È una domanda che tra l’altro mi è stata posta in un commento a un post precedente da Barbara Businaro. Vale a dire: come diavolo nasce una storia a 4 mani?
Anzi, no. La domanda era un poco differente. “Cosa trasforma una storia da scrivere a due mani in una storia da scrivere a quattro mani?”.
E là me la sono cavata (più o meno). Qui cercherò di rispondere meglio. Ci riuscirò? Oppure fallirò miseramente?
Il principio fu…
Se adesso te ne vai tranquillo su Amazon puoi trovare il nostro romanzo a 4 mani, “L’ultimo giro di valzer”, dare un’occhiata all’anteprima e magari (magari!) acquistarlo.
Più volte ho spiegato su queste auguste pagine (ma chi è che usa ancora “auguste”? Solo per questo io se fossi in te mi iscriverei all’istante a questo fantastico blog), che la faccenda ci ha preso un bel po’ di tempo; un anno abbondante.
Che è stato indispensabile sentirci (non solo mail quindi). Che ci siamo trovati non di rado in qualche pasticcio (contraddizioni, errori, e chi più ne ha più ne metta).
Ma la domanda di Barbara è parecchio interessante.
Innanzi tutto c’è l’idea. L’idea sboccia da una visione che uno trasmette all’altro.
All’inizio è solo una scena, un evento, che si presenta nella mente. Si trasmette l’idea e si aspetta di vedere se germoglia.
D’accordo, questo è ormai agli atti e un sacco di volte ho scritto che tutto parte da un’immagine e “bla bla bla”.
Ma cosa trasforma una storia a 2 mani in una storia a 4 mani?
Semplice: un “Sì”.
E il “Sì” l’ho detto io.
Come un motore rotativo Wankel
Lo so che te ne stai lì tutto corrucciato. Che diavolo scrive costui, starai pensando.
Eppure non c’è altra spiegazione, sul serio. Semmai dovrei chiederlo a Morena che cosa l’ha spinta a proporre a me una tale storia, invece di scriverla da sola.
Non credo che sia stata la difficoltà. Il suo romanzo “La centesima finestra” per esempio non è semplicissimo; eppure lo ha scritto senza l’aiuto di nessuno.
Io ho accettato perché mi piaceva l’idea di provare a scrivere un romanzo con un’altra persona.
È come se qualcuno ti sussurrasse:
“Pssst! Lo vuoi vedere un bel motore rotativo Wankel all’opera?”.
Che fai? Rispondi di no? Sei un pazzo!
Il motore rotativo Wankel è un po’ come la scrittura a 4 mani. Ha un sacco di pregi (pochi elementi meccanici in movimento; silenzioso; potente, e necessita pure di minore manutenzione).
Ma ha i suoi difetti.
Il motore rotativo Wankel beveva troppo carburante, e inoltre rilasciava nell’atmosfera troppi elementi incombusti (ecco perché lo si è abbandonato).
E pure la scrittura a 4 mani ne ha: per esempio è un “attacco” all’egocentrismo di chi scrive. Mette insomma a rischio il piccolo mondo di un autore, che come tutti sanno è pure permaloso quando si tratta di scrivere con un altro autore.
E la scrittura a 4 mani, proprio come il povero motore Wankel, ha sì un grande potenziale; ma viene scartata perché consuma parecchie risorse.
A questo punto diventa evidente che scrivere una storia a 4 mani non richiede “magia” o chissà quali altre diavolerie.
Semmai pretende che chi decide di affrontare una tale avventura, desideri pure mettersi un po’ alla prova.
Lo stupore
Quello che sorprende assai è che in fondo non sia una pratica molto utilizzata. Certo, non è per nulla semplice e questo è un concetto che ho ripetuto anche fin troppo. Esiste la tecnologia che aiuta ad annullare tempi e distanze.
Resta lo scrittore (o la scrittrice); i suoi limiti che sono, essenzialmente, quelli che qualche riga fa ho sottolineato. La naturale diffidenza di dover lavorarare “gomito a gomito” con un’altra persona.
Parlo brevemente degli autori indipendenti, adesso.
Il problema degli autori indipendenti (un problema che riguarda circa il 97% di essi), è che non sono molto disposti a mettersi in discussione. Non sono disposti nemmeno ad ascoltare le critiche motivate di un lettore beta (figuriamoci di un editor). E immaginare che costoro scrivano a 4 mani… È pura follia, nemmeno fantascienza. Eppure si perdono… lo stupore.
Di che genere? Di che cosa parlo?
Ricreare la magia: come?
Benché io sappia (non è vero: lo scrivo tanto per scrivere) quali parti io abbia scritto, è necessario lavorare bene perché il lettore non possa percepire che ci sono 4 mani nel romanzo.
È evidente che lo sa (quando lo acquista vede scritto: Morena Fanti – Marco Freccero), ma dopo… Mi pare che Stephen King parli di magia. Per definire quel processo che permette al lettore di precipitare nella storia con tutte le scarpe. A me in realtà non piace affatto come definizione perché fa credere che esista un ingrediente “segreto”, che si ottine solo se si entra a far parte di qualche loggia. Nulla del genere: c’è solo da rimboccarsi le maniche e lavorare sodo.
Quindi?
Quindi: se leggi “Cujo” sei dentro l’automobile assediata dal cane idrofobo.
Se leggi “L’ultimo giro di valzer”… Niente vampiri, non-morti, cani idrofobi o creature che si aggirano nelle fogne, certo. Ma diventa essenziale che non ci siano “stacchi”, che la storia scivoli via senza riuscire a indentificare che questo l’ho scritto io, e quest’altro invece lo ha scritto Morena.
Niente del genere.
Ma: “L’ultimo giro di valzer” poteva essere scritto da una persona sola? Certo: Morena Fanti.
Sarebbe stato differente? Ma si capisce! Direi però di fermarci qui e di non procedere oltre. La domanda che ti gira per il cervello:
“Quanto sarebbe stato differente? E sarebbe stato migliore o peggiore?”
è lana caprina. E non lo dico per ragioni diplomatiche.
Se la battaglia di Lepanto avesse visto prevalere le forze ottomane? L’Europa sarebbe stata differente?
Sono certo che esiste almeno un romanzo che immagina che cosa sarebbe successo se (così come esistono romanzi che descrivono l’Europa e il Mondo sotto il tallone di Hitler, se il nazionalsocialismo infine avesse vinto).
Ma io credo che “Se” non aprirebbe infinite possibilità. Quello lo fa la fantasia. L’Europa sconfitta a Lepanto non sarebbe troppo differente da quella che vediamo affacciandoci dal finestrino di un treno, mentre ne attraversiamo le terre.
La storia sarebbe stata differente scritta da me? Non me lo sono mai chiesto.
Naturalmente sì ma a me interessava scrivere con un altro autore. È una sfida vera e forte. Non per tutti. E noi, modestamente, l’abbiamo superata 😉
E non dimenticare che ti avevo fatto un’altra proposta. Che è ancora disponibile 🙂
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Il punto è che il tempo è poco!!!!! 🙂
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forse scritta singolarmente la storia avrebbe avuto connotati diversi anche se l’idea di partenza fosse stata la stessa. E’ naturale che ognuno di noi abbia sensibilità diverse.
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(Sono terribilmente in ritardo con le letture e pure questo bellissimo articolo da una mia domanda avevo lasciato indietro! Taggatemi la prossima volta 😀 )
Al di là della sfida, che quello per me è ovvio (sono una peaker, ricordi? Per noi le sfide sono pane quotidiano, anche se non sono scrittorie), pensavo che ci fosse dietro il voler dare un “tono” di voce differente ai personaggi. Qui mi dovrebbe rispondere Morena dunque: forse cercava un punto di vista maschile sull’intera storia? Penso sia da quello che nasce l’arricchimento di una storia a 2 mani che diventa a 4 mani. Perché si arricchisce, ovvio!
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Chissà Morena che cosa voleva ottenere! Lo sapremo? Lo sapremo mai? Chissà!
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Certo, Barbara, la storia si arricchisce: due menti che lavorano insieme e si aprono al confronto sono anche un’occasione di crescita personale e di scrittura.
Io cerco soprattutto il confronto e la sfida. Realizzare un romanzo, andare fino alla fine, è già una sfida. Farlo a quattro mani è una grande soddisfazioni. Non per tutti.
Però, e di questo ne abbiamo parlato altre volte con Marco, Se il socio è di sesso opposto, si integrano comportamenti dell’altro sesso che forse non ci erano noti. Modi di fare, di indossare gli abiti, di gesticolare, ad esempio.
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