scaraventano nell’Olimpo delle persone erudite, lo sai?). Perché scrivi non per i personaggi: ma per ottenere il successo.
Qualcuno potrebbe rimarcare che un compromesso è sempre possibile: insomma, si può avere la botta piena e la moglie ubriaca. Charles Dickens annusava l’umore del pubblico e si adeguava (almeno agli inizi); eliminando magari un personaggio che non piaceva. Ampliando invece lo spazio per un personaggio che incontrava eccome il consenso dei lettori.
Lo so.
Peccato che non sia sempre possibile: ricordi? Non siamo tutti uguali.
Occorre ridisegnare i parametri del successo. Accanto a quelli che conosciamo (Jaguar, feste, ereditiere, eccetera: qui ci sono sempre io), è anche successo scrivere le storie che desideriamo, pubblicarle, avere qualche recensione, guadagnare in un anno (se va bene), 30 euro… E stop.
Pure questo si chiama “successo”. È una brezza lieve, si capisce; che provoca lo smascellamento dalle risate di un sacco di persone. Costoro non lo sanno: ma hanno perso. Si sono arrese allo Spirito del Tempo. Probabilmente questo garantisce a essi più entrate di quanto io riuscirò mai a realizzare con la mia scrittura.
Come vedi non ho problemi a riconoscerlo e soprattutto (tieniti forte): non mi provoca insonnia, calo dell’appetito o ulcere. Di nessun genere.
Avevano la possibilità di essere liberi; hanno schiavizzato i loro personaggi per un piatto di lenticchie.
(E comunque: chi dice che una lieve brezza non possa trasformarsi in un tifone?).
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Il punto 5 del successo è dato dalla casella di posta intasata? ce l’ho!
solo quella però, ma forse intendevi intasata da mail di lettori entusiasti vero?
Io niente successo però ogni tanto le mie storie mi ridanno il sorriso e un po’ di gioria e, di questi tempi, non è poco…
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Io nemmeno lo spam. Solo quello “sindacale” ecco. Una desolazione! 🤪
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il successo? Chi era costui?
Tutti sgomitano ma pochi raggiungono il traguardo. E va bene anche trenta euro di guadagno è un bel successo rispetto a chi ne guadagna solo zero. Una pizza e una pizza è assicurata
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Io sì, una pizza. Quella più economica, s’intende! 🙂
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non si diventa ricco ma si mangia qualcosa 😀
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Ho ancora in testa l’immagine di te su una Jaguar sulle strade della Costa Azzurra, in compagnia di una ereditiera in là con gli anni, e mi è difficile commentare.
Ma insomma, se il successo è questo, passo 🙂 La casella piena di mail ce l’ho già, proprio come Giulia. Ma non è successo, è solo che mi mancano il tempo e l’energia per stare al passo con tutto.
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E preciso che di ereditiere… Nemmeno l’ombra!
Non ci sono più le ereditiere di una volta 😀
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Ma non stanno più in Costa Azzurra le ereditiere! Stanno tutte a Dubai! 😀
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No! Ma perché?? E come faccio??? 😞
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Non credo che gli scritturi di successo abbiano necessariamente schiavizzato i loro personaggi per un piatto di lenticchie; magari sono semplicemente dei fenomeni, o hanno avuto fortuna, o se la sono andata a cercare dov’era. Sono invece convintissima che la ricerca del successo sia deleteria. In teoria – sì, in teoria – si possono avere botte piena e moglie ubriaca, ma in pratica è impossibile. Scrittura e successo sui due piatti della bilancia non saranno mai pari, e per vivere bene ci si comporterà di conseguenza: o l’una al primo posto, o l’altro. Con le conseguenze del caso. 😉
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Degli 8 punti dell’elenco mi piacerebbero i primi 3 e il 7°. La Jaguar non mi piace, tanto meno la Costa Azzurra. Mi accontento di una Land Rover e di un casale in campagna 🙂
Il successo può arrivare a chiunque. Ricordi cosa scrissi su Andy Weir e il suo romanzo The Martian? Anche lui era un autore autopubblicato. E poi… è finito al cinema.
Ma per finire a firmare un contratto del genere devi scrivere storie che il cinema americano (che suppongo sia quello che paghi di più e che per me lavora anche meglio) vuole trasformare in film.
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Io potrei anche accettare una malga in Trentino 😀
È talmente imprevedibile il successo che conviene ignorarlo.
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Uhm, io vorrei più tempo, a parità di tutto il resto (stessi soldi, stessa casa, stessa auto, beh magari un euro 5 ibrida che oramai ti chiudono in casa con l’euro 4!)
E non ci tengo ad andare in televisione da Fabio Fazio, ma piuttosto delle d’Urso preferisco Fazio 😀
Però non sono un autore, e nemmeno indipendente. Devo ancora finire di pagare il mutuo, eh!
Comunque la casella intasata c’è, lo spam pure (non vi dico l’argomento, da quando ho pubblicato un racconto dal titolo “speed date” 😀 ), ma non ci volevano anche i troll? Ci ho pure quelli! Uno fresco fresco preso a pedate. 😀
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I soliti fortunati. Qui mi snobbano pure i troll! 😃
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